La concreta efficacia coercitiva della minaccia nel reato di estorsione

Il reato di estorsione si caratterizza per la volontà di costrizione del soggetto agente sulla vittima, attraverso una condotta capace di annullare le facoltà volitive di quest’ultima, andandola a trasformare in una esecutrice forzata delle proprie pretese.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con sentenza n. 47300/18 depositata il 17 ottobre. Il caso. Il Tribunale di Roma, con apposita ordinanza, rigettava il ricorso presentato nell’interesse dell’imputato avverso l’ordinanza con cui il GIP aveva applicato nei confronti dello stesso la misura cautelare degli arresti domiciliari per il reato di estorsione. Avverso tale decisione, l’imputato ricorre in Cassazione censurando l’ordinanza impugnata che ha confermato la suddetta misura cautelare per il reato di estorsione in luogo del reato di truffa anche se in presenza di una condotta priva di prospettazione di un male futuro. La distinzione tra reato di estorsione e reato di truffa. Il criterio di distinzione tra il reato di truffa e il reato di estorsione, nel caso in cui il fatto è caratterizzato dalla minaccia di un male, va individuato nel diverso modo di atteggiarsi della condotta lesiva e nella diversa incidenza nella sfera soggettiva della vittima. Pertanto, ricorre il reato di truffa se il male viene proposto come possibile ed eventuale e non dipendente da chi lo prospetta si configura invece estorsione se il male viene indicato come certo e realizzabile ad opera del reo o di altre persone e in tale ipotesi la persona offesa è posta nell’alternativa di far conseguire all’agente il preteso profitto o di subire il male minacciato. La Suprema Corte, al riguardo, ribadisce il principio di diritto secondo cui la distinzione tra il reato di truffa consumata attraverso la prospettazione di un pericolo non reale ed il reato di estorsione deve essere effettuata valutando la concreta efficacia coercitiva della minaccia, dovendosi ritenere che si verte nella ipotesi estorsiva quando il male prospettato si presenta irresistibile e coarta la volontà della vittima si verte invece nell’ipotesi della truffa quando la minaccia del pericolo irrealizzabile, per la sua intrinseca consistenza, non ha capacità coercitiva, ma si limita ad influire sul processo di formazione della volontà deviandolo attraverso la induzione in errore . Nel caso di specie non si è difronte ad un’ipotesi di truffa, dato che il pericolo prospettato aveva una concreta incidenza coercitiva evidenziata già dal Tribunale. Il ricorso è dunque inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 9 ottobre – 17 ottobre 2018, n. 47300 Presidente Diotallevi – Relatore Pellegrino Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 03/07/2018, il Tribunale di Roma rigettava il ricorso presentato nell’interesse di S.M. avverso l’ordinanza con la quale il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Tivoli in data 18/06/2018 aveva applicato nei confronti dello stesso la misura cautelare degli arresti domiciliari per il reato di estorsione. 2. Avverso detta ordinanza, nell’interesse di S.M. , viene proposto ricorso per cassazione per lamentare vizio di motivazione in relazione agli artt. 273 e ss. cod. proc. pen. si censura l’ordinanza impugnata che ha confermato la misura cautelare per il reato di estorsione in luogo di quello di truffa in realtà, solo tentata pur in presenza di una condotta priva di prospettazione di un male futuro. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Come è noto, il reato di estorsione si caratterizza, in generale, per la volontà di costrizione dell’agente sulla vittima, con la realizzazione di una condotta capace di annullare le facoltà volitive di quest’ultima, trasformandola in una esecutrice forzata delle proprie pretese. 2.1. D’altra parte, il criterio distintivo tra il reato di truffa e quello di estorsione, quando il fatto è connotato dalla minaccia di un male, va ravvisato essenzialmente nel diverso modo di atteggiarsi della condotta lesiva e nella diversa incidenza nella sfera soggettiva della vittima. Ricorre la prima ipotesi delittuosa se il male viene ventilato come possibile ed eventuale e comunque non dipendente direttamente o indirettamente da chi lo prospetta, sicché la persona offesa non è coartata, ma si determina alla prestazione, costituente l’ingiusto profitto dell’agente, perché tratta in errore dalla esposizione di un pericolo inesistente si configura, invece, l’estorsione se il male viene indicato come certo e realizzabile ad opera del reo o di altri, in tal caso la persona offesa è posta nella ineluttabile alternativa di far conseguire all’agente il preteso profitto o di subire il male minacciato cfr., ex multis, Sez. 2, n. 35346 del 30/06/2010, De Silva e altro, Rv. 248402 Sez. 2, n. 7662 del 27/01/2015, Lanza, Rv. 262574 . 2.1.1. La diagnosi differenziale tra il reato di truffa e quello di estorsione deve essere effettuata attraverso una attenta indagine delle emergenze processuali volta a verificare a se il male minacciato sia reale o immaginario e se questo dipenda dall’agente ovvero sia a questi gestibile o da altri b se la prospettazione di tale male produca, in concreto, una manipolazione della volontà riconducibile alla induzione in errore piuttosto che ad una vera e propria coazione della volontà. Per quanto la prospettazione di un effetto negativo abbia - comunque e ragionevolmente - come conseguenza una reazione di evitamento del male prospettato, quel che rileva ai fini del corretto inquadramento del fatto è se tale reazione sia riconducibile ad una condotta fraudolenta, piuttosto che ad una irresistibile coartazione. Se, cioè, la volontà della vittima risulti semplicemente manipolata o, piuttosto, irresistibilmente coartata. La coazione della volontà si distingue dalla manipolazione agita attraverso l’induzione in errore, in quanto solo nel primo caso la azione illecita si presenta irresistibile. Evidentemente, l’effetto manipolativo, piuttosto che coercitivo, della minaccia dipende dalla caratteristiche più o meno intimidatorie della stessa, oltre che dalla specifica resilienza della vittima al male prospettato. 2.1.2. L’induzione in errore è, infatti, azione diversa dalla costrizione sebbene entrambe le condotte siano idonee a deviare il fisiologico sviluppo dei processi volitivi la condotta induttiva, anche quando si manifesta con la esposizione di pericoli inesistenti, si differenzia dalla condotta estorsiva proprio nella misura in cui la volontà risulta diretta e manipolata , ma non irresistibilmente piegata . 2.1.3. L’idoneità della rappresentazione del male a dirigere piuttosto che piegare la volontà non può essere stabilita in astratto, ma necessita di uno scrutinio che verifichi in concreto la consistenza della azione minatoria, anche rispetto alla effettiva resilienza della vittima. Tale indagine non può che analizzare l’idoneità coercitiva della minaccia nel momento in cui la stessa viene posta in essere, nulla rilevando che ex post il male prospettato risulti irrealizzabile. 2.2. Invero, se si individua nella concreta efficacia coercitiva della minaccia, l’attributo della condotta utile per distinguere la truffa dall’estorsione, perde rilevanza anche la eventuale irrealizzabilità del male prospettato, essendo l’analisi richiesta limitata alla verifica ex ante della concreta efficacia coercitiva della azione minatoria. Né la irrealizzabilità del male minacciato consente di invocare l’art. 49 cod. pen. individuato nel costringimento violento della vittima l’elemento caratterizzante del reato di estorsione, l’idoneità del male minacciato ad incidere il processo volitivo non può che essere valutato ex ante ed in modo indipendente dalla effettiva realizzabilità dell’evento dannoso prospettato. E, la valutazione della capacità di concreta ed effettiva coazione della minaccia è, ancora una volta, un’indagine di merito che deve essere effettuata prendendo in esame le circostanze del caso concreto ovvero sia la violenza oggettiva della minaccia che la sua soggettiva incidenza sulla specifica vittima Sez. 6, n. 27996 del 28/05/2014, Stasi e altro, Rv 261479 . 2.3. Alla luce delle considerazioni che precedono, va ribadito il principio di diritto secondo cui la distinzione tra il reato di truffa consumata attraverso la prospettazione di un pericolo non reale, ed il reato di estorsione deve essere effettuata valutando la concreta efficacia coercitiva della minaccia, dovendosi ritenere che si verte nella ipotesi estorsiva quando il male prospettato si presenta irresistibile e coarta la volontà della vittima si verte invece nell’ipotesi della truffa quando la minaccia del pericolo irrealizzabile, per la sua intrinseca consistenza, non ha capacità coercitiva, ma si limita ad influire sul processo di formazione della volontà deviandolo attraverso la induzione in errore Sez. 2, n. 46084 del 21/10/2015, Levak, Rv. 265362 . La valutazione della efficacia coercitiva, piuttosto che semplicemente manipolativa della minaccia deve essere effettuata con apprezzamento da effettuarsi ex ante, ovvero in modo indipendente dalla effettiva realizzabilità del male prospettato. 3. Nel caso di specie, in coerenza con tali linee ermeneutiche, veniva esclusa la riconducibilità della condotta ad una ipotesi di truffa il pericolo prospettato aveva infatti una effettiva e concreta incidenza coercitiva ampiamente evidenziata dal Tribunale, che rilevava come non fossero emersi elementi indicativi di una inidoneità specifica della condotta ad incidere sul processo volitivo della vittima ma, soprattutto, che la gravità delle minacce e la loro efficacia intimidatoria erano stati tali da avere indotto la vittima a denunciare il fatto ed a porsi sotto la protezione delle forze dell’ordine. 4. Manifestamente infondato è anche il profilo di censura che invoca la qualificazione del fatto contestato come delitto tentato piuttosto che consumato. Il Collegio condivide, sul punto, l’orientamento secondo cui in tema di estorsione, il delitto deve considerarsi consumato e non solo tentato allorché la cosa estorta venga consegnata dal soggetto passivo all’estorsore, e ciò anche nelle ipotesi in cui sia predisposto l’intervento della polizia giudiziaria che provveda immediatamente all’arresto del reo ed alla restituzione del bene all’avente diritto Sez. 2, n. 1619 del 12/12/2012, dep. 2013, Russo, Rv. 254450 Sez. 2 n. 27601 del 19/06/2009, Gandolfi e altro, Rv. 244671 Sez. U, n. 19 del 27/10/1999, P.M. in proc. Campanella, Rv. 214642 . Secondo questa ampiamente condivisibile giurisprudenza, il fatto che la vittima dell’estorsione si adoperi affinché la polizia giudiziaria possa pervenire all’arresto dell’autore della condotta illecita non elimina lo stato di costrizione, ma è una delle molteplici modalità di reazione soggettiva della persona offesa allo stato di costrizione in cui essa versa. Il legislatore, con la formula adottata - costringendo taluno a fare od omettere qualche cosa , prende in considerazione lo stato oggettivo di costrizione e non distingue le ragioni che possono indurre la persona offesa ad aderire alla pretesa estorsiva Sez. 2 n. 44319 del 18/11/2005, Terrenghi, Rv. 232506 . 5. Il provvedimento impugnato opera corretta applicazione dei principi in parola offrendo motivazione del tutto congrua e priva di vizi logico-giuridici. 6. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro duemila P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila alla Cassa delle ammende.