Il beneficio dell’indulto può essere revocato se emergono nuove questioni rilevanti non dedotte nella precedente decisione

La comparsa di cause ostative, preesistenti alla concessione del beneficio, può essere causa di revoca del condono stesso a condizione che i nuovi fatti non erano noti al giudice e non costituivano oggetto di valutazione.

Sul punto si è espressa la Corte di Cassazione con ordinanza n. 44611/2018 depositata il del 5 ottobre. Il caso. Viene proposto ricorso verso l’ordinanza emessa dal Giudice dell’esecuzione del Tribunale di Roma che aveva revocato il beneficio dell’indulto precedentemente concesso. Nell’incidente di esecuzione, il condannato ha dedotto una violazione di legge e un vizio di motivazione relativamente alla caducazione del beneficio impartito. In particolare, il ricorrente ha sottolineato l’invalidità dell’ordinanza emessa dal giudice dell’esecuzione, dato che, la revoca del beneficio si sarebbe formata nei confronti di una sentenza ormai divenuta irrevocabile realizzando un’inammissibile inclusione dell’oggetto della decisione definitiva ex art. 666, comma 2, c.p.p I limiti del principio ne bis in idem”. In tema d’incidente d’esecuzione il giudice non può prendere in considerazione eccezioni fondate su questioni dedotte precedentemente, così da evitare una doppia analisi di elementi già valutati. La Suprema Corte ha avuto modo di sottolineare che l’art. 666, comma 2, c.p.p. predispone una preclusione che non opera in modo assoluto e univoco, infatti, implicitamente fornisce le condizioni per le quali è possibile affrontare una successiva analisi di questioni antecedentemente adottate. L’organo decidente, per predisporre il superamento della preclusione prevista dall’articolo in considerazione, deve valutare le caratteristiche della causa ostativa, elemento essenziale per la rivalutazione del caso in esame la preclusione non opera nel caso in cui sopraggiunge la conoscenza di elementi passati non noti che quindi non hanno formato oggetto nella precedente decisione, richiedendo altresì la mancanza di una precedente valutazione implicita degli stessi. Nel procedimento d’esecuzione possono essere prese in considerazione ulteriori circostanze di fatto, ormai decorse, che necessitano di una rilevante valutazione tale da divenire il presupposto per una corretta analisi della fattispecie concreta. La rilevazione di nuovi fatti, susseguenti una decisione divenuta irrevocabile, assume un carattere primario davanti al divieto di riesame imposto dall’art. 666, comma 2, c.p.p. tale limite, non produce effetti nei confronti di fattispecie concrete in cui emergono nuove circostante di fatto e questioni di diritto, poiché tali novità fattuali non siano state poste a fondamento della pronuncia definitiva impugnata. In conclusione la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e dispone il rinvio al giudice di merito.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, ordinanza 11 settembre – 5 ottobre 2018, n. 44611 Presidente Di Tomassi – Relatore Centonze Rilevato in fatto 1. Con ordinanza emessa il 05/06/2018 il Tribunale di Roma, quale giudice dell’esecuzione, su conforme richiesta della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, revocava il beneficio dell’indulto, che era stato precedentemente concesso ad K.A. nella misura di 5 mesi, con ordinanza emessa dal Tribunale di Roma il 12/05/2010, in relazione alla sentenza pronunciata dallo stesso Tribunale il 31/07/2007, divenuta irrevocabile il 28/11/2008. Il provvedimento di revoca veniva adottato dal Giudice dell’esecuzione romano sul presupposto che K. il 07/03/2008, nel quinquennio dall’entrata in vigore della legge 31 luglio 2006, n. 241, aveva commesso un delitto non colposo, per il quale aveva riportato una condanna a una pena detentiva non inferiore a 2 anni. 2. Avverso tale ordinanza K.A. , a mezzo dell’avv. Domenico Naccari, ricorreva per cassazione, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione alla ritenuta sussistenza dei presupposti per la revoca dell’indulto precedentemente concesso al condannato, che erano stati valutati dal Tribunale di Roma con un percorso argomentativo incongruo, che non teneva conto del fatto che la sentenza sulla base della quale era stata disposta la revoca della misura clemenziale era divenuta irrevocabile il 28/11/2008, in epoca antecedente alla concessione del beneficio di cui si controverte, che veniva applicato al ricorrente il 12/05/2010. Le considerazioni esposte imponevano l’annullamento dell’ordinanza impugnata. Considerato in diritto 1. Il ricorso proposto nell’interesse di K.A. è fondato nei termini di seguito indicati. 2. In via preliminare, deve rilevarsi che, in tema di incidente di esecuzione, l’art. 666, comma 2, cod. proc. pen. prefigura una preclusione allo stato degli atti, che, in quanto tale, non opera quando vengano dedotti fatti o questioni che non hanno formato oggetto della precedente decisione Sez. 3, n. 5195 del 05/12/2003, dep. 10/02/2004, Prestianni, Rv. 227329 Sez. 1, n. 3736 del 15/01/2009, Anello, Rv. 242533 . In questa cornice, l’elemento di novità valutabile dal giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., rilevante sia sotto il profilo del petitum sia sotto il profilo della causa petendi, non deve essere circoscritto alle sole questioni prospettate dalle parti processuali, potendo riguardare anche quelle rilevabili d’ufficio Sez. 1, n. 36005 del 14/06/2011, Branda, Rv. 250785 Sez. 3, n, 44415 del 30/09/2004, Iannotta, Rv. 239943 . Ne discende che, nel procedimento di esecuzione, il principio del ne bis in idem mira a evitare la proposizione di domande che non sono sorrette da elementi di novità, che consentono di ritenere superato l’effetto preclusivo formatosi su un precedente provvedimento e devono essere valutati rebus sic stantibus. Una tale preclusione, pertanto, non opera in senso assoluto e inderogabile coprendo ogni questione processuale dedotta e deducibile, al contrario di quanto si verifica per il processo di cognizione - ma comporta una valutazione allo stato degli atti. Ne consegue che l’effetto preclusivo non opera laddove, nell’ulteriore procedimento di esecuzione, vengano esaminate nuove circostanze di fatto successive o non conosciute ovvero nuove questioni di diritto, che impongono di ritenere insussistente o erroneamente valutato un presupposto precedentemente vagliato Sez. 1, n. 19642 del 12/01/2017, Pullara, Rv. 270446 Sez. 1, n. 19358 del 05/10/2017, Crescenza, Rv. 269841 . 2.1 Tenuto conto dei parametri ermeneutici che si sono richiamati, deve rilevarsi che il Tribunale di Roma, una volta divenuto irrevocabile il provvedimento con cui era stato concesso l’indulto ad K.A. , poteva revocare il beneficio erroneamente concesso, così come richiestogli dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, ma a condizione che fossero emersi elementi di novità successivi o non valutati al momento della deliberazione, intervenuta il 12/05/2010. Tuttavia, nel caso di specie, non è possibile affermare che, al momento della concessione dell’indulto, il Tribunale di Roma disponeva di un compendio processuale tale da essere a conoscenza del fatto che K. aveva commesso il 07/03/2008, in epoca antecedente alla deliberazione, un altro delitto non colposo, per il quale aveva riportato condanna a pena detentiva non inferiore a due anni. Né tale conoscenza è altrimenti evincibile dal contenuto del provvedimento impugnato, in cui il Giudice dell’esecuzione romano si limitava, richiamando la formulazione dell’art. 1, comma 3, legge n. 241 del 2006, a rilevare che l’indulto concesso a K. doveva essere revocato, avendo il ricorrente commesso il 07/03/2008, nel quinquennio dalla data di entrata in vigore della legge n. 241 del 2006, un delitto non colposo, per il quale risulta avere riportato condanna a pena detentiva non inferiore a due anni . Occorreva, pertanto, una verifica preliminare ancorata al momento della deliberazione, non riscontrabile nel caso in esame, atteso che, secondo quanto costantemente affermato da questa Corte, il giudice dell’esecuzione può revocare il provvedimento applicativo dell’indulto, erroneamente riconosciuto all’imputato, nonostante l’esistenza di condanne ostative alla concessione del beneficio, soltanto a condizione che di queste il giudice concedente non aveva avuto conoscenza e non poteva prenderle in esame. Sul punto, è sufficiente richiamare il principio di diritto secondo cui In materia di indulto, il giudice dell’esecuzione può revocare il beneficio sulla base della considerazione di una causa ostativa preesistente al riconoscimento del condono, a condizione che la stessa non sia stata nota al giudice concedente e non abbia costituito oggetto di valutazione, anche implicita, da parte di quest’ultimo Sez. 1, n. 33916 del 07/07/2015, Paesano, Rv. 264865 si veda, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 1, n. 40217 del 14/04/2011, Salzano, Rv, 251541 . Ne deriva che, ai fini della revoca dell’indulto, la preesistenza di una causa ostativa rispetto alla deliberazione del beneficio, rilevante ai sensi dell’art. 1, comma 3, legge n. 241 del 2006, costituisce una condizione necessaria ma non sufficiente all’adozione del provvedimento revocatorio, essendo indispensabile verificare che la preclusione constasse al giudice concedente, risultando dal fascicolo e avesse costituito oggetto di valutazione anche implicita. Solo in presenza di tale ulteriore condizione, infatti, il divieto del ne bis in idem impedisce la rivalutazione dell’applicazione del condono illegittimamente riconosciuto, che potrà essere effettuata soltanto laddove emergesse che l’esistenza di una preclusione alla concessione dell’indulto non risultava al momento della sua concessione. In questa cornice, occorre ribadire conclusivamente che, in materia di indulto, il divieto del ne bis in idem non opera in senso assoluto e inderogabile, ma comporta una valutazione allo stato degli atti, rebus sic stantibus, tenendo conto degli elementi processuali di cui disponeva il giudice concedente al momento della deliberazione. Ne consegue che l’effetto richiamato non può ritenersi operante laddove vengano prospettate o comunque emergano nuove circostanze di fatto ovvero nuove questioni di diritto, atteso che l’incidente di esecuzione non si fonda sulle medesime condizioni poste a fondamento di quello su cui si era formato il giudicato sulla misura clemenziale erroneamente concessa. 3. Per queste ragioni, l’ordinanza impugnata deve essere annullata, con il conseguente rinvio al Tribunale di Roma per nuovo esame, che dovrà essere eseguito in conformità dei principi che si sono enunciati. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Roma.