Pass invalidi della madre fotocopiato e apposto sul cruscotto: condannato

In caso di riproduzione fotostatica dell’originale di un permesso di parcheggio riservato ad invalidi, attribuito ad altri, ed esposizione di tale copia sul proprio veicolo si configura il reato di falso materiale commesso dal privato in autorizzazioni amministrative laddove tale documento abbia l’apparenza dell’originale e come tale venga utilizzato, non presentandosi quale mera riproduzione.

Pass invalidi fotocopiato. Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 32366/18, depositata il 13 luglio, dichiarando inammissibile il ricorso avverso la sentenza con cui la Corte d’Appello di Milano confermava la condanna del ricorrente per aver formato una falsa copia del contrassegno di parcheggio per invalidi, rilasciato alla propria madre, ed averla apposta sul cruscotto della propria auto. Il ricorrente deduce vizio di motivazione in ordine alla qualificazione del falso come grossolano, circostanza risultante dalle dichiarazioni del testimone di polizia giudiziaria che in dibattimento aveva riferito che il permesso era palesemente contraffatto. Invoca inoltre il ricorrente la non configurabilità del reato posto che il falso consisteva nella mera copia fotostatica di un documento vero. Sussistenza del reato. La giurisprudenza ormai consolidata riconosce la configurabilità del reato di falso materiale commesso dal privato in autorizzazioni amministrative ex artt. 477 e 482 c.p. in caso di riproduzione fotostatica dell’originale di un permesso di parcheggio riservato ad invalidi, attribuito ad altri, ed esposizione di tale copia sul proprio veicolo laddove tale documento abbia l’apparenza dell’originale e come tale venga utilizzato, non presentandosi quale mera riproduzione. Il Giudice di merito, dopo aver peraltro visionato direttamente il corpo del reato, ha correttamente ritenuto integrato il reato. Allo stesso modo risulta inconferente la doglianza relativa ad una presunta carenza motivazionale in ordine alla grossolanità del fatto posto che la parola palesemente riferita dall’agente di polizia giudiziaria deve essere collocata nello specifico contesto concreto dove gli agenti avevano svolto anche accertamenti via radio per verificare l’autenticità o meno del permesso, circostanza che dimostra l’apparenza dello stesso come originale. In conclusione, la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 29 marzo – 13 luglio 2018, n. 32366 Presidente Vessichelli – Relatore Morosini Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Milano ha confermato la condanna di N.L. per aver formato, o concorso a formare, una falsa copia del contrassegno relativo alla concessione di parcheggio per invalidi, rilasciato alla madre B.D.G.V., esponendola sul cruscotto della propria autovettura. 2. Avverso la sentenza ricorre l’imputato, per il tramite del difensore, articolando due motivi. 2.1 Con il primo deduce vizio di motivazione per travisamento della prova. Assume il ricorrente che i giudici di merito, nell’affrontare la problematica del falso grossolano, avrebbero omesso di valutare in modo adeguato le dichiarazioni del testimone di polizia giudiziaria che, sentito in dibattimento, ha riferito che il permesso era palesemente contraffatto. Sotto il medesimo motivo, il ricorrente deduce poi la questione della configurabilità o meno del reato di cui agli artt. 477 e 482 cod. pen. nel caso in cui il falso consista nella copia fotostatica di un documento vero. 2.2 Con il secondo motivo denuncia violazione di legge, lamentando l’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato, che non potrebbe ritenersi implicito nella materialità del fatto. 3. Il ricorrente ha depositato una memoria con la quale sostiene che non ricorrerebbero cause di inammissibilità del ricorso e che, nel caso di mancato accoglimento, dovrebbe essere dichiarata l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile. 1. Il primo motivo è manifestamente infondato. 1.1 Occorre anzitutto sciogliere il quesito giuridico concerne la configurabilità o meno del reato di falso nel caso in esame. La soluzione si rinviene negli arresti, ormai consolidati, della giurisprudenza di legittimità, secondo cui Integra il reato di falsità materiale commessa dal privato in autorizzazioni amministrative artt. 477 e 482 cod. pen. la riproduzione fotostatica dell’originale di un permesso di parcheggio riservato ad invalidi attribuito ad altri e l’esposizione di tale falso permesso sul proprio veicolo, allorché il relativo documento abbia l’apparenza e sia utilizzato come originale, non presentandosi come mera riproduzione fotostatica da ultimo Sez. 5, n. 8900 del 19/01/2016, Paolini, Rv. 267711 . La sentenza impugnata dedica ampio spazio all’esame dei caratteri del permesso e, dopo aver dato atto della visione diretta del corpo del reato da parte del giudice, conclude che il contrassegno aveva l’apparenza ed era stato utilizzato come originale, rimarcando che l’imputato aveva esposto sul cruscotto della propria vettura non una copia fotostatica, in bianco e nero, e neppure una fotocopia a colori, ma una riproduzione plastificata e a colori del pass autentico rilasciato alla signora B.d.G., tanto che la qualità decettiva è ictu oculi verificabile pagina 2 in fondo, sentenza impugnata . 1.2 È del pari manifestamente infondata la censura sul travisamento della prova circa i presupposti di un falso grossolano, che avrebbe dovuto condurre all’esclusione della punibilità per inidoneità dell’azione ai sensi dell’art. 49 cod. pen Secondo il ricorrente non sarebbero state valorizzate le dichiarazioni del testimone di polizia giudiziaria che, sentito in dibattimento, ha parlato di una contraffazione rilevata palesemente . In realtà la Corte di appello non trascura affatto la deposizione del predetto testimone, anzi se ne occupa in maniera espressa per chiarire che, a fronte dell’avverbio palesemente , il reale portato probatorio di quella testimonianza deve trarsi dalle dichiarazioni lette nel loro complesso comprensive di quella parte relativa agli accertamenti svolti via radio per verificare la falsità o meno del permesso, a riprova che la falsificazione dell’atto non appariva, poi, in maniera tanto evidente pagina 3 della motivazione . In tale situazione, il ricorrente non può dolersi di alcun vizio di travisamento della prova dichiarativa che, per essere deducibile in sede di legittimità, deve avere un oggetto definito e non opinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della singola dichiarazione assunta e quello che il giudice ne abbia inopinatamente tratto ed è pertanto da escludere che, come nella specie, integri il suddetto vizio un presunto errore nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012, dep. 2013, Maggio, Rv. 255087 . 2. Il secondo motivo è inammissibile. La questione era stata devoluta al giudice di appello in termini diversi, richiamando, in maniera inconferente, una decisione della Corte di legittimità sul tema della configurabilità del dolo nell’ipotesi di riproduzione in bianco e nero di un permesso invalidi. Il che è, già di per sé, causa di inammissibilità. In ogni caso la doglianza è generica. Se è vero che il dolo non è in re ipsa, è del pari indubitabile che sono le modalità del fatto e le circostanze dell’azione a rivelare la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato. Nella specie è lampante la coscienza e volontà dell’immutatio veri in capo a un soggetto che forma o concorre a formare un falso permesso per invalidi, mediante creazione di un duplicato a colori, plastificato, che tenga luogo dell’originale e che espone sul cruscotto della vettura. 3. Dalla inammissibilità del ricorso discende la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma, che si stima equa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 a favore della Cassa delle ammende.