Omesso versamento di ritenute certificate: il mod.770 non costituisce prova del rilascio delle certificazioni

In tema di omesso versamento di ritenute certificate, ai fini della prova del rilascio delle certificazioni attestanti le ritenute operate, non è sufficiente la sola acquisizione della dichiarazione mod.770.

La Corte di Cassazione, con la pronuncia numero 49705/2018, depositata il 30 ottobre u.s., si è espressa in materia di reati fiscali, con particolare riguardo all’aspetto probatorio dei medesimi e al relativo onere che incombe sulla pubblica accusa. Il fatto. La Corte d’Appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di primo grado, impugnata sia dal P.M. che dal P.G., confermava la condanna alla pena di mesi dieci di reclusione per il reato di cui all’articolo 10- bis d. lgs. numero 74/2000 omesso versamento delle ritenute quale sostituto d’imposta per l’anno 2009 e revocava la sospensione condizionale della pena. Avverso la sentenza di secondo grado ricorre per Cassazione il difensore dell’imputato, lamentando una serie di motivi, tra i quali merita approfondimento quello relativo alla violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’articolo 10- bis d. lgs. numero 74/2000, laddove i giudici di merito hanno ritenuto provata la sussistenza dell’elemento oggettivo del delitto contestato con riferimento al rilascio delle certificazioni. Secondo la ricostruzione fornita dalla Corte territoriale, la mera presentazione del mod.770 da parte del prevenuto pur non rappresentando prova ex se del reato in addebito, ma un semplice un indizio, nel caso in esame la responsabilità penale dell’imprenditore sarebbe provata dall’ulteriore elemento dell’esistenza di un accordo tra il medesimo e l’Agenzia delle Entrate finalizzato alla rateizzazione per il pagamento delle rate non versate. Al contrario, la difesa, nell’atto di ricorso, contesta il fatto che la presentazione del mod.770 proverebbe solo che l’imputato si sia dichiarato debitore delle somme indicate dalle ritenute ivi palesate, ma non proverebbe che vi sia stato il rilascio delle relative certificazioni ai soggetti sostituiti ad ogni buon conto, l’accordo sul piano di rientro tra Agenzia delle Entrate e l’imprenditore dimostra soltanto che l’imputato non ha versato quanto dovuto sulla base del mod.770 e null’altro. Il ricorso merita accoglimento. Gli Ermellini della Terza Sezione, con la pronuncia in disamina, condividono il percorso di censura sollevato dalla difesa dell’imputato la sentenza emessa dai Giudici di seconde cure deve essere censurata, in ragione dell’impossibilità di individuare la prova dell’elemento oggettivo del reato contestato. Il punctum saliens sotteso alla decisione è stato affrontato dalle Sezioni Unite sentenza numero 24782/2018 a seguito di un vivace contrasto interpretativo secondo i principi espressi dal Supremo Consesso, in tema di omesso versamento di ritenute certificate, ai fini della prova del rilascio delle certificazioni attestanti le ritenute operate, non è sufficiente la sola acquisizione della dichiarazione mod.770. Nel caso concreto, osserva la Corte di Cassazione, l’ulteriore elemento del piano di rientro tra Ente fiscale e datore di lavoro non può esercitare alcuna valenza probatoria, posto che attribuire valore indiziante a tale comportamento porterebbe ad un inammissibile inversione dell’onere della prova poiché toccherebbe all’imputato fornire la prova del mancato rilascio delle certificazioni ai soggetti sostituiti. Alla stregua di tale ricostruzione, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e annulla la sentenza impugnata senza rinvio perché il fatto non sussiste.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 5 luglio – 30 ottobre 2018, numero 49705 Presidente Savani – Relatore Scarcella Ritenuto in fatto 1. Con sentenza 6.07.2017, la Corte d’appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza tribunale di Brescia 16.10.2015, impugnata dal S. e dal PG, applicava all’imputato le pene accessorie dell’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per mesi 10, dell’incapacità a contrattare con la PA per anni 1, dell’interdizione delle funzioni di rappresentanza ed assistenza in materia tributaria per anni 1, dell’interdizione perpetua dall’ufficio di componente di commissione tributaria nonché la pubblicazione della sentenza di condanna sul sito internet del Ministero della Giustizia per il periodo di gg. 15, revocando al medesimo il beneficio di cui all’art. 163, c.p. nel resto, la Corte d’appello confermava l’appellata sentenza che lo aveva condannato alla pena principale di 10 mesi di reclusione, con il concorso di attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva, per il reato di omesso versamento delle ritenute quale sostituto d’imposta, in relazione all’annualità 2009, per un ammontare complessivo di oltre 1,1 milioni di Euro, in relazione a fatti contestati come commessi, nella qualità di legale rappresentante della S. S.p.a., secondo le modalità esecutive e spazio temporali meglio descritte nel capo di imputazione. 2. Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia del ricorrente, iscritto all’Albo speciale ex art. 613, cod. proc. penumero , prospettando quattro motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. penumero . 2.1. Deduce, con il primo motivo, violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 168 bis, c.p., per aver i giudici di merito ritenuto inapplicabile l’istituto della sospensione del procedimento di messa alla prova a causa dei precedenti penali dell’imputato. In sintesi, i giudici di merito, richiamando una decisione di questa Corte, avrebbero dichiarato inapplicabile l’art. 168 bis, c.p. in quanto l’imputato risultava gravato da due precedenti penali specifici e relativi alle annualità 2005 e 2006, tanto da essere stata contestata la recidiva infraquinquennale ciò avrebbe reso impossibile la formulazione di una prognosi favorevole in ordine alla capacità a delinquere del reo, precludendo l’applicazione dell’istituto la motivazione sarebbe censurabile in quanto, da un parte, esisterebbe un diverso orientamento di questa Corte che ammette l’applicabilità dell’istituto anche in caso di imputato gravato da precedenti penali - sicché l’aver la Corte d’appello condiviso quanto affermato dal primo giudice si risolverebbe in un’omessa motivazione in quanto non sarebbero stati considerati gli altri parametri di cui all’art. 133, c.p. - dall’altro, quanto affermato dalla Corte d’appello sarebbe erroneo alla luce degli elementi documentali in atti, segnatamente rappresentati dai certificati del casellario giudiziale da cui risultava che egli era gravato non da due precedenti penali ma da un solo precedente, essendo stata pronunciata sentenza ex art. 444 c.p.p. che aveva riconosciuto la continuazione tra i due reati contestati in relazione alle diverse annualità inoltre, la difesa aveva dimostrato che al momento della presentazione della richiesta ex art. 168 bis, c.p. davanti al primo giudice, era in corso una regolare rateizzazione volta a corrispondere all’Erario quanto dovuto per l’annualità in contestazione, rappresentando le ragioni delle difficoltà aziendali che avevano determinato l’impossibilità di provvedervi nei termini di legge ne discenderebbe, conclusivamente, che in applicazione dei criteri di cui all’art. 133, c.p. l’imputato sarebbe stato meritevole di ammissione all’istituto, attese le condotte riparatorie poste in essere e finalizzate alla riparazione delle conseguenze dannose dei reati già giudicato e di quello oggi contestato. 2.2. Deduce, con il secondo motivo, violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 10 bis, d. lgs. numero 74 del 2000, laddove i giudici di merito hanno ritenuto provata la sussistenza dell’elemento oggettivo del reato contestato con riferimento al rilascio delle certificazioni. In sintesi, si censura la sentenza impugnata laddove la Corte d’appello ha ritenuto che, pur non rappresentando la mera presentazione del mod. 770 da parte dell’imputato prova ex se del reato contestato, ma un semplice indizio, nel caso in esame vi sarebbe un ulteriore elemento probatorio significativo, costituito dal fatto che l’imputato aveva concordato con l’Agenzia delle Entrate un piano di rientro con rateizzazione per il pagamento delle rate non versate, con scadenza al 31.05.2017 da ciò i giudici di merito avrebbero induttivamente ritenuto che l’intervenuto accordo avrebbe fornito la prova logica dell’effettivo rilascio ai dipendenti delle certificazioni relative tale motivazione, secondo la difesa, sarebbe censurabile in quanto la presentazione del mod. 770 proverebbe solo che la società si era dichiarata debitrice delle somme rappresentate dalle ritenute dichiarate in esso, ma non proverebbe che vi sia stato il rilascio delle relative certificazioni ai soggetti sostituiti in ogni caso, sarebbe censurabile il criterio logico applicato dalla Corte territoriale, in quanto dall’accordo raggiunto con l’Agenzia delle Entrate può desumersi solo che l’imputato non ha versato quanto dovuto sulla base del mod. 770 e null’altro difetterebbe, dunque, la prova del rilascio delle certificazioni, rimanendo la presentazione del mod. 770 un elemento isolato, rimasto privo di riscontri oggettivi. 2.3. Deduce, con il terzo motivo, vizio di motivazione laddove la sentenza ritiene provata la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato contestato, ossia la volontà di non provvedere all’adempimento dell’obbligazione erariale. In sintesi, si censura la sentenza impugnata laddove i giudici di merito negano che dagli atti siano emersi elementi per ritenere la sussistenza di una causa di forza maggiore, non essendo stato dimostrato il carattere improvviso della crisi di liquidità, essendo invece la stessa risalente ai primi anni 2000, cui si aggiungerebbe il fatto che la società aveva rivolto i propri sforzi per garantire la funzionalità dell’impresa e nella prospettiva di una futura ripresa, senza rivolgere l’attenzione e le energie nella direzione dell’adempimento del debito tributario si tratterebbe di motivazione censurabile in quanto affetta dal vizio di travisamento probatorio, non avendo correttamente esaminato i documenti e le dichiarazioni testimoniali assunte all’ud. 26.06.2015 da cui sarebbero emersi elementi che smentirebbero l’assunto della Corte d’appello, ossia a il fatto che negli anni 2007/2008 la società aveva rivolto i suoi sforzi per sanare i debiti degli anni 2004/2005 b il fatto che nel 2009 aveva patito una perdita di 6 minumero di Euro e non era riuscita a riscuotere importanti crediti c il fatto che sempre per la stessa annualità vantasse un credito IVA di oltre 940.000 Euro d il fatto che dal 2008 al 2009 la voce di bilancio attinente la differenza tra valori e costi della produzione era passata da un dato positivo di quasi 2 minumero di Euro ad un dato negativo di quasi 5,5 minumero di Euro e infine, il fatto che negli anni 2009/2010 la società non era riuscita ad avvalersi di nuovi finanziamenti bancari per la mancanza di garanzie patrimoniali proprio in ragione dei suoi problemi finanziari tali elementi avrebbero reso eccentrica , a giudizio del ricorrente, l’affermazione della Corte d’appello circa il non aver fatto la società sforzi per adempiere al debito tributario, come quella del tribunale circa la presunta volontà societaria di voler privilegiare l’equilibrio finanziario a discapito dell’adempimento dell’obbligazione tributaria diversamente, quanto sopra descritto avrebbe fornito la prova che vi fu una crisi strutturale ed improvvisa, e che dunque il mancato versamento dell’imposta fu imputabile a cause non dipendenti dalla volontà del reo, dimostrando del resto l’accordo raggiunto con l’Agenzia delle Entrate invece particolare attenzione all’adempimento del debito tributario. 2.4. Deduce, con il quarto motivo, violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 81, co. 2, c.p., laddove i giudici di merito non riconoscono la continuazione con i fatti già giudicati, provvedendo alla revoca della sospensione condizionale della pena. Da ultimo, la censura investe l’impugnata sentenza per aver i giudici di appello escluso la continuazione tra i fatti già giudicati con la richiamata sentenza ex art. 444 c.p.p. e relativi alle annualità 2004/2005, con quelli oggetto del presente giudizio, in base all’affermata distanza cronologica tra gli stessi che renderebbe assai difficile sostenere che la loro consumazione risponda ad un’unica deliberazione criminosa delineata nei suoi tratti essenziali i giudici avrebbero travisato la circostanza che l’omesso versamento delle ritenute oggetto di attuale contestazione fu in parte dovuto alla necessità di provvedere il pagamento di quelle precedenti annualità per cui l’imputato aveva patteggiato, ciò che proverebbe il collegamento tra i fatti già giudicati e quello oggi sub iudice, con conseguente travisamento del concetto di medesimo disegno criminoso in forza del quale giungere al riconoscimento delle continuazione infine, si censura la intervenuta revoca del beneficio di cui all’art. 163, c.p., disposta dalla Corte d’appello su richiesta del PG, per l’assenza di elementi concreti e positivi, tenuto conto dei precedenti penali, su cui fondare un giudizio prognostico negativo circa la futura commissione di ulteriori reati analoghi da parte del reo i giudici di merito avrebbero infatti omesso di considerare che in sede di udienza era stata prodotta la sentenza dichiarativa di fallimento della società e che, pertanto, vi era in atti la prova dell’impossibilità per l’imputato ormai 74enne di commettere reati analoghi, non rivestendo più il ruolo di legale rappresentante della società. Considerato in diritto 3. Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito esposte. 4. Deve essere, anzitutto, dichiarato inammissibile il primo motivo, con cui si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 168 bis, c.p., per aver i giudici di merito ritenuto inapplicabile l’istituto della sospensione del procedimento di messa alla prova a causa dei precedenti penali dell’imputato. Il motivo è anzitutto generico per aspecificità, non tenendo conto delle ragioni esposte dal giudice di appello a confutazione delle identiche doglianze esposte nel motivo di appello. Deve quindi essere fatta applicazione del principio, già affermato da questa Corte, secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione Sez. 4, numero 18826 del 09/02/2012 - dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849 . 5. Il motivo si appalesa, peraltro, manifestamente infondato, atteso che la Corte d’appello v. pagg. 6/7 indica le ragioni, già indicate in sede di illustrazione del relativo motivo di ricorso da intendersi qui richiamate integralmente, per le quali ha ritenuto condivisibile il diniego opposto dal primo giudice alla richiesta ex art. 168 bis, c.p. I giudici di appello, segnatamente, valorizzano l’esistenza dei due precedenti penali specifici traendo dagli stessi elementi per ritenere che la personalità del reo del tutto insensibile all’efficacia deterrente della sanzione penale e priva di autocontrollo, anche in considerazione del fatto che i due reati risultano commessi ad un solo anno di distanza e sono della stessa indole da qui la condivisione dell’affermazione del primo giudice, che aveva escluso la possibilità di esprimere una prognosi negativa in ordine alla futura commissione di reati analoghi da parte dell’imputato, valutazione che prescindendo dalla presentazione del programma di trattamento come stabilito a più riprese da questa Corte cfr., ex multis, Sez. 5, numero 7983 del 26/10/2015 - dep. 26/02/2016, Matera e altro, Rv. 266256 , precludeva in radice la possibilità di ottenere il beneficio della messa alla prova. 6. Trattasi di motivazione del tutto corretta in diritto ed immune dai denunciati vizi motivazionali, soprattutto alla luce della giurisprudenza di questa Corte, cui questo Collegio reputa di dover dare continuità, secondo cui che ha già affermato il principio per cui la concessione del beneficio della sospensione del procedimento con messa alla prova, ai sensi dell’art. 168 bis cod. pen, è rimessa al potere discrezionale del giudice e postula un giudizio volto a formulare una prognosi positiva riguardo all’efficacia riabilitativa e dissuasiva del programma di trattamento proposto e alla gravità delle ricadute negative sullo stesso imputato in caso di esito negativo in motivazione questa Corte ha precisato che anche la presenza di un precedente penale specifico può essere discrezionalmente considerata dal giudice circostanza valorizzabile in senso negativo nella stima della prognosi Sez. 4, numero 9581 del 26/11/2015 - dep. 08/03/2016, Quiroz, Rv. 266299 . 7. Quanto sopra rende quindi del tutto privi di pregio i profili di doglianza difensivi basati su un’asserita omessa motivazione per non aver considerato la Corte d’appello gli altri parametri di cui all’art. 133, c.p. essendo, come detto, valorizzabile in chiave negativa anche un solo precedente specifico, ciò che determinerebbe la conseguente irrilevanza della doglianza secondo cui egli risulterebbe gravato non da due precedenti penali ma da un solo precedente . Analogamente, non inciderebbe sulla correttezza logica del ragionamento dei giudici di merito la deduzione difensiva secondo cui sarebbe stato dimostrato che al momento della presentazione della richiesta ex art. 168 bis, c.p. davanti al primo giudice, era in corso una regolare rateizzazione volta a corrispondere all’Erario quanto dovuto per l’annualità in contestazione, atteso che si tratta di doglianza con cui si chiede a questa Corte di sostituirsi alla valutazione discrezionale, operata con motivazione non arbitraria e logicamente congrua, da parte dei giudici di merito, sostituzione che è inibita dalla natura della cognizione di pura legittimità di questa Corte che non può svolgere apprezzamenti che si risolvono in valutazioni di fatto . 8. Può quindi procedersi all’esame del secondo motivo, con cui si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 10 bis, d. lgs. numero 74 del 2000, laddove i giudici di merito hanno ritenuto provata la sussistenza dell’elemento oggettivo del reato contestato con riferimento al rilascio delle certificazioni. 9. La censura è fondata. 10. Come è noto, la questione posta dal motivo in esame è stata oggetto di un vivace dibattito dottrinario e giurisprudenziale, recentemente risolto dalle Sezioni Unite di questa Corte, chiamate a pronunciarsi sulla questione se, ai fini dell’accertamento del reato di cui all’articolo 10-bis d.lgs. 10 marzo 2000 numero 74, nel testo anteriore all’entrata in vigore dell’articolo 7, comma 1, lett. b , d.lgs. 24 settembre 2015, numero 158, per integrare la prova dell’avvenuta consegna ai sostituti delle certificazioni delle ritenute fiscali sia sufficiente la sola dichiarazione modello 770 proveniente dal datore di lavoro. Questa Corte, nella sua più autorevole composizione, ha risolto la questione giuridica controversa, affermando il principio secondo cui in tema di omesso versamento di ritenute certificate, alla luce della modifica apportata dall’art. 7, d.lgs. 24 settembre 2015, numero 158, all’art. 10-bis, d.lgs. 10 marzo 2000, numero 74, che ha esteso l’ambito di operatività della norma alle ipotesi di omesso versamento di ritenute dovute sulla base della dichiarazione proveniente dal datore di lavoro c.d. mod. 770 , deve ritenersi che, per i fatti pregressi, ai fini della prova del rilascio al sostituito delle certificazioni attestanti le ritenute operate, non è sufficiente la sola acquisizione della dichiarazione mod. 770 Sez. U, numero 24782 del 22/03/2018 - dep. 01/06/2018, Macerata, Rv. 272801 . 11. Orbene, con particolare riferimento alla questione centrale sollevata con il motivo in esame, la decisione delle Sezioni Unite è assolutamente chiara nell’affermare che ai fini della consumazione del reato in oggetto, occorre il rilascio delle certificazioni, sia che lo stesso venga configurato come elemento costitutivo del reato, sia invece che lo stesso venga configurato quale presupposto di esso. Le stesse Sezioni Unite, tuttavia chiariscono come ai fini di provare il rilascio delle certificazioni, non è necessaria l’acquisizione materiale delle certificazioni stesse, perché ben possono supplire prove documentali anche di altro genere o prove orali tra cui in primis le dichiarazioni rese dal sostituito , conclusione, questa, ritenuta dalle Sezioni Unite del tutto corretta e logicamente discendente, evidentemente, dal principio di atipicità delle prove penali insito nel disposto di cui all’art. 189 cod. proc. penumero , dovendo, dunque, anche qui ribadirsi l’incompatibilità, con l’assetto processuale penale, di un sistema di prove tipiche o legali. Infine, puntualizza il Supremo Collegio, non è in discussione il fatto che l’onere di tale prova incomba ancora una volta non essendo determinante sul punto la classificazione formale dell’elemento in oggetto quale elemento costitutivo o, piuttosto, quale presupposto del reato sul pubblico ministero giacché, riprendendo le parole della sentenza Leucci Sez. 3, numero 20778, del 06/03/2014, Leucci, Rv. 259182 , incombe appunto al pubblico ministero di provare i fatti costitutivi dell’addebito contestato, tra cui, per quanto qui interessa, il rilascio delle certificazioni e incombendo invece all’imputato provare i fatti estintivi o modificativi che paralizzino la pretesa punitiva . 12. Il problema posto dalla questione qui dedotta dalla difesa è quello non tanto di ritenere corretta l’affermazione della Corte d’appello circa il valore indiziario attribuibile alla presentazione del mod. 770 da parte dell’imprenditore-imputato affermazione che le Sezioni Unite mostrano di condividere, laddove sottolineano come le indicazioni contenute nel modello 770 non sono da sole idonee a provare il fatto del rilascio delle certificazioni, ma costituiscono comunque un indizio che, se può essere sufficiente in sede cautelare reale a fronte del differente standard dimostrativo richiesto Sez. 3, numero 46390 del 2017, Gambardella , e Sez. 3, numero 48591 del 2016, Pellicani , non lo è però in giudizio a fronte del canone, ad esso riferito, dell’accertamento al di là di ogni ragionevole dubbio cristallizzato dall’art. 533 cod. proc. penumero , quanto piuttosto di valutare la correttezza sul piano logico giuridico della successiva affermazione secondo cui vi sarebbe nel caso in esame un ulteriore elemento probatorio significativo, costituito dal fatto che l’imputato aveva concordato con l’Agenzia delle Entrate un piano di rientro con rateizzazione per il pagamento delle rate non versate, con scadenza al 31.05.2017. Proprio l’intervenuto accordo, secondo i giudici di appello, avrebbe fornito la prova logica dell’effettivo rilascio ai dipendenti delle relative certificazioni, mentre, secondo la difesa, sarebbe censurabile il criterio logico applicato dalla Corte territoriale, in quanto dall’accordo raggiunto con l’Agenzia delle Entrate potrebbe desumersi solo che l’imputato non ha versato quanto dovuto sulla base del mod. 770 e null’altro. 13. Orbene, ritiene il Collegio che la censura difensiva meriti accoglimento, atteso che se è ben vero che la presentazione del mod. 770 può costituire mero indizio del rilascio delle certificazioni ai sostituiti che necessita, in quanto tale, di essere valutato in base ai criteri dettati dall’art. 192, comma secondo, c.p.p. a norma del quale l’esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti , è altrettanto vero che, ai fini della prova, occorrono più indizi gravi, univoci e concordanti, valutati nel loro insieme unitario, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 192 del nuovo codice di rito, sicché il rigoroso e obiettivo accertamento del dato ignoto deve essere lo sbocco necessitato e strettamente consequenziale, sul piano logico-giuridico, per dare certezza alla attribuibilità del fatto illecito a un comportamento concludente dell’imputato con esclusione di ogni altra soluzione logica, in termini di equivalenza e di alternatività, sulla base degli elementi indiziari compiutamente esaminati, e con l’indicazione dei criteri, esenti da vizi, di valutazione della prova Sez. 2, numero 6461 del 08/02/1991 - dep. 11/06/1991, Ventura, Rv. 187619 . 14. Orbene, analizzando la vicenda processuale in esame, a ben vedere, ciò che la sentenza di appello indica come ulteriore elemento probatorio particolarmente significativo , altro non è che un ulteriore elemento indiziario, rappresentato da un comportamento dell’imputato, successivo al fatto oggetto di contestazione e sganciato dalla persona dell’imputato medesimo, in quanto il piano di rientro con l’Agenzia delle Entrate è stato concordato dall’imputato nella qualità di legale rappresentante della società per azioni S. e non quale persona fisica imputato diverso ragionamento, invece, si sarebbe potuto condurre ove vi fosse stata coincidenza soggettiva tra contribuente persona fisica ed imputato, ad esempio ove questi fosse stato titolare di ditta individuale . Ne consegue che del tutto priva di valore indiziario è la circostanza che il S. , quale legale rappresentante della società, abbia concordato il piano di rientro con l’Agenzia delle Entrate con rateizzazione per il pagamento delle rate non versate, con scadenza al 31.05.2017, posto che attribuire natura indiziante a detto comportamento, indipendentemente dall’esistenza di altri validi elementi di giudizio a suo carico, porterebbe ad un’inammissibile inversione dell’onere della prova, di tal che dovrebbe essere l’imputato a fornire la prova del mancato rilascio delle certificazioni ai sostituiti trattandosi, lo si ricordi per completezza, di fatti antecedenti alle modifiche che hanno interessato l’art. 10 bis, per effetto del d. Igs. numero 158 del 2015 , e non la pubblica accusa ad addurre gli elementi, convincenti, idonei a dimostrarne il rilascio. 15. Si tratta di una soluzione aborrita dalle stesse Sezioni Unite che, lucidamente, ribadiscono come il pubblico ministero non è comunque esonerato da tale prova per il fatto che l’imputato non abbia allegato circostanze ed elementi in senso contrario, non essendo, nell’ordinamento processuale penale, previsto un onere probatorio a carico dell’imputato modellato sui principi propri del processo civile Sez. 5, numero 32937 del 19/05/2014, Stanciu, Rv. 261657 , puntualizzando a tal proposito come sia norme sovraordinate di carattere generale internazionali specificamente l’art. 6.2. della Convenzione Edu e l’art. 14 numero 2 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, entrambe espressamente indicanti la necessità che la colpevolezza dell’accusato sia provata secondo legge e interne art. 25 Cost. in ordine alla presunzione di non colpevolezza sino alla condanna definitiva , sia norme processuali specificamente l’art. 533 cod. proc. penumero ove si stabilisce che il giudice pronuncia sentenza di condanna solo là dove l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio appaiono indicative della fissazione in senso sostanziale , a carico di chi sostenga la tesi di accusa nel processo penale, di un preciso onere di prova in tale ultimo senso, Sez. 3, numero 2393 del 2018, Vecchierelli, cit. . 16. Deve, conclusivamente, convenirsi con il ricorrente ritenendo mancante, nel caso in esame, la prova del rilascio delle certificazioni, rimanendo la presentazione del mod. 770 un elemento isolato, rimasto privo di riscontri oggettivi. 17. L’accoglimento di tale motivo, attesa la valenza assorbente del medesimo laddove la sua fondatezza comporta l’evidente insussistenza dell’elemento oggettivo del reato contestato, esime questa Corte dall’esaminare il terzo ed il quarto motivo, dei quali ne è superflua la trattazione, essendo gli stessi attinenti a profili di doglianza all’evidenza subordinati difetto dell’elemento psicologico del reato mancato riconoscimento della continuazione tra il fatto oggetto del presente giudizio e i fatti già giudicati con sentenza irrevocabile . 18. La sentenza dev’essere conclusivamente annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste. P.Q.M. La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.