La necessaria volontà espressa dall’imputato per la richiesta di differimento del termine

L’art. 309, comma 9-bis, c.p.p. testualmente recita su richiesta formulata personalmente dall'imputato entro due giorni dalla notificazione dell'avviso, il tribunale differisce la data dell'udienza da un minimo di cinque ad un massimo di dieci giorni se vi siano giustificati motivi. In tal caso il termine per la decisione e quello per il deposito dell'ordinanza sono prorogati nella stessa misura .

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con sentenza n. 39187/18 depositata il 29 agosto. Il caso. Il Tribunale del Riesame dichiarava inammissibile per rinuncia il ricorso presentato, ex art. 309 c.p.p., avverso l’ordinanza del GIP con cui veniva disposta la misura cautelare in carcere. In particolare, il Tribunale rigettava istanza di differimento dell’udienza camerale, presentata a mezzo PEC dal difensore. L’istanza di differimento. Come ormai chiarito da tempo, nel processo penale alle parti private non è consentito effettuare comunicazioni, notificazioni ed istanze mediante l’utilizzo della PEC. Quanto poi all’istanza di differimento l’art. 309, comma 9 -bis , c.p.p. stabilisce che su richiesta formulata personalmente dall’imputato entro due giorni dalla notificazione dell’avviso, il Tribunale differisce la data dell’udienza da un minimo di cinque ad un massimo di dieci giorni se vi sono giustificati motivi. Scopo del legislatore è quello di ricollegare la richiesta di differimento del termine ad una espressa manifestazione di volontà dell’imputato vista la delicatezza di un tema quale la privazione della libertà personale del soggetto anche oltre il termine ordinario indicato dalla legge.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 19 giugno – 29 agosto 2018, n. 39187 Presidente Cervadoro/Relatore Borsellino Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale del Riesame di Milano, con ordinanza del 28/3/2018, pronunciando nei confronti dell’odierno ricorrente, D.K. , dichiarava inammissibile per rinuncia il ricorso presentato in data 21/3/2018, ex art. 309 cod. proc. pen., avverso l’ordinanza del GIP presso il Tribunale di Milano del 12/3/2018, con cui veniva disposta la misura della custodia cautelare in carcere. Nell’ambito del procedimento, il Tribunale con ordinanza del 27/3/2018, aveva rigettato istanza di differimento dell’udienza camerale, ai sensi dell’art. 309 comma 9 bis cod. proc. pen., presentata a mezzo PEC dal difensore. 2. Avverso tali provvedimenti ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore, D.K. , deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen Violazione, inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 309, Co. 9 bis cod. proc. pen. in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b , cod. proc. pen. e contestuale mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen Il ricorrente rileva che il provvedimento del 27/3/2018, nell’affermare l’inammissibilità dell’istanza di differimento dell’udienza camerale, in quanto trasmessa a mezzo PEC e, quindi in violazione della disciplina codicistica, che non prevede tale strumento, violerebbe la norma, svilendo e privando di effettività l’istituto di cui si invocava l’applicazione. L’introduzione dell’inedita facoltà per la difesa di chiedere il differimento dell’udienza camerale per esigenze difensive, andrebbe invece interpretata inscindibilmente nel contesto in cui essa è stata riconosciuta, ossia nell’ambito del gravame ex art. 309 cod. proc. pen., nel quale le esigenze difensive sottese alla necessità del rinvio possono sorgere nell’ambito di pochissimo tempo. Pertanto sarebbe logica conseguenza la possibilità di avanzare la relativa richiesta, di natura interlocutoria, con qualsiasi mezzo, purché idoneo ad assicurare la certezza del soggetto da cui promana. E certamente la PEC dovrebbe, in tal senso, ritenersi strumento legittimamente utilizzabile nel limitato e peculiarissimo contesto dell’art. 309 co. 9 bis cod. proc. pen Inoltre risulterebbe meritevole di censura, l’ulteriore motivo di rigetto fondato sul principio che l’istanza possa essere avanzata solo dall’indagato e non anche dal suo difensore. Tale conclusione - ad avviso del difensore ricorrente - sarebbe inconciliabile con i poteri di rappresentanza di cui gode il difensore, laddove deve ritenersi che qualsiasi diritto o facoltà processuale riconosciuta possa essere esercitata anche dal difensore, salvo venga espressamente richiesta dalla legge la procura speciale. Si sottolinea in proposito che è pacifico che l’esigenza di chiedere il differimento dell’udienza sia spesso legata a questioni tecnico - processuali di immediata percezione del difensore e non dell’assistito. Imporre la necessità di proporre l’istanza al solo assistito, spesso detenuto, con le conseguenti difficoltà, significherebbe elidere la natura dell’istituto del differimento, privandolo di qualsiasi effettività. Nel caso di specie, infatti, essendo l’imputato alloglotta, assistito da un interprete sin dall’interrogatorio di garanzia, dovrebbe ritenersi che il difensore possa avanzare autonomamente la richiesta ex art. 309, co IV - bis cod. proc. pen. in luogo e in rappresentanza del proprio assistito. La rinuncia al Riesame, manifestata in sede di udienza camerale, infine, avrebbe rappresentato atto consequenziale al rigetto dell’istanza di differimento, non essendo la difesa stata posta nelle condizioni di raccogliere il materiale documentale con valenza favorevole per l’indagato. Si chiede pertanto l’annullamento di entrambi i provvedimenti impugnati, con tutte le conseguenze di legge. Considerato in diritto 1. I motivi sopra illustrati sono manifestamente infondati e, pertanto, il proposto ricorso va dichiarato inammissibile. 2. In primo luogo - e ciò già basterebbe a decretare l’inammissibilità dell’impugnazione - va rilevato che è rimasto allo stadio di mera enunciazione difensiva il collegamento tra l’operata rinuncia al riesame ed il rigetto della richiesta di rinvio ex art. 309 co.9bis cod. proc. pen 3. Manifestamente infondato, inoltre, è il primo motivo di ricorso, avendo ormai questa Corte di legittimità chiarito, con plurime pronunce, che nel processo penale, alle parti private non è consentito effettuare comunicazioni, notificazioni ed istanze mediante l’utilizzo della posta elettronica certificata cfr. ex multis Sez. 2, n. 31314 del 16/5/2017, P., Rv. 270702 in una fattispecie relativa ad istanza di rinvio per legittimo impedimento avanzata a mezzo PEC dal difensore di fiducia dell’imputato conformi Sez. 1, n. 18235 del 28/1/2015, Livisianu, Rv. 263189, che ha negato tale possibilità nel caso della presentazione di una domanda di rimessione in termini a mezzo posta elettronica certificata Sez. 3, n. 6883 del 26/10/2016 dep. il 2017, Manzi, Rv. 269197 che dichiarato inammissibile il deposito della lista testimoniale, mediante l’uso della posta elettronica certificata, affermando che, in assenza di una espressa norma derogatoria – prevista invece per il giudizio civile dall’art. 16-bis del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modifiche in legge n. 221 del 2012 - non possono essere adottate con modalità diverse da quelle prescritte dall’art. 468, comma 1, cod. proc. pen. a pena di inammissibilità Sez. 2, n. 31336 del 16/5/2017, Silvestri, Rv. 270858 . 4. Manifestamente infondata è anche la doglianza secondo cui, in ragione della celerità del rito, l’istanza di differimento prevista dall’art. 309bis cod. proc. pen. dovrebbe poter essere avanzata anche dal difensore, dovendosi anche tenere conto che ci si trova di fronte ad un imputato alloglotta. Orbene, quanto a tale ultima circostanza, è lo stesso difensore a confermare che l’imputato è stato assistito da interprete in tutto il corso del procedimento. Né risulta documentato che sia mai stata presentata alcuna istanza redatta nella lingua madre dell’odierno ricorrente. Ma, soprattutto, la doglianza in questione pare ignorare non solo il dato letterale della norma invocata, ma anche la ratio della sua introduzione. Quanto al primo, non può non evidenziarsi che l’art. 309 cod. proc. pen. prevede al comma 9 bis comma inserito dall’art. 11 comma 4, L. 16 aprile 2015, n. 47 testualmente che Su richiesta formulata personalmente dall’imputato entro due giorni dalla notificazione dell’avviso, il tribunale differisce la data dell’udienza da un minimo di cinque ad un massimo di dieci giorni se vi siano giustificati motivi. In tal caso il termine per la decisione e quello per il deposito dell’ordinanza sono prorogati nella stessa misura . Quanto alla seconda, invece, il difensore ricorrente trascura che l’intento del legislatore, mediante la nuova disciplina di cui alla legge n. 47/2015, è stato quello di rafforzare il diritto all’autodifesa dell’indagato. L’art. 11 della legge citata, infatti, ha, da un lato, modificato il sesto comma dell’art. 309, in precedenza dedicato esclusivamente alle modalità di presentazione contestuale o successiva dei motivi di gravame, disponendo, in particolare, che, con la richiesta di riesame, oltre a poter essere enunciati anche i motivi, l’imputato può chiedere di comparire personalmente . E poi ha aggiunto al comma 8-bis dell’art. 309, prima dedicato alla legittimazione del P.M. richiedente la misura a partecipare all’udienza camerale, il seguente ulteriore periodo L’imputato che ne abbia fatto richiesta ai sensi del comma 6 ha diritto di comparire personalmente . A fronte di norme certamente rigorose come quelle di cui ai modificati commi 6 e 8-bis dell’art. 309 c.p.p., il legislatore, con la novella del 2015, ha perciò inteso accrescere gli strumenti a disposizione della difesa, consentendo, con l’introduzione del nuovo comma 9-bis, che, su richiesta formulata personalmente dall’imputato entro due giorni dalla notificazione dell’avviso , il tribunale differisca la data dell’udienza da un minimo di cinque ad un massimo di dieci giorni se vi sono giustificati motivi . Nonostante la natura prettamente tecnica delle esigenze difensive atte a fondare una richiesta di differimento del termine, pertanto il legislatore ha inteso ricollegare quest’ultima ad una manifestazione di volontà espressa direttamente dall’imputato per intuibili ragioni correlate alla delicatezza di un tema quale la privazione della libertà personale anche oltre il termine ordinario previsto dalla legge. È precisa, dunque, e non può essere ignorata, la scelta del legislatore che, pure in relazione ad una questione eminentemente tecnica, si è voluto, comunque, affidare, in via esclusiva, all’iniziativa personale dell’imputato. 5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000 , alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo, che tiene conto della plurima manifesta e totale infondatezza di tutti i motivi sopra illustrati. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende. La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmesso al direttore dell’istituto penitenziario perché provveda a quanto stabilito dall’art. 94 comma 1 ter disp. att. c.p.p