Sussistenza del reato di peculato a carico dell’addetto allo sportello postale

E’ qualificabile come peculato ex art. 314 c.p. l’impossessamento, da parte dell’addetto all’ufficio postale, del denaro consegnatogli dall’utente che fa affidamento sulla professionalità dell’addetto per il servizio richiesto.

Così la Corte di legittimità con la sentenza n. 47029/18, depositata il 16 ottobre. Il fatto. La Corte d’Appello di Lecce confermava la condanna di prime cure inflitta all’imputata per il reato di peculato per essersi appropriata, nella sua qualità di pubblico ufficiale, di due banconote da 50 euro, denaro di cui aveva possesso per una cifra complessiva di 600 euro per ragioni di servizio presso un ufficio postale. La donna aveva infatti omesso di restituire la somma ad un utente extracomunitario che le aveva chiesto - invano - di cambiare tali banconote con altre di diverso taglio, condotta alla quale aveva assistito anche un testimone oculare. Il difensore ricorre in Cassazione. Sussistenza del reato. Per quanto d’interesse, la ricorrente contesta la qualificazione giuridica della propria condotta in quanto, essendo la stessa una dipendente postale e dunque incaricata di pubblico servizio, non aveva in realtà compiuto un atto del suo servizio perché l’utente le aveva consegnato il denaro richiedendo un’operazione di cambio di banconate che non rientra in quelle svolte dalle poste. La doglianza si rivela priva di fondamento in quanto il reato di peculato è caratterizzato dalla relazione tra l’agente ed il bene di cui egli si appropria, relazione che attribuisce un particolare disvalore alla condotta non tanto sotto il profilo patrimoniale, quanto per la lesione dell’aspetto pubblicistico connessa alla strumentalizzazione dei poteri esercitati dall’agente sul bene per il conseguimento di finalità illecite. Come scrive il Collegio, il peculato principalmente lede il buon andamento della pubblica amministrazione . La giurisprudenza ha già avuto modo di affermare che il possesso qualificato per ragione di ufficio o servizio non è solo quello che rientra nella specifica competenza funzionale del pubblico ufficiale o dell’incaricato, ma anche quello che si basa su un rapporto che consente al soggetto di avere concretamente il maneggio o la disponibilità della cosa, sfruttando l’occasione della pubblica funzione o del servizio. In conclusione, la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 9 maggio – 16 ottobre 2018, n. 47029 Presidente Rotundo – Relatore Agliastro Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Lecce con pronuncia in data 24/03/2017 confermava la sentenza del Tribunale di Lecce del 15/5/2015, con la quale C.D. era stata condannata alla pena di anni due di reclusione in relazione al reato di cui all’art. 314 cod. pen. per essersi appropriata nella sua qualità di pubblico ufficiale di denaro due banconote da 50,00 Euro ciascuna del quale aveva possesso per una maggiore somma di Euro 600,00, per ragioni del suo servizio presso l’ufficio postale di Lecce, omettendo di restituirle ad un utente extracomunitario che le aveva consegnate nell’ammontare predetto per ottenere il cambio nel taglio delle banconote e trattenendole per sé. 2. Ricorre per cassazione C.D. per il tramite del proprio difensore deducendo i seguenti motivi 1 inosservanza o erronea applicazione della legge penale ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b cod. proc. pen. in relazione all’art. 314 cod. pen. e 192 cod. proc. pen. ed ancora manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. e cod. proc. pen. 2 inosservanza o erronea applicazione della legge penale ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b cod. proc. pen. in relazione all’art. 314 cod. pen. 3 mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. e in relazione al trattamento sanzionatorio, mancata applicazione dell’art. 62 bis cod. pen Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato e va disatteso. 2. All’imputata, in servizio allo sportello dell’ufficio postale di Lecce Centro, un cittadino extracomunitario contestava di non avere avuti restituiti Euro 100,00, parte di complessive Euro 600,00 che le aveva consegnato, chiedendo invano di cambiare tali banconote con altre di taglio diverso. Di fronte alle rimostranze dell’utente che era anche tornato il pomeriggio insistendo nelle sue ragioni ed al fermo diniego dell’impiegata, un altro utente dell’ufficio postale che aveva visto la donna sfilarsi dalla manica due banconote da 50,00, al momento della restituzione, si era recato spontaneamente poco tempo dopo presso l’ufficio postale per parlare con il Direttore. Il contegno scorretto, suscettibile di configurare il reato in contestazione, era stato documentato dalla presenza del testimone oculare che aveva colto l’impiegata nell’atto di disfarsi del provento del reato appena dalla stessa perpetrato. La deposizione del teste - neutrale e disinteressato - ha consentito di ritenere provato il delitto posto in essere dalla ricorrente, di cui all’art. 314 cod. pen., atteso che la suddetta riveste la qualità di incaricato di pubblico servizio e, nel momento della presa in carico della somma affidatagli dall’utente, era allo sportello pubblico, per verificare se il proprio ente potesse svolgere servizio di cambio banconote non espletato istituzionalmente dall’ente Poste . La ricorrente ha avuto in mano il denaro che il possessore le aveva affidato nella fondata convinzione, da parte dell’utente, di interloquire con un impiegato addetto a servizi di pubblico interesse, per ottenere quanto da lui richiesto e invece, l’impiegata lo restituisce con modalità fraudolente, come ha potuto scorgere il teste involontario. 3. Con il primo motivo di ricorso, si mette in dubbio l’attendibilità proprio di detto teste e le sue dichiarazioni vengono valutate incoerenti ed illogiche. Ma già il giudice di primo grado aveva apprezzato positivamente oltre il senso civico , la spontaneità delle dichiarazioni accusatorie di A.M. , la precisione, la coerenza logica del suo narrare nel riferire di essere stato testimone oculare, cogliendo la ricorrente nell’atto di disfarsi del provento di reato appena consumato. La Corte d’appello, a sua volta, ha proceduto ad un vaglio critico di tutte le deduzioni ed obiezioni mosse dalla difesa, pervenendo alla decisione impugnata attraverso una disamina completa ed approfondita delle risultanze processuali. Nel condividere il significato complessivo del quadro probatorio posto in risalto nella sentenza del giudice di prime cure, la cui struttura motivazionale viene sul punto a saldarsi perfettamente con quella di secondo grado, sì da costituire un corpo argomentativo uniforme e privo di lacune, la Corte di merito ha puntualmente disatteso la diversa ricostruzione prospettata dalla difesa, dando conto delle univoche risultanze probatorie offerte dalle deposizioni dei testimoni ascoltati nel corso dell’istruzione dibattimentale. 4. Con il secondo motivo si contesta la qualificazione giuridica della condotta posta in essere dall’imputata, dipendente postale ed incaricata di pubblico servizio, e si sostiene che la stessa in realtà non abbia compiuto alcun atto del suo servizio poiché l’utente extracomunitario le ha chiesto il cambio di banconote che non è operazione d’istituto ma lo straniero evidentemente non era al corrente , mentre la Corte d’appello, ha adeguatamente risposto alla stessa censura, replicando che rientra nella competenza funzionale specifica dell’impiegato non solo il possesso qualificato del denaro o del bene per le operazioni tipiche del servizio, ma anche l’occasione che permette al funzionario o incaricato di inserirsi di fatto nel maneggio o nella disponibilità della cosa o del denaro altrui come nel caso di specie un’operazione di cambio che non è equiparabile ad operazione bancaria di privatistica natura . La specificità del reato di peculato sta nella relazione che tra l’agente soggetto attivo del reato - con il bene di cui egli si appropria, dalla quale deriva un particolare disvalore della condotta che non riguarda il profilo patrimoniale, ma l’aspetto pubblicistico connesso alla strumentalizzazione dei poteri esercitati dall’agente sul bene, per il conseguimento di finalità illecite il peculato principalmente lede il buon andamento della Pubblica Amministrazione. Correttamente la Corte di appello ha qualificato come peculato ai sensi dell’art. 314 cod. pen., il possesso del denaro consegnatogli dall’utente che fa affidamento sulla professionalità dell’addetto all’ufficio postale per un servizio richiestogli a prescindere dall’esito dell’operazione di cambio non effettuata , poiché non è in gioco soltanto la materiale detenzione del bene, ma anche la sua disponibilità giuridica, ravvisabile quando l’agente può, mediante atto dispositivo di sua competenza o connesso a prassi e consuetudini invalse nell’ufficio, ingerirsi nel maneggio o nella disponibilità di denaro e conseguire quanto poi oggetto di appropriazione Sez. 6, 11/02/2010, n. 5447, non mass. Sez. 6, del 22/01/2007, n. 11633 Rv. 236146 . Ne consegue che l’inversione del titolo del possesso da parte del pubblico ufficiale che si comporti uti dominus nei confronti di danaro del quale ha il possesso in ragione del suo ufficio e la sua conseguente appropriazione possono realizzarsi anche nelle forme della disposizione giuridica, del tutto autonoma e libera da vincoli, del danaro stesso, indisponibile in ragione di norme giuridiche o di atti amministrativi Sez. 6, n. 7492 del 18/10/2012 Rv. 255529 Sez. 6, n. 45908 del 16/10/2013 Rv. 257385 Sez. 6, n. 7492 del 18/10/2012, dep. 15/02/2013, Rv. 255529 . In adesione all’orientamento riportato, si è ancora affermato che, in tema di peculato, il possesso qualificato dalla ragione di ufficio o di servizio non è solo quello che rientra nella competenza funzionale specifica del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, ma anche quello che si basa su un rapporto che consenta al soggetto di inserirsi di fatto nel maneggio o nella disponibilità della cosa o del denaro altrui, rinvenendo nella pubblica funzione o nel servizio la sola occasione per tale comportamento, come accade quando la disponibilità sia conseguita mediante un esercizio arbitrario delle funzioni Sez. 6, n. 14825 del 26/02/2014, Rv. 259500 . È al rapporto tra possesso, da una parte, ed artifizi e raggiri, dall’altra, che deve aversi riguardo, ai fini della ricorrenza dello schema del peculato, in quanto finalizzati a mascherare l’illecita appropriazione da parte dell’agente del denaro o della res di cui già aveva legittimamente la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio. La sentenza impugnata - pertanto - senza vizi logici e giuridici ha escluso la riqualificazione del fatto proposta in sede di appello dall’imputato affermando la decisività delle funzioni svolte dalla ricorrente. 4. Il terzo motivo riguarda determinazioni relative alla pena, in termini di censure sulle già concesse attenuanti di cui all’art. 323 bis e 62 n. 4 cod. pen. e sulla mancata applicazione dell’art. 62 bis cod. pen. Orbene, se è vero che la Corte d’appello, nel confermare il trattamento sanzionatorio applicato, ha preso atto delle attenuanti concesse, ha fatto leva, nel negare le attenuanti generiche, su una inesistente precedente condanna della ricorrente che non risulta dal certificato penale, ma ha anche fatto riferimento all’ assenza di elementi suscettibili di valutazione positiva, evincibili dagli atti ovvero allegate dalla difesa p. 5 sent. ciò vale a giustificare sia il diniego delle attenuanti generiche sia l’entità della pena irrogata, rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito, cui è riservato l’apprezzamento del materiale probatorio. 5. Il ricorso va dunque respinto e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.