Inosservanza del termine dilatorio per comparire: prevista per l’imputato la “rinotificazione” del decreto di citazione

Nell’ipotesi di notificazione all’imputato del decreto di citazione per il giudizio di appello senza l’osservanza del termine dilatorio per comparire, la tempestiva eccezione di nullità, sollevata dalla difesa, allorché l’imputato non sia comparso, non consente di procedere in sua assenza e di considerare lo stesso rappresentato dal difensore ai fini della conoscenza della data del necessario rinvio del processo disposto in udienza, ma impone la rinotificazione all’imputato del decreto stesso.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con sentenza n. 48367/18 depositata il 24 ottobre. Il caso. La Corte d’Appello confermava parzialmente la sentenza emessa dal giudice di prime cure nei confronti degli imputati, poi ricorrenti con riferimento ai reati loro ascritti. In particolare uno degli imputati ricorre in Cassazione con unico motivo, deducendo l’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità sul rilievo che non gli sarebbe stato garantito il termine dilatorio a difesa di 20 giorni, stabilito dall’art. 601 c.p.p. tra la notifica della citazione per il giudizio d’appello e l’udienza di discussione. La garanzia del termine dilatorio. Con il motivo di ricorso, nel caso in oggetto, l’imputato sostiene che la Corte territoriale, ritenuta l’inosservanza del termine dilatorio indicato nel fatto, aveva rinviato il processo disponendo la rinotifica” dell’atto di citazione, la quale però avveniva solo 3 giorni prima dell’udienza fissata senza che la sommatoria dei termini insufficienti relativi alle notifiche per le due udienze consentisse di raggiungere il termine a difesa. Sul tema da affrontare in questa sede, interviene la Suprema Corte con l’affermazione del seguente principio nell’ipotesi di notificazione all’imputato del decreto di citazione per il giudizio di appello senza l’osservanza del termine dilatorio per comparire di cui all’art. 601, comma 3, cod. proc. Pen., la tempestiva eccezione di nullità sollevata dalla difesa, allorché l’imputato non sia comparso, non consente di procedere in sua assenza e di considerare lo stesso rappresentato dal difensore ai fini della conoscenza della data del necessario rinvio del processo disposto in udienza, ma impone la rinotificazione all’imputato del decreto di citazione unitamente al verbale di udienza contenente la data del rinvio, assicurando per intero dalla data della notifica un nuovo termine di comparizione di venti giorni liberi . Sulla base del poc’anzi espresso, gli Ermellini annullano la sentenza impugnata senza rinvio, in accoglimento del motivo di ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 18 aprile – 24 ottobre 2018, n. 48367 Presidente Aceto – Relatore Reynaud Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 14 Settembre 2016, la Corte d’appello di Messina ha parzialmente confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Patti il 15 dicembre 2008 anche nei confronti degli imputati oggi ricorrenti, in particolare confermando la condanna di L.M. e M.F. in relazione al delitto associativo di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 loro ascritto con esclusione per il L. del ruolo di organizzatore , oltre che ad alcuni delitti-fine di cui all’art. 73 T.U. stup., e la condanna di C.S.B. e G.G. per alcuni reati riconducibili alla disposizione incriminatrice da ultimo richiamata. 2. Avverso la sentenza di appello, sono stati proposti i ricorsi per cassazione di seguito indicati, deducendosi i motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen. 3. In particolare, nell’interesse di L.M. , con il primo motivo, in relazione al reato di cui al capo 59, si deducono i vizi di violazione dell’art. 73 d.P.R. 309 del 1990, 125 e 192 cod. proc. pen., e di difetto di motivazione per aver la Corte territoriale operato un acritico rinvio per relationem al contenuto delle conversazioni intercettate trascritto nella sentenza di primo grado senza aver considerato che il correo L.A. era stato prosciolto dall’accusa al medesimo contestata, con conseguente necessità di ricostruire diversamente la dinamica dei fatti. 3.1. Con un ulteriore motivo quarto di ricorso si deducono i medesimi vizi con riguardo al reato di cui al capo 64, dolendosi della mancanza totale di motivazione in relazione alle doglianze difensive rassegnate nell’atto d’appello. 4. Nell’interesse di L.M. e M.F. , in relazione ai reati di cui ai capi 60 e 61, si deducono poi quale secondo motivo del ricorso comune presentato la violazione degli artt. 73 d.P.R. 309 del 1990, 125 e 192 cod. proc. pen., e il difetto di motivazione per essere stata la loro responsabilità affermata sulla base di elementi di mero sospetto, senza attribuire rilevanza alle dichiarazioni rese dal L. sin dall’interrogatorio, che consentirebbero di spiegare in termini di lecito rapporto commerciale le conversazioni telefoniche diversamente interpretate e addotte a sostegno della conferma della condanna. 4.1. Con il terzo motivo di ricorso, relativo al reato di cui al capo 63 ai medesimi ascritto, si deducono gli stessi vizi, dolendosi del fatto che la Corte territoriale abbia interpretato le conversazioni telefoniche erroneamente ritenendo che allorquando gli interlocutori parlavano di magliette marca essi intendessero riferirsi a cocaina, benché gli stessi investigatori escussi a dibattimento avessero riferito che L. aveva effettivamente inviato scatole di magliette contraffatte, prodotto che gli era stato sequestrato nel medesimo contesto temporale, a riprova dell’effettiva attività dal medesimo svolta in tale tipo di commercio. 4.2. Con il quinto motivo di ricorso, entrambi i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 73, comma 4, T.U. stup. - e degli artt. 125 e 192 cod. proc. pen. - nonché il difetto di motivazione con riguardo ai capi 63 e 64 sul rilievo che sarebbe stata ritenuta senza logica motivazione la natura di droga pesante della sostanza stupefacente oggetto di contestazione. 4.3. Con il sesto motivo di ricorso, si deducono i vizi di cui all’art. 606, comma 1, lett. b , d , e , cod. proc. pen. in relazione alla ritenuta responsabilità dei ricorrenti per il reato associativo loro contestato al capo 1. Si lamenta, in primo luogo, la mancata risposta alle doglianze rassegnate nell’atto d’appello, avendo la Corte territoriale operato un acritico rinvio per relationem alla motivazione della sentenza di primo grado quanto all’interpretazione delle conversazioni intercettate. Ci si duole, poi, del fatto che dalle prove non emergerebbero i requisiti dell’esistenza di una struttura, dello stabile accordo criminoso e della consapevolezza degli imputati di far parte di un’associazione, posto che le attività contestate sarebbero al più sussumibili nella sola fattispecie di cui all’art. 73 d.P.R. 309 del 1990, trattandosi di condotte poste in essere in modo saltuario e per un brevissimo arco temporale. Inoltre, la Corte d’appello non avrebbe considerato che nelle conversazioni intercettate gli interlocutori avrebbero fatto riferimento non già a sostanze stupefacenti, bensì a capi di abbigliamento contraffatti, donde l’utilizzo di un linguaggio criptico che è stato però erroneamente riferito ad illeciti traffici di droga. 5. Nel ricorso proposto nell’interesse di C.S.B. , con unico motivo si deduce l’inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità tempestivamente eccepita in giudizio - sul rilievo che non sarebbe stato garantito all’imputato il termine dilatorio a difesa di giorni 20 stabilito dall’art. 601 cod. proc. pen. tra la notifica della citazione per il giudizio di appello e l’udienza di discussione. Ritenuta l’inosservanza di detto termine per l’udienza del 21 gennaio 2016, la Corte d’appello aveva di fatti rinviato il processo all’udienza del 18 febbraio 2016 disponendo la rinotifica dell’atto di citazione, che però avveniva soltanto in data 15 febbraio 2016 senza che neppure la sommatoria dei termini insufficienti relativi alle notifiche per le due udienze 16 giorni nel primo caso e 3 giorni nel secondo consentisse di raggiungere il termine a difesa garantito dalla legge. 6. Nel ricorso proposto nell’interesse di G.G. , con unico motivo si deduce il vizio di apparenza della motivazione con particolare riguardo ai reati di cui ai capi 33 e 34 della rubrica. La sentenza impugnata si limiterebbe alla acritica citazione di passi di intercettazioni e di esiti di attività d’indagine seguiti da apodittici assunti che non forniscono risposta alle doglianze rassegnate nell’atto d’appello circa l’ascrivibilità delle condotte all’odierno ricorrente e le alternative interpretazioni allegate dalla difesa circa le lecite ragioni dei viaggi effettuati dal G. , per motivi di lavoro, verso la cittadina di omissis . Considerato in diritto 1. I motivi del ricorso presentato nell’interesse di L.M. e M.F. sono tutti inammissibili per le ragioni di seguito indicate, dovendo premettersi - trattandosi di doglianza ripetutamente sollevata in molti dei suddetti motivi, come pure nel ricorso proposto da G.G. - che in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 , potendo l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni essere oggetto di scrutinio soltanto nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, D’Andrea e aa., Rv. 268389 . 1.1. Quanto al primo motivo, lo stesso è generico e comunque manifestamente infondato, poiché il ricorrente L. si limita a censurare il ricorso da parte della Corte d’appello alla tecnica del rinvio per relationem alla sentenza di primo grado con particolare riguardo al contenuto delle comunicazioni intercettate ed alla ricostruzione del fatto di reato di cui al capo 59, dolendosi della mancata risposta ad una specifica censura mossa con il gravame, vale a dire che il L. , ricevuta una partita di cocaina da Mi.Al. in territorio napoletano, l’avrebbe affidata ad L.A. affinché la consegnasse presso un’area di servizio autostradale a M.M. per il trasporto in Sicilia. Va sul punto premesso che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la sentenza di appello confermativa della decisione di primo grado è viziata per carenza di motivazione se si limita a riprodurre la decisione confermata dichiarando in termini apodittici e stereotipati di aderirvi, senza dare conto degli specifici motivi di impugnazione che censurino in modo puntuale le soluzioni adottate dal giudice di primo grado e senza argomentare sull’inconsistenza o sulla non pertinenza degli stessi, non potendosi in tal caso evocare lo schema della motivazione per relationem Sez. 6, n. 49754 del 21/11/2012, Casulli e a., Rv. 254102 , ricadendosi invece in ipotesi di sostanziale elusione delle questioni poste dall’appellante Sez. 4, Sentenza n. 6779/2014 del 18/12/2013, Balzamo e a., Rv. 259316 . Nel caso di specie, tuttavia, nulla di ciò si è verificato e può invece richiamarsi il principio - che meglio si attaglia alla fattispecie sub iudice - secondo cui il giudice di appello può motivare la propria decisione richiamando le parti corrispondenti della motivazione della sentenza di primo grado quando l’appellante si sia limitato alla mera riproposizione delle questioni di fatto o di diritto già espressamente ed adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, ovvero abbia formulato deduzioni generiche, apodittiche, superflue o palesemente inconsistenti Sez. 6, n. 17912 del 07/03/2013, Adduci e a., Rv. 255392 . Nel giudizio di appello, invero, è consentita la motivazione per relationem alla pronuncia di primo grado, nel caso in cui le censure formulate dall’appellante non contengano elementi di novità rispetto a quelle già condivisibilmente esaminate e disattese dalla sentenza richiamata Sez. 2, n. 30838 del 19/03/2013, Autirieri e aa., Rv. 257056 è legittima, in particolare, la motivazione per relationem della sentenza di secondo grado, che recepisce in modo critico e valutativo quella impugnata, limitandosi a ripercorrere e ad approfondire alcuni aspetti del complesso probatorio oggetto di contestazione da parte della difesa, ed omettendo di esaminare quelle doglianze dell’atto di appello, che avevano già trovato risposta esaustiva nella sentenza del primo giudice Sez. 2, n. 19619 del 13/02/2014, Bruno e aa., Rv. 259929 . Con riguardo alla doglianza oggetto di ricorso, deve osservarsi come la stessa fosse stata logicamente e compiutamente disattesa già dal giudice di primo grado, il quale - dopo aver ricostruito l’episodio di cessione in contestazione in modo analitico, convincente e non specificamente contestato, attraverso il contenuto delle conversazioni telefoniche intercettate ed il sequestro di droga effettuato nei confronti di M.M. - aveva specificato che non appare necessario accertare attraverso quale vettore il napoletano n.d.r., L. abbia effettivamente consegnato il carico al siciliano n.d.r., M.M. , sicché, non rileva, in questa sede, la sentenza di non luogo a procedere pronunciata dal G.U.P. presso il Tribunale di Messina il 19 giugno 2007 nei confronti di L.A. . Che fosse stato quest’ultimo, oppure un altro, il vettore incaricato da L. di consegnare la droga a M. alla stazione di servizio autostradale, è circostanza irrilevante - ha logicamente osservato il giudice di merito - rispetto alla prova della responsabilità del L. quale ricostruita, e questa argomentazione non era stata specificamente censurata nelle laconiche censure mossa sul punto nei due atti d’appello proposti nell’interesse di L.M. , sicché non occorreva da parte della Corte territoriale alcuna ulteriore risposta. 1.2. Lo stringato quarto motivo del ricorso, con cui l’imputato L. si duole della mancata risposta alle doglianze relative all’affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo 64, è inammissibile per genericità. Va qui ribadito, di fatti, il principio secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione i cui motivi si limitino a lamentare l’omessa valutazione, da parte del giudice dell’appello, delle censure articolate con il relativo atto di gravame, rinviando genericamente ad esse, senza indicarne il contenuto, al fine di consentire l’autonoma individuazione delle questioni che si assumono irrisolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità, dovendo l’atto di ricorso contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica Sez. 3, n. 35964 del 04/11/2014, dep. 2015, B. e a., Rv. 264879, che ha evidenziato come l’applicazione del principio sia ancor più necessaria laddove, come nel caso di specie, la sentenza di appello, al cospetto di motivi che si limitano a riproporre questioni già articolatamente esaminate e risolte dal primo giudice, rinvii per relationem alla sentenza di questi, poiché in tal caso l’onere deduttivo del ricorrente non può ritenersi assolto dolendosi di una tale fisiologica evenienza processuale, che diventa patologica solo allorquando la conforme valutazione dissimuli la totale mancanza di motivazione su questioni specifiche all’epoca eccepite in sede di appello e che vanno chiaramente allegate in senso conforme Sez. 2, n. 13951 del 05/02/2014, Caruso, Rv. 259704 Sez. 2, n. 9029 del 05/11/2013, dep. 2014, Mirra, Rv. 258962 . Nel caso di specie, peraltro, sono stati per l’imputato L. addirittura proposte sul punto due dichiarazioni di appello contenenti motivi solo in parte coincidenti datati 20.07.2009 e 16/10/2009 , sicché a maggior ragione non si comprendono gli specifici profili di doglianza fatti oggetto di ricorso. 1.3. Il secondo motivo di ricorso, comune a L. e M. , è del pari inammissibile perché sollecita questa Corte ad una non consentita ricostruzione del fatto ed è generico, non confrontandosi con le motivazioni addotte nelle conformi sentenze di merito circa la penale responsabilità degli imputati in ordine ai reati cui ai capi 60 e 61. Ed invero, la norma di cui all’art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen. consente al giudice di legittimità unicamente il sindacato sulla logicità della motivazione, limitando la possibilità di censura al solo caso in cui essa sia manifesta, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, restando ininfluenti le minime incongruenze e dovendosi considerare disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, appaiano logicamente incompatibili con la decisione adottata cfr. Sez. 2, n. 1405 del 10/12/2013, Cento e a., Rv. 259643 . L’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione, inoltre, ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali e senza che sia possibile dedurre nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099 . Alla Corte di cassazione sono infatti precluse la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482 . Quando - a pag. 6 del ricorso - si afferma che non può escludersi essere vera la tesi sostenuta dall’imputato L. nell’interrogatorio circa il fatto che le transazioni oggetto di contestazione si riferissero a capi di abbigliamento piuttosto che a sostanze stupefacenti, non si fa altro se non evocare una diversa ricostruzione del fatto, rispetto a quella fatta dai giudici di merito con argomentazioni non illogiche. Neppure viziata da illogicità - e quindi insindacabile in questa sede, giusta i principi richiamati in apertura - è l’interpretazione data dai giudici di merito alle conversazioni telefoniche intercettate, il cui riferimento agli stupefacenti ha trovato peraltro riscontro nel sequestro della modica quantità di droga effettuato nei confronti di M.M. , che spiega le successive conversazioni effettuate dai correi secondo le convincenti argomentazioni svolte dai giudici di merito, la cui logicità non viene specificamente contestata. 1.4. Il quinto motivo, comune, di ricorso è inammissibile perché si tratta di doglianza che - stando alla sentenza impugnata - non era stata specificamente dedotta avanti al giudice d’appello, né tale circostanza è espressamente allegata dai ricorrenti. Richiamando consolidati principi affermati con riguardo alla causa di inammissibilità di cui all’art. 606, comma 3, ult. parte, cod. proc. pen., deve allora ribadirsi che laddove si deduca con il ricorso per cassazione la mancanza di motivazione del giudice di secondo grado rispetto ad una questione devoluta alla sua cognizione, occorre procedere alla specifica contestazione del riepilogo dei motivi di gravame, contenuto nel provvedimento impugnato, che non menzioni la doglianza proposta in sede di impugnazione di merito, in quanto, in mancanza della predetta contestazione, il motivo deve ritenersi proposto per la prima volta in cassazione Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017, Ciccarelli e a., Rv. 270627 Sez. 2, n. 9028/2014 del 05/11/2013, Carrieri, Rv. 259066 . Nella specie ciò non è stato fatto e per ciò solo il ricorso sarebbe inammissibile per genericità. L’esame degli atti d’appello ha peraltro consentito al Collegio di verificare che la questione della natura della droga - pesante o leggera - oggetto dei fatti contestati ai capi 63 e 64 non era stata effettivamente devoluta nel gravame né, a quanto consta, in motivi aggiunti che pure si sarebbero potuti presentare a seguito delle modifiche del quadro normativo evocate in ricorso e di quelle prodottesi in forza della sent. Corte cost. n. 32 del 2014 , sicché, da un lato, per la preclusione posta dall’art. 606, comma 3, cod. proc. pen., la denunciata violazione di legge non può essere per la prima volta proposta nel giudizio di cassazione e, d’altro lato, non può sul punto prospettarsi il vizio di motivazione, ricavandosi dalla menzionata disposizione il principio secondo cui è precluso dedurre per la prima volta in sede di legittimità questioni di cui il giudice dell’impugnazione sul merito non era stato investito cfr. Sez. 5, n. 3560 del 10/12/2013, dep. 2014, Palmas e aa., Rv. 258553 . 1.5. Pure inammissibile è il sesto motivo di ricorso. Quanto al denunciato acritico rinvio per relationem alla motivazione della sentenza di primo grado con riguardo all’interpretazione delle conversazioni intercettate, si richiamano i principi di diritto più sopra esposti, osservandosi come fossero generiche le doglianze proposte sul punto nell’atto d’appello rispetto all’analitica e argomentata motivazione della sentenza di primo grado. La Corte territoriale ha peraltro non illogicamente rilevato come il fatto che L. commerciasse anche capi di abbigliamento e oggetti contraffatti non inficia la ricostruzione delle conversazioni come riferite a transazioni illecite di stupefacenti, ed in particolare di cocaina, ciò che ha peraltro trovato conferma nei sequestri operati nei confronti di M.M. . Si osserva, inoltre pp. 20-21 come i dialoghi sarebbero incongruenti se davvero il contenuto fosse quello - apparente - di capi di abbigliamento e di come in altre conversazioni si parli, in modo avulso e decontestualizzato, di macchine piuttosto che di magliette . 1.5.1. Quanto alla doglianza relativa alla mancanza di prova circa i requisiti strutturali richiesti per la sussistenza del reato di cui all’art. 74 T.U. stup., osserva il Collegio che i giudici di merito abbiano fatto corretta applicazione del consolidato orientamento, che trae linfa dall’interpretazione dei reati associativi previsti dal codice penale, secondo cui ai fini della configurabilità di un’associazione finalizzata al narcotraffico, è necessario a che almeno tre persone siano tra loro vincolate da un patto associativo sorto anche in modo informale e non contestuale avente ad oggetto un programma criminoso nel settore degli stupefacenti, da realizzare attraverso il coordinamento degli apporti personali b che il sodalizio abbia a disposizione, con sufficiente stabilità, risorse umane e materiali adeguate per una credibile attuazione del programma associativo c che ciascun associato, a conoscenza quantomeno dei tratti essenziali del sodalizio, si metta stabilmente a disposizione di quest’ultimo Sez. 6, n. 7387 del 03/12/2013, dep. 2014, Pompei, Rv. 258796 Sez. 4, n. 44183 del 02/10/2013, Alberghini, Rv. 257582 . La commissione di ripetuti reati di cessione di partite di stupefacenti ex art. 73 d.P.R. 309 del 1990 - nella specie provata per quanto più sopra osservato - rappresenta un indice sintomatico dell’esistenza dell’associazione cfr. Sez. 6, n. 1343 del 04/11/2015, dep. 2016, Policastri, Rv. 265890 Sez. 6, n. 50965 del 02/12/2014, D’Aloia, Rv. 261379 Sez. 6, n. 44102 del 21/10/2008, Cannizzo e aa., Rv. 242397 , che nel caso di specie non illogicamente i giudici di merito hanno ritenuto accertata, facendo corretta applicazione di ripetuti principi di diritto, con riferimento all’accordo tra i sodali, all’affectio societatis ed alla struttura organizzativa coinvolgente, da un lato Mi.Al. e L.M. quali fornitori dello stupefacente operanti nel napoletano, d’altro lato M.F. e F.R. quali destinatari delle cessioni, finalizzate alla successiva vendita al dettaglio sul mercato siciliano, con lo stabile e consapevole apporto di M.M. quale corriere. La stabilità ed il carattere organizzato della struttura, in particolare, sono stati dalla Corte territoriale non illogicamente ricavati dalla ripetitività delle condotte secondo canoni che ne dimostrano la commissione con modalità collaudate nel tempo ed identità dei ruoli dei diversi compartecipi, a dimostrazione di oleati meccanismi relazionali - chiosa la sentenza impugnata - che certamente denotano un sostrato organizzativo strumentale alla realizzazione di uno scopo che si proietta oltre la consumazione dei singoli reati-fine cfr. Sez. 3, n. 9457/2016 del 06/11/2015 Rv. 266286 . Già la sentenza di primo grado pag. 132 aveva peraltro logicamente argomentato l’affectio societatis nel contegno tenuto dai correi in occasione dei controlli e dell’arresto patiti dal corriere M.M. senza mai adottare comportamenti che evocassero forme di contrapposizione o conflittualità, avendo sempre prevalso il senso di appartenenza e la comunanza di interessi e a proposito dell’accennato arresto la sentenza impugnata rileva come M.F. e F. si siano preoccupati della sua assistenza legale. Secondo un orientamento parimenti consolidato, del resto, non è richiesta la presenza di una complessa e articolata organizzazione dotata di notevoli disponibilità economiche, ma è sufficiente l’esistenza di strutture, sia pure rudimentali, deducibili dalla predisposizione di mezzi, per il perseguimento del fine comune, create in modo da concretare un supporto stabile e duraturo alle singole deliberazioni criminose, con il contributo dei singoli associati Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, Corso e aa., Rv. 258165 . Nel caso di specie la sentenza impugnata individua tali strutture nella copertura dell’attività commerciale svolta dal L. che proprio per questo, osservano i giudici di merito, nelle conversazioni intercettate utilizzava un linguaggio riferito alla cessione di capi di abbigliamento con cui cercava di dissimulare il diverso oggetto illecito delle transazioni e nell’attività di autotrasportatore dalla Sicilia alle regioni del Nord Italia svolta da M.M. . Contrariamente a quanto sostengono i ricorrenti, ricorre, pertanto, l’elemento differenziale tra l’ipotesi associativa ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 e quella del concorso ai sensi degli artt. 110 cod. pen. e 73 del citato d.P.R., che, appunto, risiede principalmente nell’elemento organizzativo, in quanto la condotta punibile a titolo di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti non si riduce ad un semplice accordo delle volontà, ma consiste in un quid pluris, che si sostanzia nella predisposizione di una struttura organizzata stabile che consenta la realizzazione concreta del programma criminoso Sez. 6, n. 27433 del 10/01/2017, Avelino e a., Rv. 270396 . Dalle significative conversazioni intercettate i giudici di merito hanno correttamente ravvisato quell’elemento aggiuntivo e distintivo del delitto di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 rispetto alla fattispecie del concorso di persone nel reato continuato in materia di traffico di stupefacenti che va individuato nel carattere stabile dell’accordo criminoso, e, quindi nella presenza di un reciproco impegno alla commissione di una pluralità di reati Sez. 6, n. 28252 del 06/04/2017, Di Palma e aa., Rv. 270564 . D’altra parte, secondo il consolidato orientamento di questa Corte regolatrice, ai fini della configurabilità del delitto di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti è sufficiente l’esistenza tra i singoli partecipi di una durevole comunanza di scopo, costituita dall’interesse ad immettere sostanza stupefacente sul mercato del consumo, non essendo invece di ostacolo alla costituzione del rapporto associativo la diversità degli scopi personali e degli utili che i singoli partecipi, fornitori ed acquirenti si propongono di ottenere dallo svolgimento della complessiva attività criminale Sez. 3, n. 6871 del 08/07/2016, dep. 2017, Bandera e aa., Rv. 269150 Sez. 4, n. 4497 del 16/12/2015, dep. 2016, Addio e aa., Rv. 265945 . Pertanto integra la condotta di partecipazione ad un’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti la costante disponibilità all’acquisto - come pure alla vendita - delle sostanze stupefacenti di cui il sodalizio illecito fa traffico, ove sussista la consapevolezza che la stabilità del rapporto instaurato garantisce l’operatività dell’associazione, rivelando in tal modo la presenza del cd. affectio societatis tra gli acquirenti ed i fornitori Sez. 1, n. 30233 del 15/01/2016, Giaquinto e a., Rv. 267991 . Detta condotta, di fatti, agevola lo svolgimento dell’attività criminosa del gruppo organizzato ed assicura la realizzazione del suo programma delittuoso, sempre che si accerti che essa è posta in essere avvalendosi continuativamente delle risorse dell’organizzazione, con la coscienza e volontà dell’autore di farne parte e di contribuire al suo mantenimento Sez. 6, n. 9927 del 05/02/2014, D’Affronto e a., Rv. 259114 . La sentenza impugnata pag. 20 argomenta altresì la perfetta conoscenza da parte del L. del ruolo di tutti gli altri compartecipi, con i quali tutti egli teneva personalmente rapporti, così come è pacifico - risultando dalle conversazioni telefoniche il cui contenuto viene riportato nelle sentenze soprattutto in quella di primo grado - il rapporto diretto di M.F. quantomeno con M.M. , L. e F. . Benché le sentenze di merito non evidenziano rapporti diretti tra M.F. e Mi.Al. , non per ciò può escludersi la sussistenza del reato, giusta il principio secondo cui non è richiesta la conoscenza reciproca fra tutti gli associati, essendo sufficiente la consapevolezza e la volontà di partecipare, assieme ad almeno altre due persone aventi la stessa consapevolezza e volontà, ad una società criminosa strutturata e finalizzata secondo lo schema legale Sez. 6, n. 11733 del 16/02/2012, Abboubi e aa., Rv. 252232 . Del pari manifestamente è infondata è la doglianza secondo cui difetterebbe la stabilità del sodalizio perché - stando alle prove acquisite - lo stesso sarebbe durato solo tre mesi circa. Nell’indicare tale lasso di tempo, i ricorrenti fanno riferimento unicamente al periodo in cui furono accertati i reati-fine oggetto di imputazione, ma i giudici di merito - significativi, sul punto, i rilievi contenuti nella sentenza di primo grado a pag. 132 - danno atto, da un lato, di come nelle conversazioni telefoniche i correi facessero riferimento anche a pregresse vicende e, d’altro lato, di come le modalità delle condotte illecite accertate attestassero un modus operandi consolidato e da tempo attuato. 2. È inammissibile anche il ricorso proposto nell’interesse di G.G. , dovendo richiamarsi i principi sopra esposti sulla legittimità - anche in questo caso - del ricorso alla motivazione per relationem, essendo stati ritenuti chiari ed insuscettibili di alternative interpretazioni i dialoghi intercettati, dettagliatamente riportati nella sentenza di primo grado, cui ha fatto da riscontro l’arresto dell’imputato in data OMISSIS con 2,1 Kg. di hashish e 210 gr. di cocaina. L’atto d’appello censurava peraltro genericamente il significato dato dal giudice di primo grado alle conversazioni telefoniche intercettate - significato integralmente condiviso dalla Corte territoriale - indicando quale alternativa chiave di lettura una non meglio precisata necessità per il G. di spostarsi dal suo luogo di residenza Palermo per incontrare a OMISSIS tale P.G. per ragioni legate alla normale attività lavorativa svolta dal G. che lo induceva spesso a spostarsi . Si proponeva, quindi, quantomeno in chiave ragionevolmente dubitativa parlandosi di ipotesi difensiva non così peregrina una diversa ricostruzione del fatto che il giudice di secondo grado non ha ritenuto verosimile e che - per i principi di diritto più sopra richiamati questa Corte di legittimità non può sindacare, essendo non illogica e non contrastante con comuni massime di esperienza l’interpretazione data dai giudici di merito al linguaggio volutamente criptico utilizzato da G. e dai suoi interlocutori nelle telefonate intercettate. Quanto all’unica ulteriore doglianza relativa alla valutazione della prova testimoniale della signora O.R. , la Corte territoriale fornisce una motivazione che non è manifestamente illogica e che parimenti non può essere sindacata in questa sede, essendosi peraltro osservato come con riguardo alla consegna di merce relativa a quel fatto l’imputato, nelle conversazioni, avesse utilizzato lo stesso termine riviste impiegato per indicare l’oggetto della consegna che aveva in animo di fare a P.G. il OMISSIS , quando gli fu sequestrata la droga nella apprezzabile quantità indicata. 3. È invece fondato il ricorso proposto da C.S.B. . Dagli atti risulta che all’udienza del 21 gennaio 2016, rilevando che la notifica del decreto di citazione per il dibattimento d’appello al suddetto imputato - non presentatosi - era stata effettuata soltanto il precedente 5 gennaio, con conseguente inosservanza del termine dilatorio di giorni 20 stabilito dall’art. 601 cod. proc. pen., la Corte territoriale aveva rinviato il processo all’udienza del 18 febbraio 2016, disponendo la notifica all’imputato del decreto di citazione a giudizio e del verbale di udienza. La notifica era quindi stata effettuata a mani dell’imputato il successivo 15 febbraio e all’udienza del 18 febbraio il difensore di C.S.B. aveva eccepito la mancata rituale citazione dell’imputato sul rilievo che, pur considerando la somma dei termini tra la prima notificazione e l’udienza del 21 gennaio e la seconda notificazione e l’udienza del 18 febbraio, non era stato assicurato il termine a difesa previsto dalla legge di 20 giorni essendo lo stesso complessivamente pari a 19 giorni . La Corte territoriale aveva tuttavia respinto l’eccezione e disposto procedersi in assenza dell’imputato. A tale udienza il procuratore generale aveva quindi effettuato la requisitoria ed all’udienza del 14 settembre 2016 - svolta la discussione delle difese - la Corte d’appello di Messina aveva pronunciato sentenza nell’assenza dell’imputato C.B.S. che era stato invece presente al processo di primo grado . 3.1. Osserva in primo luogo il Collegio che, tempestivamente eccependo la nullità afferente al mancato rispetto del termine garantito dall’art. 601, comma 3, cod. proc. pen., all’udienza del 18 febbraio 2016, la difesa ha impedito che si producesse la preclusione prevista dall’art. 182, commi 2 e 3, cod. proc. pen., trattandosi di nullità da ritenersi relativa secondo il maggioritario e preferibile orientamento di questa Corte. Ed invero, l’art. 182, comma 2, cod. proc. pen. richiama, tra l’altro, la previsione del precedente art. 181, comma 3, cod. proc. pen., a norma del quale le nullità concernenti il decreto che dispone il giudizio devono essere eccepite entro il termine previsto dall’art. 491 comma 1 , sicché - trattandosi di norma di carattere generale applicabile anche al giudizio di appello - l’inosservanza del termine di comparizione dell’imputato di cui all’art. 601, comma 3, cod. proc. pen. costituisce una nullità relativa, che è sanata se non eccepita nei termini di cui all’art. 181, comma 3, cod. proc. pen., e, precisamente, subito dopo l’accertamento della costituzione delle parti Sez. 6, n. 46789 del 26/09/2017, Lusha e a., Rv. 271495 Sez. 3, n. 13109 del 01/02/2017, A., Rv. 269337 Sez. 3, n. 27414 del 04/03/2014, Galati, Rv. 259302 . 3.2. Ciò premesso, il rigetto dell’eccezione di nullità da parte della Corte territoriale è da ritenersi illegittimo, non essendo stato osservato il termine a comparire previsto dall’art. 601, comma 3, cod. proc. pen 3.2.1. Va preliminarmente osservato come, ai fini del rispetto di detto termine, non possa valere la circostanza che decorsero effettivamente più di 20 giorni tra l’udienza del 15 gennaio e quella successiva del 18 febbraio a cui il dibattimento fu rinviato stante la nullità, per mancata osservanza del termine, della prima notificazione. In particolare, non può trovare applicazione la regola disciplinata dall’art. 184, commi 2 e 3, cod. proc. pen. - secondo cui, nel caso di nullità della citazione per il dibattimento, laddove la parte compaia al solo, dichiarato, intento di far rilevare l’invalidità, ha diritto ad un termine a difesa non inferiore a venti giorni, senza che sia necessaria una nuova notifica. Ed invero, proprio perché la parte è presente si giustifica in tal caso la deroga al principio generale della rinnovazione dell’atto nullo sancita dall’art. 185, comma 2, cod. proc. pen. e ribadita, con specifico riguardo alla nullità delle citazioni e delle notificazioni, dall’art. 420, comma 2, cod. proc. pen., disposizione da ritenersi applicabile anche al giudizio dibattimentale di primo e secondo grado benché non richiamata - deve ritenersi, per mera dimenticanza - dall’art. 484, comma 2 bis, cod. proc. pen. E per parte” deve intendersi il destinatario della citazione, vale a dire l’imputato quando la stessa sia a lui diretta, non potendosi in tal caso fare applicazione della regola generale secondo cui, in caso di assenza, l’imputato è rappresentato dal difensore art. 420 bis, comma 3, cod. proc. pen. . Come anche rivela la successione cronologica delle disposizioni generali appena richiamate, la prosecuzione del processo in assenza dell’imputato presuppone infatti l’intervenuto, regolare, accertamento della costituzione delle parti e dell’instaurazione del contraddittorio, sicché non può essere considerato assente l’imputato la cui vocatio in ius sia nulla. Non può condividersi, quindi, il principio - in talune occasioni affermato da questa Corte - secondo cui nell’ipotesi in cui all’imputato sia stato regolarmente notificato il decreto di citazione per il giudizio di appello, ma non sia stato osservato il termine dilatorio per comparire di cui all’art. 601 cod. proc. pen., nessuna nullità si verifica ove il giudice rinvii preliminarmente il processo ad altra udienza, concedendo per intero un nuovo termine di venti giorni, senza disporre la notificazione dell’ordinanza di rinvio all’imputato assente, in quanto l’avviso orale della successiva udienza rivolto al difensore vale anche come comunicazione all’interessato Sez. 4, n. 45758 del 15/04/2016, Sbarro, Rv. 268125 Sez. 2, n. 52599 del 04/12/2014, Chines, Rv. 261630 . Mentre la prima delle decisioni citate si limita a richiamare il principio espresso dalla seconda, quest’ultima lo argomenta sul rilievo che non era affatto necessario notificare all’imputato né un nuovo decreto di citazione e neppure l’ordinanza di rinvio del procedimento, in quanto era presente all’udienza il difensore, cui spetta per legge la rappresentanza dell’imputato, dimodoché l’avviso orale del rinvio rivolto al difensore vale anche come avviso comunicato all’imputato Sez. 2, n. 52599 del 04/12/2014, Chines, in motivazione . Da questa giurisprudenza ha peraltro già preso le distanze - in motivazione - Sez. 6, n. 3366 del 20/12/2017, dep. 2018, T. Rv. 272141 . Reputa il Collegio che la rappresentanza dell’imputato da parte del difensore si configuri soltanto nel caso di assenza art. 420 bis, comma 3, cod. proc. pen. , come in precedenza esisteva per il solo caso della contumacia art. 420 quater, comma 2, cod. proc. pen., nella versione vigente prima della sostituzione dell’articolo operata con art. 9, comma 3, legge 28 aprile 2014, n. 67 , ma la nullità della notifica della citazione per mancato rispetto del termine a comparire, come detto, non consente di poter ritenere effettuato quel necessario controllo sulla regolare costituzione delle parti che è oggi propedeutico alla possibilità di procedere in assenza dell’imputato, così come lo era un tempo per la declaratoria di contumacia secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale il mancato rispetto del termine minimo per la comparizione a giudizio dell’imputato preclude la possibilità di dichiararne la contumacia se lo stesso non è presente all’udienza, anche quando a questa compare il suo difensore Sez. 1, n. 44224 del 17/09/2014, Hofner Von Balia, Rv. 260844 . Questo orientamento si fondava appunto sul non controverso principio per cui, in difetto di declaratoria di contumacia, l’imputato non potesse considerarsi rappresentato dal difensore, di tal che l’eventuale rinvio dell’udienza di comparizione alla quale egli non fosse stato presente doveva necessariamente essergli notificato a pena di nullità Sez. 4, n. 24955 del 26/04/2017, Cervellati, Rv. 269948 Sez. 6, n. 30705 del 24/06/2016, K. Rv. 267684 Sez. 1, n. 18147 del 02/04/2014, Messina, Rv. 261995 Sez. 5, n. 13283 del 17/01/2013, Bucca, Rv. 255188 . Questi principi, del resto, sono stati nel caso di specie inizialmente osservati dalla Corte territoriale, che, all’udienza del 21 gennaio 2016, avendo dichiarato l’assenza degli altri coimputati e non anche di C.S.B. , pur essendo presente il di lui difensore di fiducia, ha appunto disposto la rinotifica al predetto imputato del decreto di citazione a giudizio unitamente al verbale dell’udienza. Inopinatamente - ed incongruamente - tuttavia, il rapporto difensivo fiduciario è stato richiamato nell’ordinanza emessa alla successiva udienza del 18 febbraio 2016 per respingere - senza addurre argomentazioni in diritto l’eccezione di nullità sollevata dalla difesa a fronte dell’invalidità della seconda notificazione per nuovo mancato rispetto del termine a comparire. 3.2.2. Non ricorrendo, per quanto detto, le condizioni per poter fare applicazione dell’art. 184 cod. proc. pen. neppure in tale occasione, s’imponeva infatti il rispetto della già citata regola generale della rinnovazione dell’atto nullo. In fattispecie analoghe a quella in esame, la giurisprudenza maggioritaria di questa Corte ha infatti statuito che la rinnovazione della citazione per il giudizio d’appello impone il rispetto ex novo del termine a comparire di venti giorni computato dal ricevimento della nuova notifica, non essendo consentito assicurare con quest’ultima la mera integrazione del termine originario insufficiente, occorrendo provvedere alla sua integrale rinnovazione, di modo che sia sempre garantito un termine libero di venti giorni con carattere consecutivo, trattandosi di termine previsto per garantire in modo adeguato l’intervento, l’assistenza e la rappresentanza dell’imputato Sez. 4, n. 40897 del 28/09/2012, Migliorino, Rv. 255005 Sez. 6, n. 19744 del 05/02/2013, Vicente Melgar, Rv. 257643 Sez. 5, n. 30075 del 18/06/2010, Mallia, Rv. 247908 Sez. 5, Sentenza n. 2954 del 10/11/2009, dep. 2010, Maggiolini, Rv. 245844 . Lo stesso principio, del resto, è stato applicato con riferimento ad altre tipologie di giudizio cfr. Sez. U, n. 8881 del 30/01/2002, Munerato Carlino, Rv. 220841, relativa alla notifica dell’avviso di fissazione del procedimento di riesame Sez. 5, n. 16732 del 31/01/2018, Reinard, Rv. 272865, in tema di citazione per il giudizio immediato Sez. 1, n. 34077 del 01/07/2014, Arini, Rv. 263223, con riguardo all’avviso di fissazione di udienza avanti al tribunale di sorveglianza . Quand’anche si sommassero i due termini liberi a difesa individuati tra la data delle notificazioni e quella delle udienze come ritenuto corretto da una giurisprudenza di legittimità risalente e decisamente minoritaria v. Sez. 3, n. 12278 del 18/01/2007, D’Ambrosio, Rv. 236808 , nel caso di specie - come si è sottolineato - non si raggiungerebbe comunque il termine complessivo di venti giorni liberi previsto dalla legge che il termine dilatorio in esame si computi a giorni liberi è opinione non controversa per tutte, Sez. 4, n. 10322 del 06/02/2009, Mattia, Rv. 242774 . Conclusivamente - e difformemente da quanto ritenuto dalla giurisprudenza riportata supra, sub § . 3.2.1., prima parte - deve quindi affermarsi il principio secondo cui, nell’ipotesi di notificazione all’imputato del decreto di citazione per il giudizio di appello senza l’osservanza del termine dilatorio per comparire di cui all’art. 601, comma 3, cod. proc. pen., la tempestiva eccezione di nullità sollevata dalla difesa, allorché l’imputato non sia comparso, non consente di procedere in sua assenza e di considerare lo stesso rappresentato dal difensore ai fini della conoscenza della data del necessario rinvio del processo disposto in udienza, ma impone la rinotificazione all’imputato del decreto di citazione unitamente al verbale di udienza contenente la data del rinvio, assicurando per intero dalla data della notifica un nuovo termine di comparizione di venti giorni liberi. 4. La mancata declaratoria di nullità della notificazione del decreto di citazione a giudizio in appello nei confronti di C.S.B. all’udienza del 18 febbraio 2016 ha determinato la nullità degli atti successivi e del conseguente giudizio nei suoi confronti art. 185, comma 1, cod. proc. pen. , con necessità di disporre la regressione del procedimento allo stato ed al grado in cui è stato compiuto l’atto nullo art. 185, comma 3, cod. proc. pen. . In accoglimento del ricorso proposto dal suddetto imputato, deve pertanto disporsi l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla sua posizione, con trasmissione degli atti alla Corte d’appello di Reggio Calabria per nuovo giudizio. Trattandosi di dodici reati qualificati come violazione dell’art. 73 T.U. stup., undici dei quali aventi ad oggetto condotte illecite relative a cocaina e una soltanto il capo 37 avente ad oggetto in parte hashish senza che sia stato argomentato se per la restante parte si trattasse o meno di droga c.d. pesante , i delitti non possono di fatti dirsi ad oggi prescritti, questione peraltro neppure prospettata dalla difesa del ricorrente. 5. Alla declaratoria di inammissibilità dei restanti ricorsi, tenuto conto della sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., oltre all’onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma equitativamente fissata in Euro 2.000,00 per ciascun ricorrente. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di C.S.B. e ordina la trasmissione degli atti alla Corte d’appello di Reggio Calabria. Dichiara inammissibili i ricorsi di L. , M. , G. e condanna i predetti ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.