La duplice accezione del reato di abusivo esercizio di una professione

Il reato di abusivo esercizio di una professione sussiste anche laddove l’imputato abbia posto in essere una pluralità di atti che, pur non essendo riservati in via esclusiva alla competenza specifica di una professione, nel loro continuo, coordinato ed oneroso riproporsi ingenerano una situazione di apparenza evocativa dell’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato, con conseguente affidamento incolpevole della clientela .

Lo ha precisato la Corte i Cassazione con la sentenza n. 33464/18, depositata il 18 luglio. La vicenda. La Corte d’Appello di Cagliari confermava la condanna di prime cure inflitta ad un imputato per abusivo esercizio della professione di commercialista. L’imputato ricorre per la cassazione della sentenza sostenendo il carattere non abusivo della sua attività di consulenza tributaria ed aziendale svolta in assenza di iscrizione all’albo dei dottori commercialisti ed esperti contabili in quanto rientrante tra le attività non organizzate in ordini o collegio e quindi liberamente esercitabile. Sussistenza del reato. Il ricorso propone la questione dell’assoggettamento dell’attività di consulenza tributaria ed aziendale alla disciplina ordinistica e, dunque, della sussistenza del reato di cui all’art. 348 c.p La giurisprudenza ha interpretato tale norma, che punisce chi esercita un’attività professionale in assenza di abilitazione speciale, con una lettura espressiva del rispetto dei livelli di competenza necessari a garantire tutela ad interessi pubblici a protezione costituzionale . L’art. 348 c.p. è una norma penale in bianco in quanto presuppone l’esistenza di una disciplina distinta e specifica volta ad individuare le professioni per le quali è prevista l’abilitazione dello Stato, il titolo e le condizioni soggettive ed oggettive per l’iscrizione all’albo. Sulla base di tale premessa, la Corte afferma che il reato punito dalla norma citata può assumere una duplice accezione corrispondente, da un lato, allo svolgimento della professione nella sua natura liberale-ordinistica in assenza dell’abilitazione e, dall’altro, al compimento di una pluralità di atti che, anche se non riservati in via esclusiva alla competenza specifica di una professione, nel loro continuo, coordinato ed oneroso riproporsi ingenerano una situazione di apparenza evocativa dell’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato, con conseguente affidamento incolpevole della clientela . Tornando al caso di specie, la Corte di merito ha correttamente applicato tali principi e ricondotto l’attività posta in essere dal ricorrente a quella riservata al commercialista dal d.lgs. n. 139/2005. Per questi motivi, il ricorso viene dichiarato inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 10 maggio – 18 luglio 2018, n. 33464 Presidente Paoloni – Relatore Scalia Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Cagliari con sentenza del 4 luglio 2017 ha confermato quella emessa dal tribunale della medesima città che aveva condannato l’imputato, M.M.E. , alla pena di un mese di reclusione nonché al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, per il reato di cui all’art. 348 cod. pen., perché, agendo quale titolare della ditta Centro Studi Aziendali M. Consulting , egli esercitava abusivamente prestazioni professionali per le quali era richiesta l’iscrizione all’albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili o a quello dei consulenti del lavoro. 2. L’imputato, a mezzo di difensore di fiducia, ricorre in cassazione avverso l’indicata sentenza con due motivi di annullamento. 2.1. Con il primo articolato motivo si deduce l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 348 cod. pen 2.1.1. La Corte di appello aveva ritenuto il carattere abusivo della generica attività di consulenza tributaria e aziendale svolta dal prevenuto perché rientrante nelle competenze dei commercialisti e dei consulenti del lavoro e come tale erroneamente ritenuta non soggetta alla legge del 14 gennaio 2013 n. 4 di liberalizzazione delle professioni non organizzate o senza albo. Il criterio ispiratore della regolamentazione dello svolgimento di attività professionale sarebbe stato invece quello della libertà di iniziativa economica, tutelata dall’art. 41 della Costituzione, rispetto alla quale avrebbe dovuto leggersi quale eccezione la disciplina contenuta nell’art. 33, quinto comma, della Costituzione, nella parte in cui essa subordina l’esercizio della professione al conseguimento dell’abilitazione. Siffatta ipotesi sarebbe valsa infatti soltanto per quelle professioni per le quali la legge prescrive l’iscrizione ad albi e collegi, e tanto a tutela della clientela. L’attività contestata, di consulenza fiscale generica, sarebbe invece rientrata tra quelle non organizzate in ordini o collegi e, quindi, sarebbe stata liberamente esercitabile nei termini di cui alla legge n. 4 del 2013 e tanto in applicazione del principio di retroattività della legge più favorevole. 2.1.2. La consulenza tributaria ed aziendale, contestata e ritenuta, non sarebbe stata riservata agli iscritti all’albo dei dottori commercialisti o dei ragionieri e periti commerciali per i principi affermati dalla Corte costituzionale nel dare interpretazione ad una complessa realtà in cui avrebbero trovato composizione le esigenze della interdisciplinarietà e della parziale concorrenza tra profili professionali ed il sistema degli ordinamenti di categoria della professionalità specifica sentenze n. 418 del 1996 e n. 345 del 1995 . 2.1.3. La Corte di cassazione con un overruling in malam partem ed in violazione dell’art. 7 della CEDU, nella non prevedibilità della nuova interpretazione data alla materia con sentenza a sezioni unite n. 11545 del 23 marzo 2012, che sarebbe stata inapplicabile nella specie in quanto violativa della riserva di legge, avrebbe affermato, di contro a quanto ritenuto dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, che l’attività di consulenza fosse riservata agli iscritti agli albi. 2.1.4. Poiché l’imputato aveva informato i propri clienti di essere privo di un’abilitazione professionale e di agire per esperienza, maturata negli anni, non vi sarebbe stata comunque violazione dell’affidamento dei terzi, nell’interpretazione datane dalla sentenza a Sezioni Unite n. 11545 cit La conclusione sul punto formulata dalla Corte di appello di Cagliari, che si sarebbe trattato di indimostrate affermazioni dell’imputato, avrebbe invertito l’onere della prova da valere in materia e per il quale il Pubblico ministero avrebbe dovuto dimostrare le doglianze dei clienti. 2.1.5. La sentenza impugnata avrebbe dovuto essere censurata nella parte in cui aveva escluso la liceità della consulenza tributario - aziendale resa dall’imputato con l’ausilio di professionisti abilitati. M. attraverso la struttura di cui era titolare aveva coordinato l’attività di diverse professionalità per poi offrire ai clienti una prestazione completa, dimostrando di aver concluso a tal fine, negli anni, varie convenzioni con avvocati, revisori e commercialisti. La buona fede dell’imputato sarebbe stata comprovata dall’autorizzazione da lui ottenuta ad operare sul servizio telematico dell’Agenzia delle entrate. 2.2. Con il secondo motivo di ricorso si fa valere il travisamento della prova in cui sarebbero incorsi i giudici di appello. Il teste, ufficiale di p.g., Mo.Gi. avrebbe riferito che l’imputato si occupava della generica contabilità delle imprese, consentita anche a chi non sia iscritto all’albo e che poteva essere svolta dai consulenti, come altresì attestato dalle fatture in atti per la causale ivi riportata. 3. Con memoria depositata il 3 maggio 2018, l’Ordine dei commercialisti e degli esperti contabili di Cagliari, costituitosi parte civile, ha dedotto sulla inammissibilità del ricorso proposto dall’imputato, contestando la manifesta infondatezza delle argomentazioni difensive ivi portate e richiamando i principi fatti propri dalla sentenza a Sezioni Unite di questa Corte n. 11545 del 2011. Ritenuto in diritto 1. Il ricorso è inammissibile in quanto fondato sui motivi già proposti con l’appello e congruamente respinti in secondo grado e tanto sia per l’insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo, Rv. 260608 . 2. Il primo motivo ripropone il tema dell’assoggettamento alla disciplina ordinistica dell’attività di consulenza tributaria ed aziendale e quindi all’integrazione del reato di esercizio abusivo di una professione, nei termini di cui all’art. 348 cod. pen., là dove l’attività professionale venga esercitata in difetto della speciale abilitazione dello Stato. La giurisprudenza di legittimità ha dato dell’esercizio della professione, integrativo del reato di cui all’art. 348 cod. pen., una lettura espressiva del rispetto dei livelli di competenza necessari a garantire tutela ad interessi pubblici a protezione costituzionale. Per il meccanismo del rinvio alla disposizione extrapenale, l’art. 348 cod. pen. diviene una norma penale in bianco in quanto presuppone l’esistenza di altre norme volte ad individuare le professioni per le quali è richiesta la speciale abilitazione dello Stato e, con l’indicato titolo, le condizioni, soggettive e oggettive, tra le quali l’iscrizione in un apposito albo, in mancanza delle quali l’esercizio della professione risulta abusivo ex multis Sez. 2, n. 16566 del 07/03/2017, D.F., Rv. 269580 Sez. 6, n. 47028 del 10/11/2009, Trombetta, Rv. 245305 Sez. 5, n. 41142 del 17/10/2001, Coppo, Rv. 220186 . In applicazione dell’indicato principio con riguardo alla professione di dottore commercialista e di consulente del lavoro, la Corte di appello di Cagliari, in piena e corretta adesione alle affermazioni di questa Corte -puntualmente segnate dalla sentenza a Sezioni Unite n. 11545 del 2012 dalle cui persuasive conclusioni questo Collegio non ha ragione di discostarsi - ha debitamente valutato le attività svolte dall’imputato, per poi apprezzarne la piena riconducibilità alla contestata fattispecie di reato. 2.1. Viene in considerazione, nella sua duplice accezione, la nozione di abusivo esercizio della professione che è tale sia perché svolta nella sua natura liberale-ordinistica in assenza della prescritta abilitazione sia perché si è comunque tradotta in una pluralità di atti che, pur non riservati in via esclusiva alla competenza specifica di una professione, nel loro continuo, coordinato ed oneroso riproporsi ingenerano una situazione di apparenza evocativa dell’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato, con conseguente affidamento incolpevole della clientela Sez. U, n. 11545 del 15/12/2011, dep. 2012, Cani, Rv. 251819 . La motivazione impugnata, articolata lungo le indicate coordinate, perviene per debito scrutinio del materiale di prova a conclusioni che sfuggono a censura in sede di legittimità. 2.2. La Corte territoriale ha ricondotto le attività ascritte all’imputato, di tenuta della contabilità delle imprese ed in materia del lavoro, a quelle riservate dal d.lgs. n. 139 del 2005, contenente la Costituzione dell’ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, a norma dell’art. 2 della L. 24 febbraio 2005, n. 34 ai dottori commercialisti e dalla legge n. 12 del 1979, contenente norme Norme per l’ordinamento della professione di consulente del lavoro . Delle prime i giudici di appello hanno apprezzato il rilievo penale dopo aver escluso, con argomenti congrui che non si espongono a critica in questa sede, l’esistenza di meccanismi diretti a ricondurre l’operatività delle strutture stesse la M. Consulting S.r.l. che priva di dipendenti, e riconducibile al prevenuto, si relazionava direttamente con i clienti finali ed il Centro studi aziendali - M. Consulting, dotato di dipendenti privi dell’autorizzazione all’esercizio della professione , alle quali l’attività professionale era riferibile, al modello del professionista abilitato. 2.3. Ancora, della legge n. 4 del 2013, contenente Disposizioni in materia di professioni non organizzate , si è data nell’impugnata sentenza una corretta cornice di operatività per debito distinguo tra le figure professionali cc.dd. protette, e non. Le une organizzate per sistemi ordinistici a previsione costituzionale art. 33 Cost. - per le quali, con il meccanismo del rinvio alla disposizione extrapenale, l’art. 348 cod. pen. diviene una norma penale in bianco in quanto presuppone l’esistenza di altre norme volte ad individuare le professioni per le quali è richiesta la speciale abilitazione dello Stato e le condizioni, soggettive e oggettive, tra le quali l’iscrizione in un apposito albo, in mancanza delle quali l’esercizio della professione risulta abusivo sul punto, Sez. 6, n. 2691 del 09/11/2017, dep. 2018, Dus, in motivazione, p. 9 - e le altre in cui lo svolgimento dell’attività libero-intellettuale, in attuazione dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione e nel rispetto dei principi dell’Unione Europea in materia di concorrenza e di libertà di circolazione art. 1 legge n. 4 cit. , resta emancipato dalle indicate forme. Il tutto, comunque, per una complessiva disciplina in cui si accompagnano, nella coesistenza dei due sistemi, alle spinte di ispirazione convenzionale, dirette a favorire il mercato e la concorrenza, quelle, interne, di tutela delle professioni liberali, riservate. 2.4. Il tema dell’ovveruling, pure oggetto del primo motivo e che si vorrebbe integrato, nelle difese articolate dall’imputato, dalle affermazioni in diritto contenute nella sentenza di questa Corte a Sezioni Uniti n. 11545 del 15/12/2011 cit., riceve debito apprezzamento da parte dei giudici di appello di Cagliari là dove essi evidenziano la mancanza, nei principi in sentenza sostenuti, del carattere dell’imprevedibilità, in quanto elaborazione di una precedente giurisprudenza di legittimità. Tale è stata nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione della non rilevanza ai fini della configurabilità del reato di abusivo esercizio di una professione della distinzione tra i cc.dd. atti tipici della professione o atti riservati in via esclusiva a soggetti dotati di speciale abilitazione ed atti cc.dd. caratteristici o strumentalmente connessi ai primi ove compiuti in modo continuativo e professionale Sez. 6, n. 49 del 08/10/2002, dep. 2003, Notaristefano, Rv. 223215 . La prospective overrulig che ha ricevuto elaborazione della giurisprudenza civile di legittimità vuole un mutamento di orientamento, repentino ed inopinato, della regola del processo che comporti un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa e che richieda una tutela dell’affidamento incolpevole della parte nella norma in precedenza enunciata Sez. 6 - L, Ordinanza n. 8445 del 05/04/2018 Rv. 647572 - 01 Sez. 6 5, Ordinanza n. 15530 del 27/07/2016 Rv. 640763 - 01 . Si tratta invero di modifica dei termini processuali la cui affermazione non si attaglia alla fattispecie scrutinata dalle indicate Sezioni Unite Cani, nella squisita valenza sostanziale della disciplina nella stessa prevista. Il motivo di ricorso è quindi, nel suo complesso, inammissibile perché manifestamente non fondato e perché reiterativo di critica che ha trovato nell’impugnata sentenza corretta e congrua risposta. 3. Il motivo sulla prova resta anch’esso inammissibilmente proposto perché denuncia un travisamento che manca di individuare della prova stessa il carattere decisivo non confrontandosi sul punto con le conclusioni, sostenute da un’articolata piattaforma di prova, della Corte di appello rispetto alle quali, restano estranei e non concludenti gli argomenti portati dalla difesa. 4. Conclusivamente il ricorso è inammissibile. 5. All’inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma equitativamente stimata in ragione dei profili di colpa che connotano l’assunta iniziativa giudiziaria di Euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel grado dalla costituita parte civile, Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Cagliari, spese liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Cagliari, spese che liquida in complessivi Euro tremilacinquecento oltre accessori di legge.