Nel giudizio di prevenzione non si tratta di essere colpevole o meno, ma di essere pericoloso o non pericoloso

La Cassazione ha fatto diverse precisazioni in merito alla confisca, alla correlazione temporale e al giudizio di pericolosità che deve effettuare il Giudice della prevenzione.

Il caso. La fattispecie di cui si è occupata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 30974/2018, depositata il 9 luglio scorso, nasce dal ricorso presentato dal Procuratore Generale della Corte di Appello di Roma, dopo che la stessa Corte aveva disposto la revoca della confisca, originariamente disposta nei confronti di alcuni beni dell’imputato, e la restituzione di 4 immobili e di un conto corrente per insussistenza del dato della correlazione temporale tra la data di acquisto degli immobili e la manifestazione della pericolosità sociale del proposto. I Giudici di legittimità, dunque, hanno fatto diverse precisazioni in merito alla confisca, alla correlazione temporale e al giudizio di pericolosità che deve effettuare il Giudice della prevenzione. Il presupposto per l’applicazione di una misura di prevenzione è una condizione” personale di pericolosità. A tal proposito vengono citate in sentenza alcune decisioni della Corte Costituzionale con la quale è stata riconosciuta la legittimità costituzionale di un sistema di prevenzione dei fatti illeciti, a garanzia dell’ordinato e pacifico svolgimento dei rapporti subordinatamente, peraltro, al rispetto del principio di legalità e all’esistenza della garanzia giurisdizionale che trova riconoscimento anche nell’art. 2 della Costituzione . Sulla questione di diritto, però, non si è espressa solo la Consulta ma, già nella giurisprudenza risalente tra cui la sentenza Grande Stevens c. Italia , anche la Corte EDU ha riconosciuto la compatibilità delle misure di prevenzione con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, trattandosi di misure applicate sulla base di disposizioni legislative da un Tribunale e necessarie in una società democratica per la sicurezza nazionale per la sicurezza pubblica, per il mantenimento dell’ordine pubblico, per la prevenzione dei reati . Giudizio di prevenzione non si tratta di essere colpevole o meno, ma di essere pericoloso o non pericoloso. La Cassazione, dal canto suo, ha chiarito ulteriormente il punto, affermando che il soggetto coinvolto in un procedimento di prevenzione non viene ritenuto colpevole - o non colpevole – in ordine alla realizzazione di un fatto specifico, ma viene ritenuto pericoloso o non pericoloso in rapporto al suo precedente agire , tenendo conto della possibilità di poter compiere future condotte perturbatrici dell’ordine sociale e costituzionale o dell’ordine economico e ciò in ragione delle disposizioni di legge che qualificano le diverse categorie di pericolosità. L’unico limite è la negazione in sede penale con pronunce irrevocabili di determinati fatti. Infatti, concludono gli Ermellini, i fatti sui quali deve basarsi il giudizio di pericolosità comune non possono essere fatti per i quali sia intervenuta una sentenza di assoluzione , tuttavia – si legge ancora in sentenza – è consentito al Giudice della prevenzione di valutare autonomamente i fatti accertati in sede penale, che non abbiano dato luogo a sentenza di condanna, in presenza di sentenze di proscioglimento per intervenuta prescrizione lì dove il fatto risulti delineato con sufficiente chiarezza o sia comunque ricavabile in via autonoma agli atti . In conclusione, dato che la negazione penale irrevocabile di un determinato fatto impedisce di ritenerlo esistente e quindi di assumerlo come elemento iniziale del giudizio di pericolosità sociale, la decisione dei Giudici di secondo grado è da ritenersi legittima.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 1 marzo – 9 luglio 2018, numero 30974 Presidente Cervadoro – Relatore Aielli Ritenuto in fatto 1. La Corte d’appello di Roma con decreto del 8/6/2017, in parziale accoglimento del ricorso proposto da S.L. , ha disposto la revoca della confisca ordinata dal Tribunale di Roma il 24/10/2016 e la restituzione di quattro immobili originariamente confiscati al proposto e del conto corrente della Banca Popolare di Sondrio, intestato a P.L. con saldo di Euro 25.084,59 ritenendo insussistente il dato della correlazione temporale tra la data di acquisto degli immobili e la manifestazione della pericolosità sociale del proposto confermando nel resto la confisca. 2. Avverso tale provvedimento ricorrono per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Roma il quale eccepisce il vizio di violazione di legge art. 606 lett. b c.p.p. in relazione agli articolo 1, 4, 16, 20 e 26 D.l.vo 159/2011, assumendo che il decreto impugnato ha erroneamente ritenuto non provata la correlazione cronologica tra gli acquisti e la manifestazione della pericolosità sociale del proposto avendo proceduto ad una vera e propria parcellizzazione della vicenda esistenziale del S. laddove invece la stessa, complessivamente considerata, tenuto conto dello stile di vita del proposto e delle sue metodiche comportamentali, dimostrava la collocazione del proposto al di fuori degli ordinari schemi del vivere civile. In particolare il P.G. ritiene che la pericolosità sociale del S. vada ancorata all’assenza di lavoro ed alla carenza di prova in ordine alla produzione di proventi leciti. 3. A sua volta il difensore di S.L. eccepisce la violazione di legge art. 606 lett. c c.p.p., in relazione agli articolo 4, 20, 24 d.l.vo 159/2011 avuto riguardo alla intervenuta confisca del denaro contante 14.900 Usd e 9.000,00 Euro , di un orologio Rolex, di un bracciale in oro e del conto corrente a lui intestato con saldo di Euro 7.286,99, trattandosi di denaro e gioielli riconducibili alla moglie ed alla figlia del S. e, quanto al denaro depositato sul suo conto corrente, che lo stesso era frutto di un bonifico eseguito da un amico di famiglia in suo favore. Considerato in diritto 1. Il ricorso del P.G. è infondato quello della parte privata inammissibile per carenza di interesse. 1.1. Deve innanzi tutto ricordarsi che nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il disposto dell’art. 4 legge 27 dicembre 1956, numero 1423, richiamato dall’art. 3 ter, secondo comma, legge 31 maggio 1965, numero 575 ne consegue che, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all’art. 606, lett. e , cod. proc. penumero , potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello dal nono comma del predetto art. 4 legge numero 1423 del 56, il caso di motivazione inesistente o meramente apparente. S.Unite 33451/2014, rv. 260246 Sez. 1,numero 6636/2016, rv. 266365 . Deve a ciò aggiungersi che la riserva del sindacato di legittimità alla violazione di legge, che ha già superato il vaglio di costituzionalità sent. Corte Cost. 321/2004 e 106/2015 , non consente di dedurre il vizio di motivazione consistente nella omessa disamina di punti decisivi, perché il controllo del provvedimento consiste solo nella verifica della rispondenza degli elementi esaminati ai parametri legali, imposti per l’applicazione delle singole misure e vincolanti, in assenza della quale ricorre la violazione di legge sub specie di motivazione apparente. 1.2. Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, il vizio di motivazione non può essere utilmente dedotto in Cassazione sol perché il giudice abbia trascurato o disatteso degli elementi di valutazione che, ad avviso della parte, avrebbero dovuto o potuto dar luogo ad una diversa decisione, poiché ciò si tradurrebbe in una rivalutazione del fatto preclusa in sede di legittimità. Esso è configurabile, invece, unicamente quando gli elementi trascurati o disattesi abbiano un chiaro ed inequivocabile carattere di decisività, nel senso che una loro adeguata valutazione avrebbe dovuto necessariamente portare, salvo intervento di ulteriori e diversi elementi di giudizio, ad una decisione più favorevole di quella adottata. Sez. 1, numero 6922/1992 rv 190572 Sez. 6, 3724/21015, rv. 267723 Sez. 1, numero 5363/2017 non massimata . 2. Orbene con riferimento al ricorso di S.L. , che per la brevità ed immediatezza delle conclusioni che lo riguardano può essere trattato preliminarmente, se ne rileva la genericità e carenza di interesse. 2.1. I beni oggetto del decreto impugnato sono stati infatti confiscati nei confronti di P.L. e S.P. , rispettivamente moglie e figlia del proposto, pertanto l’impugnazione del ricorrente appare carente del requisito dell’interesse, essendo legittimato al ricorso solo il soggetto avente diritto all’eventuale restituzione del bene e non il proposto che, tra l’altro, non ha esplicitato quali conseguenze deriverebbero, nei suoi confronti, da tale restituzione Sez. 6, 45115/2017, Rv. 271381 Sez. 5, 8922/2015, Rv. 266141 Sez. 6, 48274/2015, Rv.265767 . 2.2. Quanto alla confisca del conto corrente intestato al ricorrente, questi ha solo genericamente indicato la provenienza del denaro ivi depositato, che sarebbe frutto dell’elargizione di un amico di famiglia, senza tuttavia specificarne la causale sicché non è apparsa superata, data la sproporzione tra il reddito dichiarato e la disponibilità patrimoniale, collocata temporalmente nel 2005 ovvero nell’ultimo periodo di pericolosità sociale, la presunzione circa la provenienza illecita del denaro pag. 18 del decreto impugnato . Al riguardo si osserva che ai soggetti sottoposti al procedimento di prevenzione si chiede di indicare quegli elementi fattuali dai quali il giudicante possa dedurre che il bene non sia stato acquisito con i proventi di attività illecita, ovvero ricorrendo ad esborsi non proporzionati alla capacità reddituale del soggetto. Sostenere che il denaro provenga dall’elargizione di un terzo senza spiegarne le ragioni equivale, a tentare di aggirare l’onere di allegazione, dovendo il soggetto fornire una spiegazione credibile in ordine ai mezzi e alle circostanze che gli hanno consentito un determinato incremento patrimoniale. Fornire una spiegazione priva di riferimenti concreti equivale, dunque, ad una allegazione apparente Sez. 5, numero 20743 del 07/03/2014, Rv. 260402 Sez. 6 31751/2015, rv. 264461 . 3. Il ricorso del Procuratore generale è infondato e va rigettato. Il decreto della Corte d’appello nell’accogliere il ricorso proposto dal S. e dai terzi interessati ha infatti delimitato la pericolosità sociale del proposto in due ambiti temporali precisi e cioè al periodo dal 1989 al 1994 allorquando il S. venne ritenuto colpevole dei reati di rapina aggravata nel 1989 e di cessione di sostanza stupefacente 1994 e poi dal 2010 al 2012 avuto riguardo alla consumazione del delitto di rapina aggravata, mentre nel periodo dal 1995 al 2009, si è ritenuto che essa dovesse essere esclusa, non soltanto per la mancanza di condanne, ma anche per la carenza di elementi obiettivi che consentissero di ricongiungere i due tempi di manifestazione della pericolosità, interrotti da un arco temporale oltre dieci anni , ritenuto particolarmente consistente. 3.1. Il Procuratore generale ricorrente ritiene che tale motivazione sia confliggente con il dettato normativo che impone di valutare la condotta del proposto nel suo complesso senza procedere ad una così netta parcellizzazione della sua vicenda esistenziale tanto più che il proposto aveva cominciato a delinquere sin da quando era minorenne e non si era mai dedicato ad un’attività lavorativa sicché doveva ritenersi che egli fosse socialmente pericoloso, senza soluzione di continuità sino al 2013. 3.2. Orbene prima di affrontare il tema della necessaria correlazione temporale tra il momento di manifestazione della pericolosità e l’acquisizione patrimoniale, occorre svolgere alcune considerazioni in materia di pericolosità generica meglio definita pericolosità comune . 3.3. Va innanzi tutto ricordato che le misure di prevenzione nascono come istituti diretti a garantire le esigenze di prevenzione dello Stato, si consente il controllo da parte dell’autorità di pubblica sicurezza limitando la libertà della persona ovvero incidendo pesantemente sul diritto di proprietà. Esse pur se sprovviste di natura sanzionatoria in senso stretto, rientrano in un’accezione lata di provvedimenti con portata afflittivi il che impone di ritenere applicabile il generale principio di tassatività e determinatezza della descrizione normativa dei comportamenti presi in considerazione come fonte giustificatrice di tale limitazione. 3.4. La Corte Costituzionale, a partire dalla sentenza numero 2 del 1956 e poi con le sentenze 177/80 e 126/1983 ha riconosciuto la legittimità costituzionale, in via di principio, di un sistema di prevenzione dei fatti illeciti, a garanzia dell’ordinato e pacifico svolgimento dei rapporti subordinatamente, peraltro, al rispetto del principio di legalità e all’esistenza della garanzia giurisdizionale che trova riconoscimento anche nell’art. 2 della Costituzione. 3.5. La stessa Corte EDU ha riconosciuto più volte la compatibilità delle misure di prevenzione con la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, trattandosi di misure applicate sulla base di disposizioni legislative da un Tribunale e necessarie in una società democratica per la sicurezza nazionale per la sicurezza pubblica, per il mantenimento dell’ordine pubblico, per la prevenzione dei reati penali Sent. 1/7/1961 sul caso Lewless 18/6/1971 sul caso De Wilde ed altri, 6/1/1980 sul caso Guzzardi, 22/2/1986 sul caso Ciulla, 6/4/2004 sul caso Labita , il sistema è stato ritenuto dalla stessa Corte EDU, compatibile con la normativa comunitaria poiché il presupposto per l’applicazione di una misura di prevenzione è una condizione personale di pericolosità, la quale è desumibile da più fatti, anche non costituenti illecito, quali le frequentazioni, le abitudini di vita, i rapporti, mentre il presupposto tipico per l’applicazione di una sanzione penale è un fatto-reato accertato secondo le regole tipiche del processo penale. Nella sentenza del 4 marzo 2014, Grande Stevens c. Italia, la Corte ha ricordato che le stesse non hanno natura anche solo sostanzialmente penale, pure alla luce della elaborazione della giurisprudenza della medesima Corte EDU, la quale ne sottolinea la funzione di provvedimenti diretti ad impedire la commissione di atti criminali e non a sanzionare la realizzazione di questi ultimi. cfr. CEDU sentenza 22 febbraio 1994, Raimondo c. Italia e sentenza 22 febbraio 1989 Ciulla c. Italia . 3.6. La giurisprudenza di legittimità, in diverse pronunce, ha affermato che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del sistema normativo previsto in materia di misure di prevenzione, poiché il giudizio di pericolosità, in un’ottica costituzionalmente orientata, si fonda sull’oggettiva valutazione di fatti sintomatici collegati ad elementi certi e non su meri sospetti, senza alcuna inversione dell’onere della prova a carico del proposto, essendo incentrati sul meccanismo delle presunzioni in presenza di indizi, i quali devono essere comunque provati dalla pubblica accusa, rimanendo a carico dell’interessato soltanto un onere di allegazione per smentirne l’efficacia probatoria SS. UU., 25 marzo 2010 numero 13426, Cagnazzo Sez. 2 26235/2015, rv. 264387 Sez. 6, 44608/2015, rv. 265056 . 3.7. Ultimamente questa Corte, proprio al fine di elidere le critiche di genericità ed indeterminatezza ed evitare una pronuncia di incostituzionalità delle norme in materia di prevenzione personale e patrimoniale, ha proceduto ad un’interpretazione del diritto interno convenzionalmente e costituzionalmente conforme al dettato dell’art. 2 Protocollo 4 addizionale della Convenzione ed ha sottolineato l’importanza della componente ricostruttiva del giudizio di prevenzione tesa a rappresentare l’apprezzamento di fatti idonei o meno a garantire l’iscrizione del soggetto proposto in una delle categorie tipizzate di soggetti a pericolosità generica precisando che il soggetto coinvolto in un procedimento di prevenzione non viene ritenuto colpevole o non colpevole in ordine alla realizzazione di un fatto specifico, ma viene ritenuto pericoloso o non pericoloso in rapporto al suo precedente agire per come ricostruito attraverso le diverse fonti di conoscenza elevate ad indice rivelatore della possibilità di compiere future condotte perturbatrici dell’ordine sociale e costituzionale o dell’ordine economico e ciò in ragione delle disposizioni di legge che qualificano le diverse categorie di pericolosità. 3.8. Si è specificato che in sede di verifica della pericolosità di soggetto proposto per l’applicazione di misura ai sensi dell’art. 1, comma, 1 lett. a e b D.Lgs. 6 settembre 2011, numero 159, il giudice della prevenzione, in assenza di giudicato penale, può ricostruire in via autonoma la rilevanza penale di condotte emerse durante l’istruttoria, dovendosi comunque attribuire rilevanza ai fini applicativi della misura, all’abituale dedizione a traffici delittuosi per tali intendendosi attività delittuose che comportino illeciti arricchimenti anche senza il ricorso a mezzi negoziali fraudolenti e quindi condotte delittuose caratterizzate da una tipica attività trafficante esemplificativamente articolo 600-bis, 600-ter, 600-quinquies, 601, 602, cod. penumero articolo 3 e segg., l. numero 75 del 1958 articolo 73 e 74, d.P.R. numero 309 del 1990 , ma anche tutte quelle che sono caratterizzate dalla finalità patrimoniale o di profitto e che si caratterizzano per la spoliazione articolo 314, 317, 624, 643, 646, 628, 629 cod. penumero , l’approfittamento e in genere per l’alterazione di un meccanismo negoziale o dei rapporti economici, sociali o civili esemplificativamente articolo 316-bis, 318, 640, 640-bis, 644, cod. penumero , ovvero alla condotta di vita di chi vive anche in parte con i proventi di attività delittuose . Sez. 1, 31209/2015, rv. 264320 Sez. 1, 51469/2017, Bosco, Sez. 6 53003/2017, D’Alessandro . Tale inquadramento, da operarsi sulla base di idonei elementi di fatto ivi compreso il riferimento alla condotta e al tenore di vita , presuppone come realizzate con esito positivo, quanto alla parte constatativa del giudizio, le seguenti verifiche la realizzazione di attività delittuose trattasi di termine inequivoco non episodica ma almeno caratterizzante un significativo intervallo temporale della vita del proposto la realizzazione di attività delittuose che oltre ad avere la caratteristica che precede siano produttive di reddito illecito il provento la destinazione, almeno parziale, di tali proventi al soddisfacimento dei bisogni di sostentamento della persona e del suo eventuale nucleo familiare. Date queste coordinate, in ordine alla tipologia di condotte rilevanti a fini social preventivi, la stessa giurisprudenza di legittimità ha ulteriormente precisato anche quali connotati dovrà assumere la pericolosità per poter rilevare a fini dell’applicazione della misura di prevenzione, essendo necessario che le dette condotte illecite siano poste in essere in modo non episodico ma cronologicamente apprezzabile. È necessario cioè evidenziare una sorta di iter esistenziale non avente chiaramente le caratteristiche di cui all’art. 4 lett. a legge citata, ma che comunque connoti in modo significativo lo stile di vita del soggetto che quindi si deve caratterizzare quale individuo che abbia consapevolmente scelto il crimine come pratica comune di vita per periodi adeguati o comunque significativi. Tali attività delittuose devono consentire una produzione di reddito illecito idoneo anche parzialmente a sostentare il proposto ed eventualmente anche il suo nucleo familiare ove esistente. Occorre quindi una continuità nell’illecito e nel reddito prodotto con espulsione dal novero delle valutazioni rilevanti ai fini della pericolosità generica, di tutto ciò che assuma le caratteristiche di sporadicità e occasionalità. 3.9. Occorre ora chiedersi quali siano le fonti di conoscenza del giudice della prevenzione, a quali dati egli debba fare riferimento per esprimere un giudizio valutativo in relazione alla personalità del soggetto e prognostico in relazione al suo agire futuro ebbene sul punto la giurisprudenza di legittimità ha affermato che se ai fini dell’applicazione di una misura di prevenzione, i fatti sui quali deve basarsi il giudizio di pericolosità comune non possono essere fatti per i quali sia intervenuta una sentenza di assoluzione, è tuttavia consentito al giudice della prevenzione valutare autonomamente i fatti accertati in sede penale che non abbiano dato luogo a sentenza di condanna, in presenza di sentenze di proscioglimento per intervenuta prescrizione limite esterno alla punibilità del fatto lì dove il fatto risulti delineato con sufficiente chiarezza o sia comunque ricavabile in via autonoma dagli atti Sez. 1 31209/2015, Rv. 264319 . In definitiva è stato confermato il principio in base al quale l’unico limite all’autonomia del giudizio di prevenzione è quello della negazione in sede penale, con pronunce irrevocabili di determinati fatti ciò in quanto la negazione penale irrevocabile di un determinato fatto impedisce di ritenerlo esistente e quindi di assumerlo come elemento iniziale del giudizio di pericolosità sociale. 4. Date queste premesse ritiene il Collegio che la Corte d’appello, legittimamente abbia disposto la revoca della misura di prevenzione patrimoniale relativamente ad alcuni immobili non ricadenti nella perimetrata pericolosità sociale, non potendosi estendere il giudizio prognostico oltre i periodi indicati, in assenza di elementi sintomatici al riguardo. La Corte di merito, in proposito, ha richiamato in maniera pertinente l’autorevole precedente di legittimità secondo cui la pericolosità segna, la misura temporale dell’ablazione, nel senso che essa va dimensionata nel tempo e nello spazio Sez. Unite 4880/2014, Rv. 262607 . Non potrebbe, del resto, essere altrimenti, giacché proprio la pericolosità costituisce la ragione giustificatrice dell’apprensione coattiva di beni acquistati in costanza della stessa o con il favore delle sue peculiari manifestazioni. La pericolosità sociale, si è detto oltre ad essere presupposto ineludibile della confisca di prevenzione, è anche misura temporale del suo ambito applicativo ne consegue che, con riferimento alla c.d. pericolosità generica, sono suscettibili di ablazione soltanto i beni acquistati nell’arco di tempo in cui si è manifestata la pericolosità sociale, mentre, con riferimento alla c.d. pericolosità qualificata, il giudice dovrà accertare se questa investa, come ordinariamente accade, l’intero percorso esistenziale del proposto, o se sia individuabile un momento iniziale ed un termine finale della pericolosità sociale, al fine di stabilire se siano suscettibili di ablazione tutti i beni riconducibili al proposto ovvero soltanto quelli ricadenti nel periodo temporale individuato Sez. Unite 4880/2014, 262607 . Né è possibile procedere, come pretende di fare il ricorrente, a confisca di prevenzione avendo riguardo alle condanne subite dal S. quando era ancora minorenne trattandosi, come sottolineato dalla Corte di merito, di precedenti assai risalenti e comunque di scarso rilievo, mentre l’assenza di un lavoro non equivale, in assenza di altri elementi certi, a dimostrare la pericolosità del proposto. Da quanto premesso discende il rigetto del ricorso del P.G. e l’inammissibilità del ricorso di S.L. che condanna ala pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila alla Cassa delle ammende. P.Q.M. Rigetta il ricorso del P.G Dichiara inammissibile il ricorso di S.L. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.