L’infezione nosocomiale è una causa sopravvenuta che non esclude il rapporto di causalità tra la condotta colposa lesiva e l’evento morte della vittima

In tema di responsabilità colposa, le cause sopravvenute idonee ad escludere il rapporto di causalità sono sia quelle che innescano un processo causale del tutto differente ed autonomo rispetto a quello originato dalla condotta dell’agente, sia quelle che, pur inserite in un processo causale ricollegato a tale condotta, si connotino per la peculiare anomalia ed eccezionalità, in tal modo ponendosi al di fuori della ragionevole plausibilità.

La Corte di Cassazione, con la pronuncia n. 29139/18, depositata il 25 giugno u.s., coglie l’occasione per ribadire principi ormai granitici, già espressi in materia di cause sopravvenute nell’ambito dell’omicidio colposo. Il fatto. Nella specie, un soggetto veniva accusato di aver commesso un omicidio colposo nei riguardi di un pedone, per negligenza, imprudenza ed imperizia, oltre che in violazione dell’art. 191 c.d.s L’imputato, secondo l’accusa, non osservando la dovuta precedenza al pedone transitante sulle strisce pedonali, investiva la vittima che riportava lesioni personali dopo essere caduta rovinosamente al suolo. Il pedone, dopo circa due mesi, decedeva per una trombosi venosa alla vena tibiale. Il Tribunale di Verona condannava l’imputato siffatto giudizio veniva confermato dalla Corte d’Appello di Venezia. Avverso il provvedimento di secondo grado ricorre per Cassazione l’imputato, articolando due motivi di doglianza. Con la prima censura il ricorrente lamenta l’illegittimità della decisione, atteso che la morte del pedone sarebbe avvenuta per una causa indipendente rispetto a quella di guida del conducente, cioè l’ingiustificata ed arbitraria interruzione della terapia con eparina. Tale causa sopravvenuta, secondo la difesa, interromperebbe il nesso di causalità tra l’azione posta in essere dal soggetto agente e l’evento morte successivamente realizzatosi. Con il secondo motivo, viene eccepita l’insufficienza motivazionale con riguardo alla dosimetria della pena. Il ricorso è fondato, ma limitatamente al motivo denunciante il vizio di motivazione in punto di trattamento sanzionatorio. I Giudici di Legittimità accolgono il ricorso proposto nei termini delineati nell’ambite delle deduzioni difensive che stigmatizzano la decisione edittale. Con riguardo al primo dei motivi di censura, invece, la Corte di piazza Cavour ha dovuto respingere le osservazioni del ricorrente, sulla scorta di quel consolidato orientamento a tenore del quale in tema di responsabilità colposa, le cause sopravvenute idonee ad escludere il rapporto di causalità sono sia quelle che innescano un processo causale del tutto differente ed autonomo rispetto a quello originato dalla condotta dell’agente, sia quelle che, pur inserite in un processo causale ricollegato a tale condotta, si connotino per la peculiare anomalia ed eccezionalità, in tal modo ponendosi al di fuori della ragionevole plausibilità. Come già evidenziato in precedenti arresti giurisprudenziali, l’infezione o la complicanza nosocomiale è uno dei rischi tipici e prevedibili conseguenti ad una condotta causale produttiva di lesioni colpose poi degenerate nel decesso. Tanto rilevato, tenuto conto che in materia colposa la concretizzazione del rischio prevedibile ed evitabile costituisce elemento di configurazione delle fattispecie di questa natura, nell’occasione la Corte di legittimità afferma che i Giudici di secondo grado abbiano fatto buon governo dei principi sanciti in materia. Alla luce di tale percorso argomentativo, la Corte di Cassazione annulla il provvedimento impugnato limitatamente al capo relativo al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo esame alla Corte d’Appello di Venezia.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 30 maggio – 25 giugno 2018, n. 29139 Presidente Ciampi – Relatore Cienci Ritenuto in fatto 1.La Corte di appello di Venezia il 21 aprile 2017, in parziale riforma della sentenza resa all’esito del giudizio abbreviato dal G.i.p. del Tribunale di Verona il 1 dicembre 2009 ed appellata dall’imputato, decisione con cui T.S. era stato ritenuto responsabile di omicidio colposo, per colpa generica e specifica e con violazione della disciplina sulla circolazione stradale, e, previa riduzione per il rito, era stato condannato alla pena di giustizia, ed al risarcimento dei danni alla parte civile costituita figlio della vittima , con sospensione della patente di guida per un anno e quattro mesi, ha riconosciuto le attenuanti generiche stimate equivalenti all’aggravante della violazione del codice della strada, e in conseguenza ha rideterminato, riducendola, la pena con conferma nel resto. 2. I Giudici di merito hanno concordemente ricostruito i fatti nel modo che segue. T.S. la mattina del 27 maggio 2008 stava percorrendo una strada urbana alla guida della sua autovettura Opel Astra a velocità non moderata, quando, a causa di imprudenza, imperizia, negligenza ed inosservanza dell’art. 191, comma 1, del d. lgs. 30 aprile 1992, n. 285, che prescrive di fermarsi allorché un pedone transita sulle strisce pedonali e di dare la precedenza ai pedoni che si accingono ad impegnare gli attraversamenti pedonali, rallentando e, comunque, ove occorra, fermandosi, ha investito sulle strisce pedonali, circa a metà della strada, la signora D.T. , caricandola sul cofano e facendola cadere a terra e così provocandole lesioni, tra cui la distorsione del ginocchio sinistro, da cui è scaturita una trombosi venosa alla vena tibiale e, quindi, una trombo embolia, che ha condotta a morte la donna per arresto cardiocircolatorio in data 11 luglio 2008. Sia Corte di appello che Tribunale hanno ritenuto non provate in punto di fatto le circostanze sulle quali aveva molto insistito la difesa di T. , e cioè che la vittima abbia arbitrariamente interrotto, dopo averla iniziata, la cura di eparina che le era stata prescritta proprio al fine di prevenire l’embolia polmonare, e nemmeno che, una volta sostituita in sede di controllo sanitario la doccia gessata inizialmente applicata alla gamba con un tutore, la donna comunque non abbia ripreso a deambulare, così prolungando ingiustificatamente la immobilizzazione dell’arto, fattore questo che favorisce la formazione di emboli. I Giudici di merito hanno stimato, in ogni caso, la descritta condotta della vittima, anche ove dimostrata, non interruttiva del nesso di causalità, richiamando al riguardo precedenti di legittimità stimati pertinenti. 3.Ricorre per la cassazione della sentenza l’imputato, tramite difensore, che si affida a tre motivi, con i quali denunzia promiscuamente violazione di legge e difetto motivazionale i primi due motivi e/o vizio motivazionale il terzo . 3.1. Con il primo motivo censura illegittimità ed erroneità della decisione, in quanto, ad avviso del ricorrente, il decesso della signora D. sarebbe avvenuto a causa della volontaria quanto ingiustificata protrazione dell’immobilizzazione da parte della vittima in una con l’altrettanto volontaria ed ingiustificata interruzione della terapia con l’eparina p. 2 del ricorso . Si richiama al riguardo l’insegnamento di Sez. 4, n. 36857 del 24/04/2009, P.M. in proc. Cingolani, Rv. 244979, secondo cui La responsabilità colposa implica che la violazione della regola cautelare deve aver determinato la concretizzazione del rischio che detta regola mirava a prevenire cosiddetta causalità della colpa , poiché alla colpa dell’agente va ricondotto non qualsiasi evento realizzatosi, ma solo quello causalmente riconducibile alla condotta posta in essere in violazione della regola cautelare , ed anche quello di Sez. 4, n. 25689 del 03/05/2016, Di Giambattista e altri, Rv. 267374, secondo cui È configurabile l’interruzione del nesso causale tra condotta ed evento quando la causa sopravvenuta innesca un rischio nuovo e incommensurabile, del tutto incongruo rispetto al rischio originario attivato dalla prima condotta decisione che è stata richiamata nella parte motiva dalla Corte di appello di Venezia ma si assume da parte del ricorrente - non correttamente applicata . La motivazione, inoltre, viene criticata siccome ritenuta illogica e contraddittoria nella parte in cui afferma alle pp. 4-5 che non sussiste prova certa che l’eventuale anticipata sospensione di assunzione di eparina abbia, da sola, cagionato la morte della signora D. , in quanto l’applicazione del canone generale del favor rei avrebbe dovuto, invece, far concludere che, in assenza di prove certe circa la non influenza dell’assunzione della terapia profilattica, il decesso non avrebbe potuto essere imputato all’incidente, le cui conseguenze si ritiene - si erano già concluse con la piena guarigione della donna tanto più che sino a quando la stessa aveva assunto la terapia profilattica, questa aveva efficacemente svolto la propria funzione protettiva. Prive di motivazione sarebbero, infine, le perplessità manifestate dalla Corte territoriale circa le non univoche dichiarazioni dei soggetti escussi a proposito della durata della terapia con eparina p. 5 , dichiarazioni che avrebbero meritato adeguato approfondimento. 3.2. Con il secondo motivo si lamenta vizio motivazionale e violazione di legge artt. 69 e 133 cod. pen. in relazione alla determinazione della pena. La giustificazione della decisione sarebbe oscura e contraddittoria sotto i seguenti aspetti pur avendo la Corte di appello riconosciuto le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza con l’aggravante, è stata operata la riduzione di un terzo, appunto, per le generiche, che - di fatto sembrerebbero essere state così riconosciute prevalenti inoltre la Corte avrebbe erroneamente applicato come pena base quella di due anni di reclusione ma sull’erroneo presupposto che si trattasse del minimo edittale, mentre la sanzione base sarebbe stata da individuarsi ai sensi del comma 1 dell’art. 589 cod. pen. ed anche ove la pena di due anni fosse stata individuata nell’ambito del comma 1, essa sarebbe, in realtà, del tutto sproporzionata ed incongrua rispetto ai presupposti di colpevolezza positivamente valutati dalla Corte di appello in altra parte della motivazione p. 5 condotta post delictum dell’imputato, essendosi fermato per prestare i soccorsi urto di modesta intensità in ogni caso, sarebbe erroneo il calcolo sino a dieci mesi di reclusione, che si legge nel dispositivo, in quanto in contrasto con la motivazione p. 6 , ove si legge dieci mesi e venti giorni di reclusione. La Corte avrebbe, infine, trascurato il concorso del fatto colposo della vittima, che, secondo il ricorrente, ha interrotto anzitempo l’assunzione di eparina, circostanza che, anche ove considerata non interruttiva del nesso causale, avrebbe dovuto condurre all’effettivo riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche. 3.3. Con il terzo motivo si censura la determinazione della durata della sospensione della patente di guida, che sarebbe ulteriormente illogica. Si premette che il Giudice di primo grado ha ritenuta congrua una durata pari alla pena principale p. 6 della sentenza del G.u.p. , determinata in un anno e quattro mesi la Corte di appello, pur avendo significativamente ridotto la pena detentiva, ha apoditticamente ritenuto del tutto congrua la durata della sanzione accessoria di sospensione della patente applicata dal primo giudice p. 6 della sentenza impugnata , che invece, secondo il ricorrente, avrebbe dovuto correlativamente ridurre inoltre, ha fondato il rigetto del motivo di appello che era stato avanzato sul punto su circostanze, quali la velocità ritenuta assolutamente impropria p. 6 e l’elevato grado di negligenza, così entrando in insanabile contraddizione con la valutazione poche righe sopra espressamente operata p. 5 circa la modestia dell’urto, quindi incompatibile con un’elevata velocità, e con l’assenza di prova circa una particolare intensità della colpa dell’agente. Si chiede, in definitiva, l’annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto 1. Il ricorso è parzialmente fondato, nei limiti di cui appresso. 2. Il primo motivo, che ha ad oggetto l’an della responsabilità penale, è infondato. Infatti, incontestata da parte della difesa la ricostruzione dell’incidente e l’investimento della donna sulle strisce pedonali da parte dell’imputato, è appena il caso di evidenziare che la eventuale sospensione anticipata dell’assunzione di eparina da parte della vittima e la mancata ripresa della deambulazione - fattori protettivi rispetto a fenomeni embolici - non sono dati fattuali positivamente acquisti al processo, come, invece, si sostiene nel ricorso e come ha ribadito l’avvocato nella discussione orale nel giudizio di legittimità, ma come si legge alle pp. 5-6 della sentenza di primo grado ed alle pp. 4-5 di quella impugnata sono, in realtà, mere perplessità difensive basate sulla non perfetta coincidenza delle dichiarazioni dei testimoni escussi, evenienza peraltro non infrequente nelle aule giudiziarie. In ogni caso, i Giudici di merito hanno fatto corretta applicazione del tradizionale principio secondo il quale le cause sopravvenute idonee ad escludere il rapporto di causalità sono sia quelle che innescano un processo causale completamente autonomo rispetto a quello determinato dalla condotta dell’agente, sia quelle che, pur inserite nel processo causale ricollegato a tale condotta, si connotino per l’assoluta anomalia ed eccezionalità, collocandosi al di fuori della normale, ragionevole probabilità cfr., tra le numerose, Sez. 4, n. 53541 del 26/10/2017, Zantonello, Rv. 271846 Sez. 4, n. 25560 del 02/05/2017, Schiavone, Rv. 266976 Sez. 4, n. 3312 del 02/12/2016, dep. 2017, Zarcone, Rv. 269001 Sez. 4, n. 18800 del 13/04/2016, Bonanni, Rv. 267255 Sez. 2, n. 17804 del 18/03/2015, vasile, Rv. 263581 Sez. 4, n. 43168 del 21/06/2013, Frediani, Rv. 258085 Sez. 4, n. 41293 del 04/10/2007, Taborelli, Rv. 237838 , caratteristiche che non ricorrono nel caso di specie. Non senza considerare che non risultano pertinenti i richiami giurisprudenziali operati dal ricorrente pp. 2-3 , in quanto relativi a fattispecie non coincidenti con quella in esame. Infatti Sez. 4, n. 36857 del 24/04/2009, P.M. in proc. Cingolani, Rv. 244979, secondo cui La responsabilità colposa implica che la violazione della regola cautelare deve aver determinato la concretizzazione del rischio che detta regola mirava a prevenire cosiddetta causalità della colpa , poiché alla colpa dell’agente va ricondotto non qualsiasi evento realizzatosi, ma solo quello causa/mente riconducibile alla condotta posta in essere in violazione della regola cautelare Nella specie, la Corte ha confermato il proscioglimento dell’imputato, poiché si era accertato che il pieno rispetto delle regole cautelari - la cui violazione era stata contestata - non avrebbe evitato il verificarsi dell’evento e Sez. 4, n. 25689 del 03/05/2016, Di Giambattista e altri, Rv. 267374, secondo cui È configurabile l’interruzione del nesso causale tra condotta ed evento quando la causa sopravvenuta innesca un rischio nuovo e incommensurabile, del tutto incongruo rispetto al rischio originario attivato dalla prima condotta Nella fattispecie la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione che aveva affermato la sussistenza del nesso causale tra l’errore chirurgico originario, che aveva ridotto la paziente in corna profondo, ed il decesso della medesima per setticemia contratta durante il lungo ricovero presso l’unità di terapia intensiva, rilevando come l’ infezione nosocomiale sia uno dei rischi tipici e prevedibili da tener in conto nei casi di non breve permanenza nei raparti di terapia intensiva, ove lo sviluppo dei processi infettivi è tutt’altro che infrequente in ragione delle condizioni di grave defedazione fisica dei pazienti . 3. Quanto al secondo motivo di ricorso, osserva il Collegio quanto segue. 3.1. La sentenza di primo grado p. 6 , esclusa la concedibilità delle attenuanti generiche, ha preso a pena base il minimo edittale di cui al comma 2 dell’art. 589 cod. pen., poi ridotta di un terzo per il rito ventiquattro mesi meno un terzo uguale a sedici mesi, cioè un anno e quattro mesi . 3.2. La Corte di appello pp. 5-7 , invece, riconosciute concedibili le attenuanti generiche, con giudizio di equivalenza rispetto all’aggravante della violazione del codice della strada, ha così stabilito La pena deve conseguentemente essere rideterminata secondo il seguente calcolo ferma la pena base già individuata dal primo giudice, ritenuta congrua e pari comunque al minimo edittale di anni due di reclusione, la stessa deve essere ridotta per il riconoscimento delle generiche ad anni uno e mesi quattro di reclusione ed ulteriormente ridotta di un terzo per la scelta del rito fino a mesi dieci e giorni venti di reclusione così, testualmente, alla p. 6 della sentenza impugnata . Il dispositivo pubblicato mediante lettura al termine dell’udienza è identico a quello incluso nella sentenza-documento con motivazione. 3.3. Ciò posto, il ricorrente coglie nel segno. Deve, in effetti, rilevarsi, in accoglimento delle censure difensive, che dalla motivazione non si comprende se le attenuanti generiche siano state ritenute dalla Corte di appello meramente equivalenti ovvero prevalenti e, ancora prima, perché sia stata ritenuta congrua la pena base di due anni di reclusione. Non potendo provvedere la Corte di cassazione, trattandosi di valutazioni di tipo discrezionale, si impone l’annullamento con rinvio. 4. La disposta decisione di annullamento risulta assorbente rispetto al terzo motivo di ricorso, in quanto il Giudice del rinvio, all’esito delle valutazioni circa il quantum di pena principale, dovrà valutare a fronte di motivo di appello p. 8 , la congruità della durata della sospensione della patente, fissata dal G.u.p. del Tribunale in misura pari alla durata della pena principale. 5. Consegue dalle considerazioni svolte l’annullamento della sentenza impugnata, limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Venezia con rigetto del ricorso nel resto. Si dichiara, ai sensi dell’art. 624 cod. proc. pen., irrevocabile l’affermazione di penale responsabilità. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia sul punto alla Corte d’Appello di Venezia, altra Sezione. Rigetta il ricorso nel resto. Visto l’art. 624 c.p.p. dichiara irrevocabile l’affermazione di penale responsabilità.