Valida la notifica del decreto di giudizio immediato in unica copia al difensore domiciliatario

Il difensore domiciliatario dell’imputato non ha diritto di ricevere tante copie dell’atto da notificare quanti sono i soggetti destinatari della notifica quando sia esplicitato o aliunde chiaramente desumibile che l’atto viene notificato al difensore sia nella sua veste tecnica sia nella vesta di destinatario dell’atto in sostituzione dell’imputato .

Il fatto. Con la sentenza n. 43626/18, depositata il 3 ottobre, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dalla difesa avverso la sentenza con cui la Corte d’Appello di Brescia aveva confermato la condanna di due imputati per reati in materia di stupefacenti. In particolare, e per quanto d’interesse, con il ricorso veniva dedotta l’omesso notifica del decreto di giudizio immediato agli imputati, effettuata al difensore in quanto tale e non quale domiciliatario degli imputati. Notifica all’avvocato. In merito alla dedotta mancanza di una seconda notifica del decreto di giudizio immediato agli imputati, la Corte ricorda il consolidato orientamento secondo cui il difensore domiciliatario dell’imputato non ha diritto di ricevere tante copie dell’atto da notificare quanti sono i soggetti destinatari della notifica quando sia esplicitato o aliunde chiaramente desumibile che l’atto viene notificato al difensore sia nella sua veste tecnica sia nella vesta di destinatario dell’atto in sostituzione dell’imputato . La notifica è infatti pienamente valida anche se effettuata in unica copia. Il ricorso lamenta anche la mancata notifica della richiesta del PM circa il giudizio immediato. Il Collegio esclude però che in tal caso sia deducibile una nullità posto che l’art. 456 c.p.p. richiama l’art. 429, comma 1 e 2, c.p.p. che sancisce il principio di tassatività. In conclusione, il ricorso viene dichiarato inammissibile e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 21 giugno – 3 ottobre 2018, n. 43626 Presidente Sarno – Relatore Semeraro Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza del Tribunale di Mantova del 2 novembre 2016, A.B. e H.J. sono stati condannati alla pena di 3 anni di reclusione ed Euro 20.000 di multa per il delitto ex art. 73 comma 4 d.P.R. 309/1990 per avere trasportato sull’auto su cui viaggiavano e detenuto 10 panetti di hashish dal peso di grammi 961. Il fatto è stato commesso il omissis in omissis . La Corte di appello di Brescia con la sentenza del 20 giugno 2017 ha confermato la sentenza di primo grado. 2. Il difensore di A.B. e di H.J. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Brescia del 20 giugno 2017. 2.1. Con il primo motivo, la difesa ha dedotto la violazione ed erronea applicazione degli art. 125, 456 cod. proc. pen. per l’omessa notifica del decreto di giudizio immediato agli imputati. Secondo la difesa, vi è stata la violazione del principio del contraddittorio e del diritto dell’imputato a presenziare al processo. Per la difesa, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte d’Appello di Brescia, la notifica del decreto di giudizio immediato è stata effettuata esclusivamente al difensore in proprio e non già quale domiciliatario degli imputati. Rileva la difesa che la p.e.c. inoltrata in data 24 maggio 2016 al difensore conteneva il decreto di giudizio immediato ma non la richiesta del Pubblico Ministero, che spetta ex art. 456 cod. proc. pen. agli imputati. Per la difesa, la Corte di appello di Brescia ha anche travisato il contenuto della notifica inoltrata a mezzo p.e.c. al difensore. Per la difesa, non può farsi riferimento alla frase contenuta nell’atto notificato per sé e quale difensore di A.B. e H.J. apposta sulla copertina fax , evidentemente allegata per errore al decreto di giudizio immediato notificato a mezzo p.e.c., ma al testo della posta certificata inoltrata al difensore che reca la dicitura DR. G. - giud. imm. A.B. + 1 -Avv. A.R. cfr. testo p.e.c. allegato all’atto d’appello . Pertanto, per la difesa, l’atto trasmesso per notifica in data 24 maggio 2016 a mezzo posta elettronica certificata al difensore era a lui unicamente diretto e non può essere inteso anche quale notifica agli imputati. Infatti, secondo la difesa, l’atto notificato è correttamente sprovvisto della richiesta di giudizio immediato, cui avrebbe diritto l’imputato e non già il difensore la p.e.c. inoltrata è unicamente una, mancando la notifica appunto agli imputati. Per il difensore, la notifica all’imputato che ha eletto domicilio presso il difensore può essere eseguita a mezzo p.e.c., ma deve essere eseguita separatamente, con espressa indicazione che si tratta della notifica all’imputato presso il difensore e deve essere corredata anche della richiesta di giudizio immediato. Per la difesa, le sentenze citate dalla Corte di appello di Brescia pag. 3 sono vetuste ed inconferenti con il motivo di appello, giacché attengono all’imputato latitante. Pertanto, per la difesa, all’omessa notifica consegue la nullità assoluta ex art. 179 cod. proc. pen. della notifica del decreto di giudizio immediato e di tutti gli atti successivi. 2.2. Con il secondo motivo la difesa ha dedotto il vizio di violazione di legge e della motivazione in relazione alla omessa autorizzazione agli imputati, sottoposti al divieto di dimora in Mantova, ed agli artt. 178 e 179 cod. proc. pen Rileva la difesa che nel processo agli imputati fu applicata dal giudice per le indagini preliminari la misura cautelare del divieto di dimora nella provincia di Mantova ciò emerge anche dal decreto di giudizio immediato la sussistenza della misura cautelare era dunque nota al giudice per le indagini preliminari di Mantova al momento dell’emissione del decreto di giudizio immediato e di conseguenza al Tribunale di Mantova. Ciononostante, nessuna autorizzazione a comparire all’udienza è stata mai concessa agli imputati. Per la difesa, ciò integra una nullità di ordine generale ex art. 178 lett. c cod. proc. pen., essendo stati di fatto gli imputati impediti a comparire al processo celebratosi in loro assenza. La difesa ha contestato la motivazione della Corte di appello quanto al rigetto dell’eccezione della difesa che ha riconosciuto che non risulta essere stato emesso alcun provvedimento che autorizzasse gli imputati a recarsi in Tribunale a Mantova, però ha anche osservato che nessuna richiesta in tal senso era stata avanzata dagli imputati cfr. la pagina 3 della sentenza . Rileva la difesa che la sentenza citata dalla Corte di appello è vetusta e superata dalla giurisprudenza successiva cfr. Cass., sez. 6, sentenza 10739/1999 non si applica al caso in esame perché fa espresso riferimento all’imputato regolarmente citato che, avuta la citazione priva di autorizzazione, deve attivarsi personalmente al fine di ottenerla. Rileva la difesa che nel caso in esame manca del tutto una notifica rituale del decreto di giudizio immediato, per le ragioni già esposte. 2.3. Con il terzo motivo, la difesa ha dedotto la violazione ed erronea applicazione degli artt. 133 cod. pen., 125 cod. proc. pen., 73 d.P.R. 309/90 art. 606 lett. b, c ed e . Per la difesa, la motivazione sull’equità della pena e sulla mancata configurabilità dell’ipotesi di cui all’art. 73 comma 5 d.P.R. 309/90, è illogica e meramente apparente. Rileva la difesa che per la qualificazione del reato ex art. 73 comma 5 d.P.R. 309/90, deve tenersi conto in primo luogo del dato ponderale in relazione al principio attivo non può tenersi conto del quantitativo lordo sequestrato atteso che si finirebbe per condannare il soggetto per la detenzione di sostanze non vietate dalla legge. Per la difesa, la sentenza è illogica e contra legem perché ha rigettato il motivo di appello la difesa sostiene che gli imputati dovrebbero essere ritenuti responsabili della detenzione di 86 grammi di hashish pari al peso del thc nel caso dell’hashish, sicché è illogica la motivazione sul rigetto dell’applicazione del comma 5 dell’art. 73 d.P.R. 309/90. Per la difesa, la sentenza è illogica anche con riferimento alla congruità della pena perché a fronte di soli 86 g. di hashish, si discosta dal minimo edittale. La difesa ha richiamato l’orientamento della giurisprudenza secondo cui, nel discostarsi dal minimo edittale, il giudice deve motivare le ragioni che l’hanno determinato ad applicare una pena gravosa, mentre le motivazioni della Corte d’Appello di Brescia sono illogiche. La difesa ha chiesto di annullare la sentenza impugnata. Considerato in diritto 1. È manifestamente infondata la questione proposta dalla difesa sul numero di copie che avrebbero dovuto essere notificate al difensore di fiducia del decreto di giudizio immediato. 1.1. Dal decreto di giudizio immediato risulta chiaramente che A.B. e H.J. sono elettivamente domiciliati presso il difensore di fiducia sicché non vi sono dubbi che quest’ultimo avrebbe dovuto ricevere l’atto sia in proprio che quale domiciliatario. 1.2. È ormai costante l’orientamento della giurisprudenza per il quale il difensore di fiducia domiciliatario dell’imputato non ha diritto di ricevere tante copie dell’atto da notificare quanti sono i soggetti destinatari della notifica quando sia esplicitato od aliunde chiaramente desumibile che l’atto viene notificato al difensore sia nella sua veste tecnica sia nella veste di destinatario dell’atto in sostituzione dell’imputato. In tali casi, la notifica è pienamente valida pur se effettuata in unica copia, essendosi, attraverso tali modalità, raggiunte le finalità della notifica e informato il difensore. Cfr. in tal senso in motivazione da ultimo Cass. Sez. 1, sentenza n. 12309 del 29/01/2018, Viggiani, Rv. 272313, che ha affermato il principio per il quale in tema di notificazione al difensore mediante invio dell’atto tramite posta elettronica certificata c.d. p.e.c. , l’invio di un’unica copia dell’atto da notificare non dà luogo ad alcuna irregolarità, qualora risulti che l’atto viene consegnato al difensore sia in proprio, sia nella qualità di domiciliatario dell’interessato. Orbene, l’atto notificato conteneva, come indicato dalla stessa difesa nel ricorso, anche la chiara indicazione che la notifica era destinata al difensore ed agli imputati. 2. In secondo luogo, deve affermarsi che la mancata notifica della richiesta del pubblico ministero di giudizio immediato non determina alcuna nullità. 2.1. L’art. 456 cod. proc. pen. richiama infatti l’art. 429 commi 1 e 2 cod. proc. pen. pertanto, per il principio di tassatività, la nullità può aversi solo nei casi indicati nell’art. 429 comma 2 cod. proc. pen Per altro, la difesa non contesta l’insussistenza della richiesta di giudizio immediato del pubblico ministero e neanche la tempestività della richiesta ma solo la sua omessa notifica ma in tal modo non dimostra quale sarebbe il concreto interesse della difesa, posto che è il decreto di giudizio immediato che contiene gli elementi necessari all’esercizio del diritto di difesa. Il richiamo all’art. 179 cod. proc. pen. è erroneo perché la mancanza della notifica della richiesta del pubblico ministero di giudizio immediato non incide né sulla legittimità dell’iniziativa del pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale né sulla citazione degli imputati, assolta dalla notifica del decreto di giudizio immediato. 2.2. Va infine rilevato che dagli atti risulta che il difensore era presente alla prima udienza e nulla ha eccepito in ordine alla mancata notifica della richiesta di giudizio immediato. 3. Il secondo motivo è manifestamente infondato. Va infatti rilevato che la tesi difensiva è contraria al costante orientamento della Corte di Cassazione, che va ribadito anche in tema di divieto di dimora, tenuto conto della omogeneità delle misure coercitive, secondo il quale non sussiste il legittimo impedimento a comparire all’udienza preliminare nel caso esaminato dalla Corte di Cassazione dell’imputato sottoposto alla misura dell’obbligo di dimora in comune diverso da quello in cui ha sede il Tribunale procedente, quando lo stesso non abbia chiesto l’autorizzazione al giudice competente per partecipare all’udienza. Cfr. in tal senso Cass. Sez. 5, n. 20726 del 25/03/2014, Bevilacqua, Rv. 262823 cfr. anche Cass. Sez. 6, n. 44764 del 28/11/2001, Bonaccorsi, Rv. 220527 che ha affermato, in tema di impedimento a comparire, che grava sull’imputato che abbia ricevuto regolare notifica del decreto di citazione per il giudizio, e che sia sottoposto all’obbligo di non allontanarsi senza autorizzazione dal territorio di un determinato comune, l’onere di attivarsi tempestivamente per ottenere detta autorizzazione e di comunicare al giudice procedente la propria volontà di presenziare all’udienza. Posta la regolarità della notifica, la difesa non ha neanche contestato l’assenza di richiesta di autorizzazione a recarsi in Mantova da parte degli imputati. Fermo restando che alcuna nullità si è verificata, deve rilevarsi che la difesa sarebbe decaduta dalla possibilità di eccepire la nullità ai sensi dell’art. 182 comma 2 cod. proc. pen Ed invero, la stessa difesa ha qualificato la nullità eccepita di ordine generale risulta però dagli atti che il difensore era presente all’udienza e nulla ha eccepito sul punto, sicché avendo assistito alla nullità, poi dedotta, è incorsa nella decadenza di cui al comma 3 dell’art. 182 cod. proc. pen 4. Manifestamente infondato è il motivo sul rigetto dell’applicazione del comma 5 dell’art. 73 d.P.R. 309/1990. Contrariamente a quanto afferma la difesa, la Corte di appello di Brescia ha effettuato una valutazione complessiva degli elementi a sua disposizione prendendo correttamente in esame il peso lordo della sostanza, significativo perché la condotta ha ad oggetto hashish confezionati in ben 10 panetti, il quantitativo di principio attivo ed infine il numero di dosi ricavabili pari ad oltre 3.000. Va ricordato che la norma intende punire le condotte descritte dall’art. 73 d.P.R. 309/1990 che si caratterizzano per una complessiva minore portata dell’attività dell’autore e dei suoi eventuali complici, purché però abbiano ad oggetto una ridotta quantità di sostanza stupefacente, affinché sia ridotta anche la stessa circolazione della sostanza stupefacente. Il comma 5 si riferisce a quelle condotte in cui sia stata limitata anche la circolazione del denaro occorrente per l’acquisto o limitati i guadagni derivanti dall’attività illecita le condotte ricomprendono pertanto anche la detenzione di una provvista per la vendita che, comunque, non sia superiore - tenendo conto del valore e della tipologia della sostanza stupefacente - a dosi conteggiate a decine cfr. per l’uso di tali parametri Cass. Sez. 6, n. 15642 del 27/01/2015 . Nel caso in esame le dosi ricavabili sono conteggiabili in migliaia ed anche ove si volesse ragionare in termini di stecchette , le dosi sarebbero conteggiate in centinaia. 5. Manifestamente infondato è anche il motivo relativo alla determinazione della pena. Secondo il costante indirizzo della giurisprudenza della Corte di Cassazione, assolve adeguatamente all’obbligo della motivazione il giudice di merito che enunci, anche sinteticamente, la valutazione di uno o più dei criteri indicati nell’articolo 133 cod. pen. non è necessaria un’analitica esposizione dei criteri adottati, pur non potendosi far ricorso a mere clausole di stile, quali il generico richiamo alla entità del fatto e alla personalità dell’imputato. La Corte di appello di Brescia ha infatti esplicitamente motivato sull’entità della pena prendendo in esame, nell’ultima pagina della sentenza, i dati oggettivi, quali il dato ponderale. Va poi rilevato il dato oggettivo comunque risultante dalla motivazione della sentenza dell’occultamento dello stupefacente sul furgone. Dunque, la motivazione sulla pena è sussistente ed immune da vizi, avendo preso in esame gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen 6. Pertanto, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. si condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , si condanna altresì ciascun ricorrente al pagamento della somma di Euro 2.000,00, determinata in via equitativa, in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.