Il Ministero della giustizia è legittimato a costituirsi parte civile nel procedimento per corruzione in atti giudiziari

Nel procedimento penale aperto a carico di un magistrato per corruzione in atti giudiziari, il Ministero della giustizia può legittimamente costituirsi parte civile in ragione del costo dei mezzi necessari al conseguimento del risarcimento della lesione alla funzione giurisdizionale e, laddove a venire in valutazione sia l’attività del magistrato di coordinamento e riparto degli affari all’interno dell’ufficio, per il danno risentito alla funzionalità dell’ufficio giudiziario .

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 41576/18, depositata il 25 settembre. La vicenda. La Corte d’Appello di Roma, in riforma della sentenza di prime cure, dichiarava non doversi procedere nei confronti di alcuni imputati per maturata prescrizione in riferimento ai reati di corruzione in atti giudiziari. Dalla ricostruzione della vicenda era emerso che uno degli imputati, in quanto patrocinatore di diverse cause civili iscritte presso l’ufficio del Giudice di Pace di un comune campano, offriva al coordinatore di detto ufficio – anch’esso imputato - pasti al ristorante e, con il concorso di altra imputata, prestazioni sessuali con donne disponibili, ottenendo così provvedimenti giudiziari favorevoli. La Corte confermava le statuizioni civili adottate in primo grado a favore della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero della Giustizia nella misura di 50mila euro per ciascuna parte civile, somma solidalmente a carico degli imputati. La sentenza viene impugnata con ricorso in Cassazione dai difensori degli imputati che deducono, per quanto d’interesse, l’erroneità della pronuncia per non aver provveduto alla revoca delle statuizioni civili stante il difetto di legittimazione del Ministero della Giustizia a costituirsi pare civile. Legitimatio ad causam. Il Collegio afferma che, in tema di corruzione in atti giudiziari, il danno patito dalla pubblica amministrazione non è solo quello non patrimoniale consistente nel turbamento e nella lesione dell’esercizio imparziale e indipendente della funzione giurisdizionale, riferibile alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ma anche quello patrimoniale derivante dell’esercizio dei poteri di accertamento e gestione della lesione sofferta dall’amministrazione della giustizia ad esito della condotta del magistrato, rispetto al quale la legittimazione deve essere individuata in capo al Ministero della Giustizia. Quest’ultimo può dunque pacificamente costituirsi parte civile nel procedimento penale a carico di un magistrato imputato per corruzione in quanto organo cui la Costituzione artt. 110 e 107 affida il compito di accertare la sussistenza e la consistenza del danno subito dall’amministrazione della giustizia e di individuare gli strumenti per porvi rimedio. In conclusione, per usare le parole della Corte, la legitimatio ad causam o legittimazione ad agire nel giudizio di danno incidentale all’accertamento penale condotto per fatti di corruzione ex art. 319- ter c.p. spetta non solo alla Presidente del Consiglio dei Ministri, soggetto rappresentativo della sintesi politica e di governo dello Stato-comunità e quindi portatore dell’interesse della collettività all’esercizio imparziale ed indipendente della funzione giurisdizionale, ma anche al Ministero di giustizia . Questi è legittimato ad agire nel giudizio di danno sempre, per il giudizio indiretto risentito dallo Stato-apaprato in ragione del costo dei mezzi necessari al conseguimento del risarcimento della lesione alla funzione giurisdizionale e, là dove a venire in valutazione sia l’attività del magistrato di coordinamento e riparto degli affari all’interno dell’ufficio, per il danno risentito alla funzionalità dell’ufficio giudiziario . Essendosi la Corte d’Appello conformata ai richiamati principi, la Corte di legittimità rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 8 giugno – 25 settembre 2018, n. 41576 Presidente Fidelbo – Relatore Scalia Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Roma con sentenza del 17 gennaio 2017, in riforma di quella di condanna resa dal Tribunale di Roma, esclusa l’aggravante ritenuta in fatto al capo d della rubrica, ha dichiarato, per quanto in questa sede di rilievo, non doversi procedere per maturata prescrizione nei confronti degli imputati, G.N. e D.T.U. , per i reati di corruzione in atti giudiziari, nella rispettiva veste di corruttore e di corrotto, e D.T. , in concorso con altra imputata, P.V. , anche di reclutamento di persone al fine di favorirne la prostituzione art. 3 n. 4 legge n. 75 del 1958 e 61 n. 2 cod. pen. . Secondo quanto ritenuto in primo grado, e confermato in appello, D.T.U. , patrocinatore di cause civili iscritte presso l’ufficio del giudice di pace di Trentola Ducenta, offriva al coordinatore di detto ufficio, G.N. , pasti al ristorante e, con il concorso di P.V.G. , incontri sessuali con donne disponibili, al cui pagamento provvedeva direttamente il professionista. G. abusando della sua qualità accettava le prestazioni indicate e si rendeva disponibile ad adottare provvedimenti giudiziari favorevoli agli interessi patrocinati da D.T. . In secondo grado sono state confermate anche le statuizioni civili adottate in favore della Presidenza del Consiglio dei ministri e del Ministero della giustizia, con riduzione del risarcimento in favore di ciascuna parte civile in Euro cinquantamila, somma posta a carico, in solido, degli imputati. 2. Ricorrono in cassazione nell’interesse degli imputati i rispettivi difensori di fiducia. 3. L’avvocato Ferdinando Trasacco, per G.N. , affida il proposto mezzo a tre motivi di annullamento. 3.1. La Corte di appello sarebbe incorsa in violazione della legge penale, sostanziale e processuale, non avendo provveduto a revocare le statuizioni civili di primo grado per carenza di legittimazione del Ministero della giustizia a costituirsi parte civile in un processo per corruzione di un magistrato. Il bene giuridico leso che nell’ipotesi di corruzione è costituito dal superiore interesse della collettività all’esercizio imparziale ed indipendente della funzione giurisdizionale che proprio dello Stato-collettività o comunità, a cui fa capo la Presidenza del Consiglio di Ministri, non può essere rappresentato da un’entità organizzativa dello Stato-apparato, qual è il Ministero di giustizia, deputato al funzionamento dei servizi giudiziari ed estraneo all’esercizio della funzione. Non vi sarebbe stata alcuna lesione concreta all’organizzazione ed al funzionamento dei servizi giudiziari come comprovato dal fatto che il Ministero si era costituito per il solo risarcimento del danno all’immagine. Il ricorrente ha concluso quindi chiedendo dichiararsi l’inammissibilità della costituzione di parte civile del Ministero della giustizia con revoca delle statuizioni civili. 3.2. La Corte di appello incorrendo in violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione all’art. 270 cod. proc. pen., avrebbe poi ritenuto l’utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche disposte in altro procedimento r.g.n.r. 40464/2004 iscritto per i diversi reati di cui agli artt. 416, 640 cod. pen. ed art. 7 d.l. n. 203 del 1991 e prorogate con relativi decreti fino al maggio 2005 da cui emergevano fatti qualificabili quale ipotesi di corruzioni in atti giudiziari all’esito dei quali il P.m. provvedeva ad iscrivere autonomo procedimento ovverosia quello di specie, rubricato al n. 25848/2005, poi trasferito per competenza a Roma con nuova iscrizione. Le indagini non sarebbero state connesse ed il collegamento tra le stesse ed i relativi fatti-reato sarebbe stato occasionale ed irrilevante ai fini dell’art. 270 cod. proc. pen. in difetto di collegamento oggettivo, probatorio o finalistico, nei termini di cui agli artt. 12, 371, comma 2, cod. proc. pen. lett. b e c . I provvedimenti del G.i.p., di autorizzazione e proroga, sarebbero stati travisati nei loro contenuti essendo gli stessi diversamente motivati rispetto alla richiesta del P.m. ed alla informativa della p.g 3.3. La Corte territoriale nella valutazione degli elementi di prova avrebbe valorizzato solo quelli presuntivamente posti a sfavore dell’imputato, quali le intercettazioni telefoniche in cui mai vi sarebbe stato quale interlocutore G.N. del quale avrebbero parlato con disappunto, per una evidenza obliterata in sentenza, gli altri imputati, D.T. e M. . I giudici di appello non avrebbero individuato quanto al contestato reato il momento di conclusione del patto corruttivo né il suo concreto contenuto sul versante del pubblico ufficiale. 4. L’avvocato Bartolo Guida, per G.N. , con due motivi di ricorso fa valere l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in cui sarebbe incorsa la Corte di merito per avere ritenuto l’esistenza di una corruzione in atti giudiziari in assenza di un atto corruttivo - sentenze o provvedimenti, in genere, favorevoli o assegnazioni dei fascicoli in violazione di criteri predeterminati - con il porre a fondamento del giudizio di penale responsabilità un asservimento della funzione che non vi sarebbe mai stato in ragione di una interpretazione del novellato art. 318 cod. pen. non applicabile al caso di specie art. 318 cod. pen. in relazione all’art. 319-ter cod. pen Si denuncia altresì vizio di motivazione per avere i giudici di appello ritenuto integrato l’accordo corruttivo nonostante il difetto di una telefonata tra gli imputati dai contenuti comprensivi dei fatti di cui all’imputazione, muovendo invece dalle unilaterali e millantatorie affermazioni del D.T. . La Corte territoriale non avrebbe valorizzato il difetto di provvedimenti favorevoli alle ragioni del preteso corruttore, mal interpretando i contenuti di conversazioni intercettate, e poi confluite nel procedimento di competenza romana, e delle ragioni, rappresentate dalla difesa, di una risalente amicizia tra i due imputati. 5. La difesa di D.T.U. articola tre motivi di annullamento che ripercorrono i temi posti all’attenzione di questa Corte dal ricorso dell’avvocato Trasacco per l’imputato G. . Considerato in diritto 1. I proposti ricorsi si prestano a congiunta trattazione in relazione al preliminare e comune tema della legittimazione del Ministero della giustizia a costituirsi parte civile in un giudizio penale in cui, in esito all’intervenuta prescrizione del reato di corruzione in atti giudiziari art. 319-ter cod. pen. , questa Corte venga chiamata ad accertare, nei termini di cui all’art. 578 cod. proc. pen., il danno civile sofferto dall’indicata amministrazione. 1.1. Ritiene il Collegio che ove resti integrato il reato di corruzione in atti giudiziari ex art. 319-ter cod. pen., il danno risentito dalla pubblica amministrazione va individuato non solo in quello non patrimoniale consistente sia nel turbamento sofferto dallo Stato-collettività per la lesione all’esercizio imparziale ed indipendente della funzione giurisdizionale, che nella deminutio portata al prestigio ed alla credibilità dello Stato-apparato riferibile alla Presidenza del Consiglio dei ministri, in quanto ente esponenziale della comunità nazionale e soggetto direttamente danneggiato dal reato quale organo di vertice dell’esecutivo, ma anche nel danno patrimoniale che deriva all’amministrazione dall’esercizio degli strumentali poteri di accertamento e gestione della lesione sofferta dall’amministrazione della giustizia in esito alla condotta del magistrato e rispetto al quale la legittimazione all’azione spetta al Ministero di giustizia. Il Ministro di giustizia è legittimato a costituirsi parte civile nel procedimento penale a carico di un magistrato imputato di corruzione in quanto organo cui spetta, secondo previsione costituzionale artt. 110 e 107 della Cost. , il compito di accertare la sussistenza e la consistenza del danno subito dall’amministrazione della giustizia a cagione della condotta del primo e di individuare, nell’ambito della gestione patrimoniale delle spese inerenti l’Ordine Giudiziario, gli strumenti per porvi rimedio, ivi compresa la costituzione di parte civile nel processo penale diretta a recuperare i mezzi economici da destinare a tale fine Sez. 6, n. 23024 del 04/02/2004, Drassich, Rv. 230439 . Il reato di corruzione in atti giudiziari ex art. 319-ter cod. pen. resta integrato anche là dove venga in considerazione l’esercizio da parte del magistrato dell’attività di coordinamento degli affari all’interno di un ufficio giudiziario che risulti nei suoi esiti perturbata dal patto corruttivo per manipolazione dei meccanismi tabellari. In siffatta ipotesi a ricevere lesione è il servizio giustizia , momento dell’attività del magistrato che si pone in termini di strumentalità rispetto alla giurisdizione e che trovandosi in diretto dialogo con le competenze proprie del Ministero di giustizia, articolazione dello Stato deputata all’organizzazione ed efficienza dell’attività pubblica amministrazione, di queste ultime condivide natura e finalità. In materia di corruzione in atti giudiziari ex art. 319-ter cod. pen. il danno risentito dalla pubblica amministrazione non è solo quello all’immagine di cui la prima è portatrice, nella sua duplice soggettività di Stato - apparato e di Stato - comunità, ma anche quello, indiretto e riflesso, alla funzionalità del servizio che si realizza nel caso in cui oggetto del mercimonio corruttivo sia la distribuzione ed attribuzione degli affari giurisdizionali all’interno di un ufficio giudiziario ove il magistrato svolga compiti di coordinamento. 1.2. La legitimatio ad causam o legittimazione ad agire nel giudizio di danno incidentale all’accertamento penale condotto per fatti di corruzione in atti giudiziari ex art. 319-ter cod. pen. spetta non solo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, soggetto rappresentativo della sintesi politica e di governo dello Stato-comunità e quindi portatore dell’interesse della collettività all’esercizio imparziale ed indipendente della funzione giurisdizionale, ma anche al Ministero di giustizia. In materia di corruzione in atti giudiziari, il Ministero della giustizia è legittimato ad agire nel giudizio di danno sempre, per il pregiudizio indiretto risentito dallo Stato - apparato in ragione del costo dei mezzi necessari al conseguimento del risarcimento della lesione alla funzione giurisdizionale e, là dove a venire in valutazione sia l’attività del magistrato di coordinamento e riparto degli affari all’interno dell’ufficio, per il danno risentito alla funzionalità dell’ufficio giudiziario. 1.3. Quanto ritenuto supera le considerazioni solo parzialmente sovrapponibili cui è giunta, in tempi non recenti, la Corte di legittimità nel sostenere che il Ministro della giustizia non è legittimato ad agire in giudizio per chiedere ed ottenere il risarcimento dei danni, cagionati dal reato di corruzione commesso da un magistrato, in quanto organo estraneo alla funzione giurisdizionale rispetto al quale l’interesse all’esercizio imparziale ed indipendente da parte della collettività può essere rappresentato non da un’entità organizzativa dello Stato - apparato, quale il Ministro della giustizia, ma solamente dal soggetto che rappresenta la sintesi politica e di governo dello stato-comunità ovvero dal Presidente del Consiglio dei Ministri Sez. 6, n. 9574 del 13/04/1999, Curtò, Rv. 214539 . Del danno alla funzione giurisdizionale va data una lettura ampia che tenga in valutazione non solo i contenuti non patrimoniali di danno all’immagine risentito dallo Stato-collettività, ma anche quelli patrimoniali, direttamente incidenti sugli aspetti organizzativi dello Stato-apparato profilo che apre la legittimazione all’azione civile di danno civile al Ministero di giustizia, inteso quale articolazione del primo. 1.4. Ritiene il Collegio di svolgere una ulteriore considerazione in punto di legittimazione all’azione civile di danno all’immagine ove l’illecito risarcibile resti integrato dal reato di cui all’art. 319-ter cod. pen Il danno all’immagine che discenda da una condotta corruttiva del magistrato va declinato nella sua accezione non patrimoniale sia in termini di pregiudizio alla credibilità dello Stato-apparato che di sofferenza riportata dalla collettività, o Stato-comunità, per la risentita perdita di fiducia nelle istituzioni. Se di quest’ultimo profilo è entità rappresentativa, quale organo di vertice dello Stato, la Presidenza del Consiglio dei Ministri dell’ulteriore aspetto ovverosia dell’offesa direttamente risentita dallo Stato-apparato può ben dirsi portatore anche il Ministero della giustizia quale articolazione di quel medesimo apparato direttamente attinto dal pregiudizio alla credibilità. 1.5. La Corte di appello di Roma con l’impugnata sentenza, il cui tessuto motivatorio si coordina ed integra pienamente con la sentenza di primo grado ivi richiamata, ha fatto piena applicazione degli indicati principi, segnatamente fornendo articolata lettura del danno da corruzione in atti giudiziari art. 319-ter cod. pen. di cui ha, con ragionamento pieno e corretto che non si espone a censura in questa sede, individuato i contenuti più squisitamente relativi al momento funzionale-organizzativo del servizio, per gli aspetti di coordinamento degli affari giudiziari svolti dall’imputato, G.D.N. , magistrato onorario, nell’ufficio del giudice di pace di Trentola Ducenta, nella loro diretta riferibilità e condivisione con il Ministero di giustizia. I proposti ricorsi sono pertanto, quanto all’individuato comune tema, non fondati e come tali vanno rigettati. 2. Nel resto i motivi si lasciano apprezzare per la loro non fondatezza per contenuti che lambiscono la stessa inammissibilità. Va premesso che, come ritenuto da questa Corte, è configurabile l’interesse ad impugnare dell’imputato nel caso in cui sia pronunciata sentenza di non doversi procedere per prescrizione, ex art. 129, comma 1, cod. proc. pen., considerato che detto interesse sussiste qualora dalla modifica del provvedimento impugnato - da intendere nella sua lata eccezione, comprensiva anche della motivazione - possa derivare l’eliminazione di qualsiasi effetto pregiudizievole per la parte che ne invoca il riesame e quindi non solo quando l’imputato, attraverso l’impugnazione si riprometta di conseguire effetti penali più vantaggiosi come l’assoluzione o la mitigazione del trattamento sanzionatorio, ma anche quando miri ad assicurare conseguenze extrapenali più favorevoli che l’ordinamento fa derivare dall’efficacia del giudicato delle sentenze di condanna o di assoluzione nel giudizio di danno art. 651 e 652 cod. proc. pen. , e dal giudicato delle sentenze di condanna o di assoluzione in altri giudizi civili o amministrativi art. 654 cod. proc. pen. in termini Sez. 5, n. 24300 del 19/03/2015, Migliaccio, Rv. 263907 . 2.1. Ciò posto, le ulteriori censure svolte dai ricorrenti sono dirette a contestare il merito della vicenda come accertato nei precedenti gradi di giudizio per contenuti ed aspetti in modo inammissibile dedotti in un giudizio, qual è quello di specie, in cui la regola in valutazione è quella di cui all’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., che vuole la prevalenza delle cause assolutorie di merito su quella estintiva solo ove le prime abbiano carattere di immediata evidenza. Detta ipotesi ricorre soltanto nel caso in cui sia rilevabile, con una mera attività ricognitiva, l’assoluta assenza della prova di colpevolezza a carico dell’imputato ovvero la prova positiva della sua innocenza, e non anche nel caso di mera contraddittorietà o insufficienza della prova per cui si richiede un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274 Sez. 6, n. 10284 del 22/01/2014, Culicchia, Rv. 259445 . Con l’indicato principio non si confrontano i motivi proposti nell’interesse degli imputati, alla cui trama difensiva resta altresì estranea ogni contestazione della regola di giudizio che chiama il giudice di appello, ove nel relativo grado sopravvenga una causa estintiva del reato, a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244273 . Nessuna puntuale censura viene svolta invero dai ricorrenti che contestano la formazione della prova per dedotta inutilizzabilità ex art. 270 cod. proc. pen. delle intercettazioni, in tal modo riproponendo una diretta ed inammissibile censura non mediata, come tale, da una puntuale contestazione della motivazione sul punto resa dalla Corte territoriale. 3. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché al pagamento di quelle di rappresentanza e difesa sostenute dalle costituite parti civili, Presidenza del Consiglio dei Ministri e Ministero della giustizia, che si liquidano complessivamente ex d.m. n. 37 del 2018 in misura prossima ai medi” di tariffa come da dispositivo. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché al pagamento delle spese sostenute dalle costituite parti civili, Presidenza del Consiglio dei Ministri e Ministero della giustizia, che liquida in Euro 4.550,00.