L’ammissione al beneficio in caso di errati documenti fiscali non riferibili al dichiarante

Integrano il delitto di cui all’art. 95 d.P.R. n. 115/2002 le false indicazioni e le omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione e in ogni altra dichiarazione prevista per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio .

Sul punto è tornata ad esprimersi la Suprema Corte con sentenza n. 47760/18 depositata il 19 ottobre. Il caso. L’imputato ricorre per la cassazione della sentenza di secondo grado che, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, aveva dichiarato l’imputato non punibile per il reato di cui all’art. 95 d.P.R. n. 115/2002 per particolare tenuità del fatto. La fattispecie del reato. Come già affermato dalla Corte di Cassazione in casi simili alla fattispecie in esame, integrano il delitto di cui all’art. 95 d.P.R. n. 115/2002 le false indicazioni e le omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione e in ogni altra dichiarazione prevista per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio . Dunque, la responsabilità per il reato in oggetto deriva dalla violazione del succitato art. 95 e assume rilievo la inesigibilità della condotta alternativa lecita quando il dichiarante sia tratto in inganno da documenti fiscali, predisposti dall’amministrazione pubblica o da terzi, tali da indurre in confusione sulla consistenza dell’entrata patrimoniale, da considerare ai fini dell’ammissione al beneficio, che non riguardi la persona del dichiarante. Ebbene, nel caso in esame, il ricorso va accolto, secondo gli Ermellini, e la sentenza impugnata va cassata dato che il giudice ha omesso di considerare come gli emolumenti percepiti dalla moglie del dichiarante fossero riferibili ad una voce indennitaria, riconducibile al contributo della disoccupazione che non era sto inserito nella dichiarazione fiscale, cosicché una semplice verifica cartolare dell’Agenzia delle Entrate non avrebbe consentito al ricorrente di acquisire contezza dell’entrata in oggetto e quindi di riportare tale voce reddituale nell’auto-certificazione.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 11 luglio – 19 ottobre 2018, n. 47760 Presidente Izzo – Relatore Bellini Ritenuto in fatto 1. F.G. ricorre avverso la sentenza in epigrafe che in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Patti aveva dichiarato l’imputato non punibile per il reato di cui all’articolo 95 Dpr 115/2002 per particolare tenuità del fatto stante la scarsa offensività del fatto reato, risultato inutile ai fini dell’ammissione al beneficio. 2. Il ricorrente deduce vizio motivazionale in relazione argomentazioni spese dal giudice distrettuale in ordine alla mancata acquisizione della dichiarazione asseritamente infedele, la cui richiesta di allegazione al fascicolo era stata richiesta esclusivamente al fine di documentare la stessa materialità del fatto reato. Con distinta articolazione deduceva violazione di legge e vizio motivazionale on ordine alla ricorrenza dell’elemento soggettivo del reato, evidenziando che lo stesso, in termini di dolo generico deve essere rigorosamente provato, dovendosi escludere il reato allorché il falso derivi da semplice leggerezza o da una negligenza dell’agente, potendosi concretizzare un errore sul fatto che concorre a costituire la norma penale. Assumeva in particolare che il ricorrente si era limitato a riportare nella richiesta per l’ammissione al gratuito patrocinio i redditi percepiti dal coniuge confidando nella correttezza nei dati riportati nel CUD rilasciato dall’INPS laddove la somma asseritamente non indicata circa Euro 1.000 si riferiva ad una indennità di disoccupazione percepita dalla moglie che risultava esente da IRPEF e che il giudice distrettuale, piuttosto che svolgere un approfondito controllo sulla ricorrenza del dolo, si era limitato ad affermare che il dichiarante non poteva che essere consapevole della falsità di quanto stava dichiarando, avendo omesso il riferimento ai maggiori introiti percepiti dalla moglie a titolo di disoccupazione agricola. Considerato in diritto 1. Il secondo motivo di ricorso risulta assorbente e il suo accoglimento determina l’annullamento della sentenza impugnata per carenza dl’elemento psicologico del reato. Invero va preliminarmente evidenziato come sia stato pacificamente acquisito dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema il principio secondo il quale integrano il delitto di cui all’articolo 95 D.P.R. 115/2002 le false indicazioni e le omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione e in ogni altra dichiarazione prevista per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio sez. U, 27.11.2008, Infanti, Rv. 242152 sez. IV, 18.9.2015, Di Rosa, Rv. 264711 . 2. E stato altresì affermato che la responsabilità per il reato in esame non deriva dalla riconosciuta e dichiarata consapevolezza delle conseguenze anche penali della falsità eventualmente contenute nella dichiarazione resa ai fini della ammissione al beneficio, bensì dalla violazione dell’articolo 95 D.Lgs 115/2002 che riconduce la sanzione penale alla falsità totale e parziale, nonché alle omissioni della dichiarazione sostitutiva della certificazione, non potendo neppure di regola assumere rilievo la deduzione di una ignoranza incolpevole, ai sensi dell’articolo 47 cod.pen., in quanto gli artt. 76 e 79 T.u., che disciplinano la materia dl patrocinio a spese dello stato e che vengono richiamati dall’articolo 95 stessa legge, non costituiscono norme extra penali, in quanto non possono ritenersi del tutto estranee al settore di appartenenza, o destinate a regolare rapporti avulsi dalla disciplina penalistica, inserendosi al contrario nello stesso contesto normativo ove è collocata la norma incriminatrice e segnando appunto il confine delle condizioni di reddito oltre le quali, la manifestazione del richiedente è suscettibile di sanzione penale Sez. IV, 12.2.2015 n. 14011, Bucca, 263013 sez. VI, 31.3.2015, Ceppaglia, Rv. 263808 . 3. Nondimeno la stessa manifestazione di volontà deve risultare sorretta dal dolo generico rigorosamente provato che esclude la responsabilità per un difetto di controllo da considerarsi condotta colposa sez.1V, 11.1.2018 Zappia, Rv. 272192 4.5.2017 Bonofiglio, Rv. 271051 15.12.2017, Avagliano, Rv.271949 . Invero se da un lato l’agente non può invocare, per escludere la colpa, la ignoranza sui presupposti di fatto che integrano la disciplina del patrocinio a spese dello Stato con riferimento ai soggetti e all’oggetto della dichiarazione di scienza da allegare alla richiesta di ammissione, dall’altro l’errore può assumere rilievo allorquando orienti la dichiarazione in una prospettiva di falsa rappresentazione della realtà, soprattutto quando la stessa si fondi su documenti fiscali allo stesso non riferibili Cud errato, dichiarazioni IRPEF di terzi, attestazioni di CAF . 3.1 Di conseguenza se nessun rilievo esimente può avere l’errore sui componenti del nucleo familiare conviventi dei quali riportare le entrate che concorrono a costituire la soglia legale condizione all’ammissione, ovvero sulla natura dei redditi da considerare ai fini del beneficio si pensi ai redditi non soggetti a imposizione, quelli occasionali, indennitari, risarcitori, assistenziali, addirittura quelli illeciti , dall’altra può assumere rilievo la inesigibilità della condotta alternativa lecita quando il dichiarante sia tratto in inganno da documenti fiscali, predisposti dalla PA o da terzi, i quali siano tali da ingenerare confusione o errore sulla consistenza della entrata patrimoniale, pure da considerare ai fini della ammissione al beneficio, che non riguardi la persona del dichiarante, a meno che non venga acquisita una prova adeguata in ordine alla consapevolezza dell’istante sul punto. 4. Orbene nel caso in esame il ricorso va accolto atteso che il giudice territoriale ha omesso di considerare, sebbene specificamente sollecitato sul punto, come gli emolumenti percepiti dalla moglie del dichiarante nell’anno di imposta di riferimento fossero riferibili ad una voce indennitaria, riconducibile ad un contributo di disoccupazione che non era stato inserito in alcuna dichiarazione fiscale, così che una verifica meramente cartolare delle entrate dei congiunti conviventi nel periodo fiscale di riferimento non avrebbe consentito al ricorrente di acquisire contezza della entrata e quindi di riportare una tale voce reddituale nella auto-certificazione. 4.1 Ritiene pertanto la Corte che in assenza della prova della consapevolezza da parte del F. della effettiva acquisizione da parte del congiunto di tale contributo assistenziale, conoscenza che non può ritenersi presunta in ragione del rapporto di convivenza, trattandosi di beneficio una tantum che afferiva alla persona del congiunto e che atteneva a periodo temporale antecedente a quello della richiesta, debba essere escluso nella specie l’elemento soggettivo del dolo generico, con la conseguenza che la sentenza impugnata deve essere annullata con conseguente proscioglimento del prevenuto perché il fatto non costituisce reato. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.