Processo penale: irricevibile la comunicazione via PEC del difensore che intende astenersi dall’udienza

La Suprema Corte torna ancora una volta sull’utilizzo della PEC nel procedimento penale, ricordando come all’imputato e al suo difensore non è consentito l’utilizzo della PEC come forma generalizzata di comunicazioni o notificazioni, né per la presentazione di istanze.

Lo ha ribadito con sentenza n. 49459/18 depositata il 29 ottobre. Il caso. Il Tribunale del riesame rigettava l’istanza del decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP avente ad oggetto una somma di denaro rinvenuta in possesso di una straniera presso lo scalo aeroportuale di Malpensa. Contro tale ordinanza, la donna ricorre in Cassazione tramite il suo difensore deducendo violazione di legge per essersi tenuta l’udienza camerale in assenza del difensore che aveva provveduto a comunicare, tramite PEC, di aderire all’astensione dalle udienze. Le comunicazioni via PEC. La Corte di Cassazione ha più volte affermato che nel procedimento penale alle parti private non è consentito effettuare comunicazioni, notificazioni e istanze mediante l’utilizzo della PEC, pertanto nel caso di specie, la comunicazione fatta dal difensore era da considerare irricevibile. D’altronde, a decorrere dal 15 dicembre 2014 l’utilizzo della PEC nei processi penali è consentito solo per effettuare notificazioni da parte delle cancellerie a persona diversa dall’imputato. In conclusione, nell’ambito del procedimento penale, all’imputato e al suo difensore non è consentito l’utilizzo della PEC come forma generalizzata di comunicazioni o notificazioni, né per la presentazione di istanze il ricorso è, dunque, inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 11 luglio – 29 ottobre 2018, n. 49459 Presidente Davigo – Relatore Imperiali Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Con ordinanza del 3/5/2018 il Tribunale del riesame di Varese ha rigettato l’istanza di riesame del decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Busto Arsizio ed avente ad oggetto la somma di Euro 92.880 rinvenuta il 18/3/2018 in possesso di H.G. presso lo scalo aeroportuale di . 2. Avverso tale ordinanza propone ricorso per cassazione l’indagata, a mezzo del suo difensore, e deduce 2.1. La violazione di legge per essersi tenuta l’udienza camerale in assenza del difensore che aveva comunicato, tramite PEC, di aderire all’astensione dalle udienze proclamata dagli organismi di categoria. 2.2. La violazione di legge e la manifesta illogicità della motivazione, nel riconoscimento del fumus commissi delicti con riferimento all’indagata sulla base del mero possesso di somme di denaro raccolte in fascette di nastro adesivo con le iniziali o i nomi dei presunti destinatari. 3. Il ricorso è inammissibile in quanto proposto per motivi manifestamente infondati. 3.1. Con riferimento al primo motivo di ricorso, infatti, questa Corte di Cassazione ha ripetutamente chiarito che nell’ambito del procedimento penale alle parti private non è consentito effettuare comunicazioni, notificazioni ed istanze mediante l’utilizzo della della cd. PEC, la posta elettronica certificata Sez. 2, n. 31314 del 16/05/2017, Rv. 270702 Sez. 3, n. 7058 dell’11/02/2014, Rv. 258443, con riferimento ad un’istanza di rinvio per legittimo impedimento Sez. 1, n. 18235 del 28/01/2015, Rv. 263189, con riferimento ad un’istanza di rimessione in termini la dichiarazione del difensore della H. di adesione all’astensione dalle udienze penali proclamata dagli organismi di categoria era, pertanto, irricevibile. Per il disposto degli artt. 148 comma 2 bis, 149, 150, 151 comma 2 cod. proc. pen., e della legge n. 221 del 2012, di conversione del d.l. n. 179 del 2012, infatti, a decorrere dal 15/12/2014 l’utilizzo della PEC nei procedimenti penali è consentito soltanto per effettuare notificazioni da parte delle cancellerie a persona diversa dall’imputato. Nel processo civile, invece, l’art. 366 comma 2 cod. proc. civ. così come previsto dalla legge 12/11/2011 n. 183, che ha modificato la legge n. 53/1994 ha introdotto espressamente la PEC quale strumento utile per le notifiche degli avvocati autorizzati, e già il D.M. n. 44/2011 aveva disciplinato con maggiore attenzione l’invio delle comunicazioni e delle notifiche per via telematica dagli uffici giudiziari agli avvocati ed agli ausiliari del giudice nel processo civile, in attuazione dell’art. 51 della legge 6/8/2008 n. 133. La disposizione dell’art. 4 - che prevede l’adozione di un servizio di posta elettronica certificata da parte del Ministero della Giustizia in quanto ai sensi di quanto disposto dalla legge n. 24/2010 nel processo civile e nel processo penale tutte le comunicazioni e notificazioni per via telematica devono effettuarsi mediante posta elettronica certificata - è stata rinnovata anche dal d.l. 18/10/2012 n. 179, convertito con modificazioni dalla l. 17/12/2012 n. 221, che all’art. 16 ha sancito che nei procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Allo stesso modo si procede per le notificazioni a persona diversa dall’imputato a norma degli artt. 148 comma 2 bis, 149, 150, 151 comma 2 cod. proc. pen. La relazione di notificazione è redatta in forma automatica dai sistemi informatici in dotazione alla cancelleria Sez. 3, n. 7058 dell’11/02/2014, Rv. 258443, cit. . In coerenza con il tradizionale canone interpretativo inclusio unius, exclusio alterius, si è rilevato, pertanto, che tale disposizione indica espressamente la volontà del legislatore di consentire l’uso della PEC, nel processo penale, alle sole cancelleria altrimenti la stessa sarebbe inutile, non avendo senso consentire espressamente l’utilizzo della PEC alle cancellerie, se esso fosse consentito a tutti e, del resto, la previsione secondo cui la relazione di notificazione è redatta in forma automatica dai sistemi informatici in dotazione alla cancelleria conferma che l’utilizzo del mezzo è consentito all’ufficio di cancelleria, e non anche alle parti private, in quanto la mancata indicazione delle forme nelle quali dovrebbero essere redatte le relazioni delle notificazioni eseguite dalle parti private sarebbe altrimenti incomprensibile, poiché finirebbe con il legittimare l’assunto secondo cui le parti private non avrebbero necessità di documentare l’avvenuta notificazione a mezzo PEC così Sez. 2, n. 31314 del 16/05/2017, Rv. 270702 cit . Conseguentemente, nel procedimento penale, allo stato, all’imputato ed al suo difensore non è consentito l’utilizzo della posta elettronica certificata quale forma generalizzata di comunicazione o notificazione, né per la presentazione di istanze. 3.2. Anche il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato, in quanto, in tema di sequestro di somme di denaro genericamente collegato ad un fatto di reato, questa Corte di cassazione ha già avuto modo di rilevare che ai fini della legittimità del sequestro non è necessaria la prova del carattere di pertinenza o di corpo di reato delle cose oggetto del vincolo, essendo sufficiente la semplice possibilità, purché non astratta ed avulsa dalle caratteristiche del caso concreto, della configurabilità di un rapporto di queste con il reato Sez. 6, n. 33229 del 02/04/2014 Rv. 260339 . Tali fondamentali principi risultano rispettati nel caso di specie, in quanto, contrariamente all’assunto del ricorrente, il reato di riciclaggio presupposto dal sequestro non è oggetto di una mera ipotesi astratta basata esclusivamente sulla quantità del contante rinvenuto in possesso della H. , non confortata da alcun elemento concreto, bensì si fonda anche sulla valutazione dei redditi dichiarati dalla stessa, dedita ad attività di commercio al dettaglio e, pertanto, in condizioni economiche che hanno portato il Tribunale del riesame a ragionevolmente escludere che lo stesso possa derivare da una sua attività lecita, anche alla luce dei dispendiosi viaggi fra l’Italia e la Nigeria che la stessa è risultata essere solita effettuare. Inoltre, il provvedimento impugnato ha valorizzato anche le modalità del rinvenimento dell’ingente somma, custodita all’interno del bagaglio da stiva della H. , in procinto di imbarcarsi su un aereo per Lagos, ed ha rilevato che la ricorrente non ha fornito alcuna indicazione in ordine alle generalità dei soggetti che le avrebbero consegnato i contanti, raccolti con fascette di nastro adesivo recanti le iniziali o nomi dei presunti destinatari. Si tratta, pertanto, di elementi che rendono conto del percorso logico che ha portato il tribunale del riesame a riconoscere il fumus commissi delicti, per essere concreta la prospettazione di un’ipotesi di riciclaggio, così come il periculum in mora è stato ravvisato nella condotta dell’indagata, in procinto di portare all’estero il denaro di cui si tratta. 4. All’inammissibilità del ricorso consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in duemila Euro. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila a favore della Cassa delle Ammende.