Denaro chiesto al commerciante per il mantenimento della famiglia: condannati

Fatale il blitz delle forze dell’ordine, che hanno prima assistito alla consegna materiale del denaro e hanno poi arrestato i due uomini che avevano preso di mira un commerciante. Decisivo il riferimento alla famiglia ci si trova, secondo i Giudici, di fronte a una minaccia tipica dell’ambiente mafioso.

Soldi chiesti – con forza – per il mantenimento della famiglia. Il riferimento però non è a moglie e figli, bensì ai sodali dell’organizzazione criminosa. Logico, quindi, catalogare come estorsione la pretesa avanzata da due uomini nei confronti di un commerciante. Fatale per loro la presenza delle forze dell’ordine. Inevitabili, di conseguenza, il processo e la condanna Cassazione, sentenza n. 44314/2018, Sezione Seconda Penale, depositata il 5 ottobre 2018 . Minaccia. Proprio la chiusura della vicenda, ambientata in Calabria, si rivela decisiva per l’esito del processo. Su richiesta del commerciante, pressato dalle richieste di due uomini, le forze dell’ordine prima assistono alla materiale consegna del denaro – 400 euro, per la precisione – e poi fanno scattare le manette con l’accusa di estorsione . L’episodio, così come ricostruito, convince prima il GUP e poi i Giudici della Corte d’Appello non ci sono dubbi, le due persone sotto accusa si sono rese responsabili di estorsione . Così difatti vanno catalogate, secondo i magistrati, le richieste di somme di denaro per il mantenimento della famiglia avanzate nei confronti del titolare di un negozio, anche perché per il riferimento alla ‘famiglia’ è una minaccia grave, tipica degli ambienti mafiosi . Questa visione è condivisa anche dai Giudici della Cassazione, i quali confermano la condanna dei due uomini per estorsione , considerando evidente il dolo del reato nella loro condotta. Irrilevante il fatto che i 400 euro appartenessero alle forze dell’ordine , poiché ciò che conta è che vi sia un danno altrui , non necessariamente a carico del destinatario delle minacce fatte dagli estorsori .

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 13 settembre – 5 ottobre 2018, n. 44314 Presidente Gallo – Relatore Sgadari Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Appello di Catanzaro, in esito a giudizio abbreviato, confermava la sentenza del GUP del Tribunale di Crotone che aveva condannato i ricorrenti alle pene di giustizia in relazione al reato di estorsione aggravata dal numero delle persone, commessa nei confronti di El. Gi., titolare di un esercizio commerciale, al quale in più occasioni chiedevano somme di danaro per il mantenimento della famiglia ottenendo nell'ultima occasione 400 Euro immediatamente prima di essere arrestati. 2. Ricorrono per cassazione gli imputati, a mezzo dei loro rispettivi difensori e con distinti atti. An. Fo. deduce 1 violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità, che la Corte avrebbe affermato sulla base delle sole dichiarazioni della persona offesa, prive di riscontro e non adeguatamente valutate sotto il profilo della attendibilità senza tenere conto della diversa versione offerta dagli imputati in ordine alla esistenza di un debito nei confronti della vittima che avrebbe reso legittima la loro richiesta. La condotta, inoltre, non avrebbe manifestato l'esistenza del dolo e la perpetrazione di violenza o minaccia 2 violazione di legge in ordine alla qualificazione giuridica del fatto come estorsione consumata anziché tentata, tenuto conto della presenza dei poliziotti nella occasione della consegna del danaro e della riconducibilità ai medesimi della somma 3 violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio ed al diniego delle circostanze attenuanti generiche. Zu. Sa. deduce motivi comuni a Fo., rimarcando, in punto di responsabilità, che non sarebbero stati valorizzati i testi difensivi che avevano rappresentato come il fatto, sulla base dei rapporti tra le parti, avrebbe dovuto essere qualificato, al più, come esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Considerato in diritto I ricorsi sono infondati. Essi ripropongono questioni di merito, sotto il profilo della ritenuta responsabilità, ampiamente affrontati e superati dalla motivazione della sentenza impugnata, che ha attribuito attendibilità al racconto della persona offesa non soltanto sotto il profilo intrinseco, esplicitamente trattato, ma anche perché esso era stato riscontrato dalla intercettazione con la quale gli imputati chiedevano una somma superiore a quella asseritamente vantata in base al loro supposto credito nei confronti della vittima, che la Corte, non ritenendo attendibili i testi difensivi, riteneva non provato perché non documentato e non corrispondente al tenore della intercettazione, oltre che illogico stante l'attività lavorativa svolta dal ricorrente. Le dichiarazioni della vittima, inoltre, erano state corroborate anche da quella di una sua impiegata, sia pure come teste di riferimento ma a conferma della genuinità del racconto sotto un profilo intrinseco. 2. Nel negare attendibilità alla versione difensiva, la Corte ha mostrato di farsene carico, scongiurando l'ipotesi di una diversa qualificazione giuridica del fatto come esercizio arbitrario delle proprie ragioni e tenuto conto anche della minaccia grave costituita dal richiamo alla famiglia , tipico di ambienti mafiosi, secondo la ricostruzione di merito qui non rivedibile effettuata dalla Corte di Appello, anche a dimostrazione della sussistenza del dolo del reato, solo genericamente ritenuto insussistente nei ricorsi. 3. L'estorsione è stata correttamente ritenuta consumata e non tentata, avendo la Corte richiamato la pacifica giurisprudenza di legittimità secondo cui si ha consumazione e non mero tentativo del delitto di estorsione, allorché la cosa estorta venga consegnata dal soggetto passivo all'estorsore e ciò anche nell'ipotesi in cui sia predisposto l'intervento della polizia che provveda immediatamente all'arresto del reo ed alla restituzione del bene all'avente diritto Sez. 2, n. 1619 del 12/12/2012, dep. 2013, Russo, Rv. 254450 Sez. 2, n. 27601 del 19/06/2009, Gandolfi, Rv. 244671 . Nel caso in esame, era avvenuto proprio quanto rappresentato dalla massima appena riportata, con la consegna della somma agli estorsori ed il loro successivo arresto in flagranza da parte delle forze dell'ordine. Che la somma appartenesse a queste ultime, è circostanza ininfluente, poiché ad integrare il reato di cui all'articolo 629 c.p. è sufficiente che vi sia un danno altrui e non necessariamente a carico dell'interlocutore degli estorti che ha ricevuto la minaccia. 4. I ricorrenti non hanno motivo di dolersi del trattamento sanzionatorio, essendo stati condannati al minimo edittale previsto per il reato di estorsione aggravata ex articolo 629, comma 2, cod. pen Le circostanze attenuanti generiche, infine, non sono state riconosciute dalla Corte in ragione della gravità del fatto, ad onta dell'assenza di precedenti penali, tenuto conto della reiterazione nel tempo delle gravi minacce. Dovendosi rammentare che ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame quello, tra gli elementi indicati dall'articolo 133 cod. pen., che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno la concessione del beneficio ed anche un solo elemento che attiene alla personalità del colpevole o all'entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti medesime Cass. Sez. 2 sent. n. 4790 del 16.1.1996 dep. 10.5.1996 rv. 204768 . Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila ciascuno alla Cassa delle Ammende, commisurata all'effettivo grado di colpa degli stessi ricorrenti nella determinazione della causa di inammissibilità. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile El. Gi., che liquida in Euro 3.510,00 oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, CPA e IVA.