Istanza di affidamento in prova inammissibile: impossibile una deroga all’onere di elezione del domicilio

Ai sensi dell’art. 677, comma 1- bis c.p.p. l’istanza del condannato, non detenuto, irreperibile o latitante, deve contenere, a pena di inammissibilità la dichiarazione o elezione di domicilio. Tale obbligo non può essere assolto attraverso il recupero di indicazioni equipollenti pur desumibili dagli atti processuali quali le mere indicazione circa il domicilio o la residenza .

Lo ha confermato la Cassazione nella sentenza n. 39945/18, depositata il 5 settembre. Il fatto. Con decreto del Tribunale di Sorveglianza di Trieste veniva dichiarata inammissibile l’istanza di affidamento in prova al servizio sociale e di detenzione domiciliare promossa dall’interessato. Secondo i Giudici l’istante non aveva né eletto né dichiarato domicilio neppure con la nomina del difensore di fiducia, ciò in difetto della condizione di cui all’art. 677, comma 2- bis c.p.p. Competenza per territorio . Detta pronuncia è impugnata per cassazione dall’interessato, il quale sostiene che la citata norma avrebbe dovuto essere interpretata diversamente tenendo conto della particolare funzione svolta dalle misure alternative alla detenzione e delle peculiarità del procedimento di sorveglianza. Nella specie l’istante ha indicato nel corpo della richiesta espressamente il luogo in cui risiede, coincidente con quello in cui si è perfezionata la notifica e, secondo il ricorrente, l’indicazione della residenza deve intendersi atto equipollente alla dichiarazione di domicilio . Il motivo di ricorso è infondato. Osservano i Giudici di Cassazione che la richiesta di misure alternative è stata correttamente dichiarata inammissibile per difetto delle indicazioni richieste dall’art. 677 c.p.p., a rigore del quale l’istanza del condannato, non detenuto come nel caso di specie , irreperibile o latitante, deve contenere, a pena di inammissibilità la dichiarazione o elezione di domicilio. Obbligo di dichiarazione o elezione di domicilio. Quanto precisato è stato confermato dalla Sezioni Unite Cass. SS.UU. n. 18775/10 , richiamate nella sentenza in commento, le quali hanno affermato una serie di principi in materia. In primo luogo tale dichiarazione o elezione di domicilio è un atto personalissimo e può essere fatta solo dal condannato e non è delegabile al difensore, anche quando l’istanza sia presentata da quest’ultimo. Inoltre l’obbligo è imposto al condannato al fine di permette all’ufficio di avere un domicilio certo dello stesso dove notificare gli avvisi e di evitare la sua impropria sottrazione alla corretta esecuzione della sentenza di condanna a pena detentiva. Tale imposizione è riconducibile alle condizioni di legge previste dall’art. 666, comma 2, c.p.p. Procedimento di esecuzione anche nelle ipotesi di cui all’art. 656, comma 5, c.p.p. Esecuzione pene detentive , dovendosi ricomprendere, perché richiesta in generale per tutte le istanze concernenti il procedimento di sorveglianza, tra le indicazioni che la domanda volta a ottenere la concessione di una misura alternativa, presentata direttamente dal condannato ovvero dal suo difensore, deve contenere, in mancanza di espressa deroga . Infine, ricorda il Supremo Collegio, ai fini dell’assolvimento dell’indicato obbligo non è richiesta nessuna formula sacramentale, ma è necessario che la dichiarazione esprima con chiarezza la volontà del condannato in ordine al luogo indicato. In ogni caso l’obbligo non può essere assolto attraverso il recupero di indicazioni equipollenti pur desumibili dagli atti processuali, quali, come nel caso di specie, le mere indicazioni circa il domicilio o la residenza. Per tutte queste ragioni la Cassazione ha ritenuto che, contrariamente ai rilievi del ricorrente, l’indicazione della residenza del condannato sottoscritta dal difensore non è idonea a soddisfare i requisiti di cui all’art. 677, comma 1- bis c.p.p Conseguentemente il ricorso è dichiarato inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 10 luglio 2017 – 5 settembre 2018, n. 39945 Presidente Carcano – Relatore Tardio Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Con decreto emesso il 20 settembre 2016 il Presidente del Tribunale di sorveglianza di Trieste ha dichiarato inammissibile, ai sensi dell’art. 666, comma 2, in relazione all’art. 678 cod. proc. pen., l’istanza di affidamento in prova al servizio sociale ex art. 47 Ord. pen. e di detenzione domiciliare ex art. 47-ter Ord. pen. , presentata da S.L. con riferimento alla sentenza del 6 febbraio 2014 della Corte di appello di Trieste, che aveva riformato la sentenza del 18 aprile 2011 del Tribunale di Udine ed era divenuta definitiva il 16 luglio 2014, per difetto delle condizioni di cui al disposto dell’art. 677, comma 2-bis, cod. proc. pen., non avendo l’istante né eletto né dichiarato domicilio neppure con la nomina del difensore di fiducia, alla luce dei principi fissati dalle Sezioni Unite con sentenza n. 18775/2009. 2. Avverso detto decreto ha proposto ricorso per cassazione l’Avvocato generale presso la Corte di appello di Trieste, che ne chiede l’annullamento sulla base di unico motivo, con il quale denuncia erronea applicazione della legge penale, sostanziale e processuale, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b e c , cod. proc. pen Secondo il ricorrente, la norma deve essere diversamente applicata attraverso una interpretazione logico-sistematica costituzionalmente orientata, da compiersi tenendo conto della funzione svolta dalle misure alternative alla detenzione e delle peculiarità del procedimento di sorveglianza. La misura alternativa rappresenta l’esecuzione conformata al caso concreto e in forma flessibile della sentenza di condanna, e il problema del procedimento di sorveglianza non è tanto quello di svolgersi celermente, bensì e soprattutto quello di applicare, fra quelle possibili, la migliore sanzione in chiave rieducativa e social preventiva , e quindi non è tanto quello di avere una notifica agevolata da una formale dichiarazione di domicilio o elezione di domicilio . bensì, soprattutto, di conoscere il luogo ove l’interessato realmente vive, ove effettuare l’indagine socio-familiare ed eseguire l’eventuale misura alternativa e i correlati controlli . Nella specie, l’istante ha indicato nel corpo della istanza, tramite il proprio difensore, espressamente il luogo in cui risiede, peraltro coincidente con quello in cui si è perfezionata la notifica, e l’indicazione della residenza deve intendersi atto equipollente alla dichiarazione di domicilio. 3. Il ricorso, per la cui inammissibilità conclude anche il Sostituto Procuratore generale nella sua requisitoria scritta, è manifestamente infondato. 4. La richiesta di misure alternative alla detenzione, invero, è stata correttamente dichiarata inammissibile, ai sensi dell’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., in relazione all’art. 678 cod. proc. pen., per difetto delle indicazioni richieste dall’art. 677, comma 2-bis cod. proc. pen., introdotto con la legge n. 438 del 2001, che prescrive che l’istanza del condannato, che -come nella fattispecie non sia detenuto, irreperibile o latitante, deve contenere, a pena di inammissibilità, la dichiarazione o l’elezione di domicilio . 4.1. Le Sezioni Unite Sez. U, n. 18775 del 17/12/2009, dep. 2010, Mammoliti, Rv. 246720 hanno affermato, con richiami alla normativa vigente e riferimenti a riaffermati principi di diritto, che tale dichiarazione o elezione di domicilio, imposta al condannato non detenuto e che è correlata alla necessità per l’ufficio di avere un domicilio certo dello stesso dove notificare gli avvisi e di evitare la sua impropria sottrazione alla corretta esecuzione della sentenza di condanna a pena detentiva, è riconducibile alle condizioni di legge di cui all’art. 666, comma 2, cod. proc. pen. anche nelle ipotesi di cui all’art. 656, comma 5, cod. proc. pen., dovendosi ricomprendere, perché richiesta in generale per tutte le istanze concernenti il procedimento di sorveglianza, tra le indicazioni che la domanda volta a ottenere la concessione di una misura alternativa, presentata direttamente dal condannato ovvero dal suo difensore, deve contenere, in mancanza di espressa deroga la stessa dichiarazione o elezione di domicilio, in quanto atto personalissimo, può essere fatta solo dal condannato e non è pertanto delegabile al difensore, non solo nel caso in cui la richiesta di misure alternative alla detenzione sia presentata direttamente dal condannato, ma anche quando l’istanza sia presentata dal difensore, a meno che il condannato non risulti irreperibile o latitante ai fini dell’assolvimento dell’indicato obbligo non è richiesta l’adozione di formule sacramentali, ma è necessario che la dichiarazione esprima con chiarezza la volontà del condannato in ordine al luogo ove egli intende ricevere la notificazione degli avvisi, operandosi con essa una vera e propria scelta tra i luoghi indicati nell’art. 157 cod. proc. pen., con la consapevolezza degli effetti processuali di tale scelta né l’obbligo incombente sul condannato non detenuto può essere assolto attraverso il recupero di indicazioni equipollenti pur desumibili dagli atti processuali quali le mere indicazioni circa il domicilio o la residenza . 4.2. Tale principio, cui questa Corte ha già dato continuità tra le altre, Sez. 1, n. 30779 del 13/01/2016, Medeot, Rv. 267407 , deve essere qui riaffermato, pur a fronte del diverso orientamento, richiamato dal ricorrente, espresso da isolato arresto di questa Sezione Sez. 1, n. 20479 del 12/02/2013, Hamidovic, Rv. 256079 , che nella sua succinta motivazione non si è confrontato con il predetto condiviso precedente. 4.3. Consegue che contrariamente ai rilievi del ricorrente, l’indicazione nella istanza, sottoscritta dal difensore, della residenza del condannato, non è all’evidenza idonea a soddisfare i requisiti prescritti dall’art. 677, comma 2-bis, cod. proc. pen. 5. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso.