L’estinzione del reato continuato per intervenuta prescrizione

Ai sensi dell’art. 578 c.p.p., quando nei confronti dell'imputato è stata pronunciata condanna al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il Giudice di Appello e la Corte di Cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione, decidono sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili.

Sul punto si è espressa la Corte di Cassazione con sentenza n. 43901/18 depositata il 3 ottobre. La vicenda. La Corte d’Appello riformava la pronuncia emessa dal Tribunale relativa alla riduzione dell’entità della pena inflitta dal primo giudice, al pari dell’ammontare della somma liquidata a titolo di risarcimento in favore della costituita parte civile, una società partecipata da una serie di comuni, per i quali effettuava il servizio di interesse pubblico di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani e speciali. Confermava la condanna dell’imputato, allora presidente del cda della anzidetta società, dichiarato colpevole del reato di peculato per essersi appropriato delle somme di pertinenza della società. Il comportamento dell’imputato. Nel caso in esame, l’imputato, presidente del cda della società parte civile, aveva impiegato indebitamente la carta di credito rilasciatagli dall’ente e utilizzata per effettuare spese non aventi alcuna pertinenza con il suo ruolo. Sostiene il difensore che la responsabilità del suo assistito sarebbe inficiata dai vizi alternativi della motivazione, per via dell’assenza di indicazione in ordine alle somme indebitamente spese. Quanto all’elemento soggettivo del reato, la Suprema Corte sostiene che il dolo richiesto dalla fattispecie incriminatrice emerge chiaramente dalla ricostruzione della vicenda compiuta dai giudici di prime cure. Il termine di prescrizione. In merito al termine di prescrizione, però, occorre considerare che, all’epoca della pronuncia della sentenza impugnata, il termine massimo di prescrizione era già decorso per gli acquisti indebiti eseguiti con la carta aziendale in epoca antecedente. Deriva da ciò l’avvenuta maturazione della causa estintiva per tutti gli acquisti compiuti dal soggetto, dovendo tener conto che l’epoca della commissione del reato va riferita alla formulazione originaria dell’imputazione. Dunque, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il reato continuato è estinto per intervenuta prescrizione.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 4 luglio – 3 ottobre 2018, n. 43901 Presidente Fidelbo – Relatore Tronci Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Firenze, pronunciando sull’impugnazione dell’imputato, riformava la pronuncia emessa dal Tribunale di Lucca in forza del riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 323 bis cod. pen., per l’effetto riducendo l’entità della pena inflitta dal primo giudice, al pari dell’ammontare della somma liquidata a titolo di risarcimento in favore della costituita parte civile, ERSU s.p.a., società interamente partecipata dai comuni indicati nel capo d’accusa, per i quali effettuava il servizio d’interesse pubblico di raccolta e smaltimento di rifiuti urbani e speciali. Confermava, quindi, la statuizione di condanna nei confronti di B.V. , presidente del consiglio di amministrazione della società anzidetta, dichiarato colpevole del reato di peculato, per essersi appropriato di somme di pertinenza della ERSU, in misura di Euro 2.700,00, mediante l’indebito impiego della carta di credito rilasciatagli, utilizzata per l’effettuazione di spese non aventi alcuna pertinenza con il suo ruolo in tali termini circoscritto già dal primo giudice il ben più ampio ambito dell’imputazione inizialmente elevata nei suoi confronti . 2. Avverso detta pronuncia il B. , a mezzo del proprio difensore di fiducia, avv. Filippo Tacchi, ha proposto tempestiva impugnazione. 2.1 Assume il difensore ricorrente che la ribadita colpevolezza del proprio assistito sarebbe inficiata, in primo luogo, da vizi alternativi della motivazione, per via dell’assenza di qualsivoglia indicazione in ordine alle somme indebitamente spese, nonostante che nell’atto di gravame a suo tempo formalizzato fosse stato contestato l’omesso dettaglio delle singole poste cui riferire la condanna , così impedendo di articolare compiutamente ogni adeguata argomentazione difensiva in merito ed in particolare inibendo ogni eventuale valutazione sui tempi di commissione delle singole condotte donde la chiesta adozione di una sentenza di improcedibilità per estinzione del reato, attesa l’incertezza sulla data delle condotte appropriative per cui vi è condanna . Non senza aggiungere il carattere assolutamente contraddittorio - giusta la tesi sostenuta - dell’argomentazione con cui la Corte distrettuale ha escluso che i pagamenti contestati, in concreto del tutto imprecisati e perciò non individuabili, fossero destinati ad acquisti imprevisti , come invece logicamente avvalorato dagli importi assai contenuti di talune spese e dalla constatazione dell’effettuazione di alcune di esse presso duty-free aeroportuali, in conformità a quanto a suo tempo evidenziato nell’interesse del prevenuto, in uno con il rilievo dell’avvenuto rimborso di spese analoghe. 2.2 Strettamente correlata con quella di cui sopra è la seconda censura, per violazione di legge, ex art. 606 lett. b cod. proc. pen., avuto riguardo al disposto dell’art. 531 co. 2 del codice di rito, appunto in ragione dell’insuperabile dubbio circa l’avvenuto superamento del termine massimo prescrizionale. 2.3 La terza doglianza deduce violazione di legge/travisamento della prova e vizio di motivazione in ordine alle risultanze probatorie con particolare riferimento alle testimonianze del sig. BO. e del sig. P. , le cui deposizioni, ritenute di portata liberatoria a beneficio dell’imputato, si assume siano state oggetto, da parte della Corte distrettuale, di un’interpretazione congetturale, in malam partem, sulla scorta di valutazioni assolutamente generiche e svolte in carenza di adeguato supporto motivazionale . 2.4 Il denunciato difetto dell’elemento soggettivo costitutivo del reato costituisce il tema della quarta censura del ricorrente, per violazione di legge, sostenendosi in proposito che la Corte fiorentina, attraverso il mero ed acritico richiamo ad un precedente di legittimità, avulso da qualsivoglia correlazione con la specificità della vicenda per cui è processo, avrebbe indebitamente abdicato ad ogni doverosa valutazione sull’elemento psicologico della fattispecie , così avallando una sorta di non consentita responsabilità oggettiva . Ciò per aver malamente valorizzato la volontà dell’imputato di restituzione delle somme in questione, senza considerare che le stesse - come rappresentato dallo stesso B. - erano state effettuate per far fronte a situazioni di emergenza emerse nel corso di una trasferta, questa sì di carattere, per così dire, istituzionale , come comprovato dalla tipologia e dal costo dei vari acquisti, pur nell’impossibilità di individuarli con puntualità, e dal contesto in cui era avvenuta la loro effettuazione, essendo stata peraltro sottolineata la contraddittorietà di un assunto in forza del quale il reo compirebbe spese indebite di pochi Euro in occasione di trasferte all’estero, ma per contro si accollerebbe spese continuative pressoché quotidiane pur avendo la possibilità di sostenerle - magari solo in parte - con la carta aziendale , il cui utilizzo nella società si rimarca altresì essere stato introdotto proprio dall’odierno ricorrente, per di più già mandato assolto dalla parte più significativa della contestazione ascrittagli, a fronte di una valutazione di liceità per la stragrande maggioranza delle operazioni compiute nello stesso arco di tempo e per le medesime ragioni . 3. Con memoria depositata il 19 giugno u.s., il difensore ricorrente ha ulteriormente sviluppato il motivo di censura inerente alla già maturata prescrizione, insistendo per la sua declaratoria, anche alla luce delle pur generiche indicazioni risultanti dalla sentenza impugnata, coordinate con il prospetto allegato al capo d’imputazione di cui è parte integrante. Considerato in diritto 1. Senz’altro corretta è l’affermazione della penale responsabilità del ricorrente, cui concordemente i giudici di merito sono pervenuti, pur se l’intervenuta prescrizione del reato per cui è processo comporta l’annullamento senza rinvio dell’impugnata sentenza, ferme le statuizioni adottate in favore della costituita parte civile. 2. La premessa necessaria dell’anzidetta conclusione è rappresentata dalla circostanza - che la sentenza del Tribunale esplicita con assoluta chiarezza e la Corte d’appello pone implicitamente a base del proprio discorso giustificativo che l’affermazione, proveniente dallo stesso B. , di aver provveduto alla restituzione dell’importo di circa Euro 2.700,00, pur senza fornire alcuna prova documentale a sostegno del proprio assunto, vale pacificamente a significare che egli utilizzò la carta di credito aziendale per spese di tipo personale, per un ammontare corrispondente a quello sopra indicato. Il che trova ulteriore, ancorché non necessario, riscontro nello stesso tenore del ricorso in esame, là dove si dà atto, nello sviluppo del quarto motivo in punto di elemento soggettivo del reato di cui all’art. 314 cod. pen. , aver sempre sostenuto l’imputato che quei denari di piccolo importo fossero stati - momentaneamente - spesi per far fronte a situazioni di emergenza emerse nel corso di una trasferta, questa sì di carattere per così dire istituzionale . Logico corollario di quanto precede è che, a fronte di una indubbia ammissione proveniente dall’imputato, nessun vizio di motivazione è ravvisabile nella mancata indicazione in dettaglio delle singole voci di spesa - comunque desumibili dall’allegato 2 al capo d’imputazione, a tal fine ivi richiamato, così come la memoria difensiva del 19 giugno u.s. comprova tangibilmente - e, ancor meno, può essere lamentata la violazione delle ragioni della difesa, per certo ben consapevole dell’articolazione del riconosciuto addebito, in tutte le sue componenti. 3. D’altro canto, la censura difensiva in punto di elemento soggettivo - oggetto del quarto ed ultimo motivo di ricorso - non riveste alcuna consistenza, atteso che il dolo richiesto dalla fattispecie incriminatrice emerge, con assoluta chiarezza, dalla ricostruzione della vicenda concordemente compiuta dai giudici di merito. Con la puntualizzazione che il carattere di necessità, per imprevedibili esigenze sopravvenute, su cui il ricorrente pone l’accento, presuppone accertamenti di fatto che non risulta siano mai emersi nel corso dell’istruttoria dibattimentale, oltre ad essere logicamente resistito dalla constatazione che la pur allegata restituzione degli importi, per quanto ampiamente argomentato dai giudici di merito, non è stata in alcun modo dimostrata. A tale ultimo riguardo, rileva infatti il Collegio come palesemente insussistente sia il dedotto vizio di motivazione nell’apprezzamento delle dichiarazioni dei testi BO. e P. , di cui al terzo motivo dell’impugnazione in esame. Per la prima delle indicate deposizioni, la Corte distrettuale ha puntualmente osservato come l’affermazione del BO. , al tempo responsabile della contabilità della ERSU, circa l’integrale restituzione da parte del B. , fosse riferita alle sole somme che l’odierno ricorrente chiedeva al teste di anticipare per suo conto, essendo stato anzi esplicitato, nel corso della escussione, come la gestione della carta di credito fosse di competenza esclusiva dell’imputato, senza che al teste competesse alcun controllo in merito alle relative spese quelle che faceva con la carta di credito erano della carta di credito che andavano direttamente nella banca quelle altre invece entravano nella cassa cfr. la quarta facciata della motivazione della sentenza impugnata il che consente di far rientrare anche il versamento di un imprecisato assegno, di cui il ricorrente lamenta il mancato apprezzamento, in seno alla iniziale risposta del teste, quale sopra sintetizzata. Mentre, quanto alla seconda delle due deposizioni, la valutazione di genericità compiuta dalla Corte distrettuale - a fronte della riportata affermazione del teste, che si occupava del settore amministrativo e contabile della ERSU, secondo cui il B. avrebbe rimborsato direttamente alla cassa , comunque in non più di due o tre occasioni, le proprie spese personali, senza alcuna indicazione in grado di contestualizzare l’assunto - appare ineccepibile. In definitiva, il ragionamento svolto dal giudice d’appello è senza meno congruo e lineare, men che meno manifestamente infondato, senza che ricorra alcun vizio di travisamento - sintomaticamente dedotto in termini del tutto generici, per di più con la solo tardiva allegazione del testo integrale delle due deposizioni, in allegato con la più volte citata memoria del 19 giugno u.s. essendosi qui, di fatto, in presenza del non consentito tentativo di introdurre ed accreditare la propria soggettiva lettura delle due anzidette testimonianze il che è notoriamente estraneo alle finalità ed alla struttura che sono proprie del giudizio di legittimità, senza necessità di soffermarsi ulteriormente su tale ovvia considerazione. 4. Fermo quanto sopra, occorre tuttavia considerare che, all’epoca della pronuncia della sentenza impugnata 14.06.2016 , il termine massimo di prescrizione, qui pari ad anni dodici e mesi sei, era già decorso in assenza di sospensioni di sorta per gli acquisti indebitamente eseguiti con la carta aziendale in epoca antecedente al 14.12.2003, in concreto per quello dell’importo di Euro 128,08 in data 20.09.2003, come indicato nella già citata memoria dello scorso giugno. Il che vale ad escludere l’inammissibilità del ricorso - diversamente ricorrente, alla stregua delle considerazioni che precedono - ed impone di tener conto anche del tempo decorso nelle more. Discende da ciò l’avvenuta maturazione della causa estintiva per la totalità degli acquisti compiuti dal B. , a tal fine dovendosi tener conto che l’epoca di commissione del reato indicata nel capo d’accusa - che abbraccia il periodo compreso fra il 14.09.2003 ed il 31.05.2007 - va pacificamente riferita alla formulazione originaria dell’imputazione, fortemente ridimensionata dopo l’intervento del primo giudice, laddove, avuto riguardo al solo segmento della condotta contestata per cui è intervenuta condanna, il tempus commissi delicti non si estende al di là del 27.12.2005, in conformità all’epoca di effettuazione delle singole voci di spesa risultanti dal più volte citato allegato 2 e riportate nella memoria difensiva del 19 giugno u.s., la cui sommatoria conduce all’importo di Euro 2.675,10, corrispondente ai complessivi 2.700 Euro circa , cui il Tribunale di Lucca ha circoscritto l’ambito della declaratoria di colpevolezza dell’imputato, ribadita con la sentenza impugnata al di là della riforma in punto di trattamento sanzionatorio, connessa all’avvenuto riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 323 bis cod. pen. . Conclusivamente, è appena il caso di puntualizzare che le argomentazioni fin qui svolte impongono la conferma delle statuizioni civili, ex art. 578 cod. proc. pen., cui segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla costituita parte civile, nella misura liquidata in dispositivo. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato continuato è estinto per intervenuta prescrizione. Conferma le statuizioni civili e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile costituita ERSU s.p.a., che liquida in Euro 3.510,00 oltre spese generali al 15%, I.V.A. e C.P.A