Tentato furto: quando scatta l’aggravante dell’esposizione alla fede pubblica?

La pubblica fede rileva quale termine qualificativo del concetto di esposizione”, il quale pone le cose mobili in una condizione per cui, anziché essere custodite da chi ne è proprietario, lo sono direttamente dal pactum fiduciae tra i consociati.

Lo chiariscono i Giudici di legittimità con sentenza n. 24091/18 depositata il 29 maggio. Il caso. In parziale riforma della sentenza di primo grado, la Corte territoriale riduceva la pena inflitta all’imputato per il reato di tentato furto aggravato e di porto ingiustificato di coltello. Avverso tale decisione, il difensore ricorre per cassazione lamentando un vizio di motivazione in ordine al riconoscimento dell’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede e, in particolate, per non avere i Giudici del gravame considerato la circostanza che la merce era sorvegliata dall’addetta alla sicurezza e dal responsabile dell’esercizio commerciale. Pactum fiduciae tra i consociati. Se pur vero è, affermano gli Ermellini, che la Corte territoriale non ha tenuto conto della doglianza relativa alla sorveglianza continua degli addetti alla sicurezza, occorre comunque precisare che, nel caso concreto, tale doglianza vale solo a qualificare il fatto come tentativo e non a ritenere insussistente l’aggravante. Infatti, prosegue il Supremo Consesso, la pubblica fede rileva quale termine qualificativo del concetto di esposizione , determinando per le cose mobili una condizione che fa sì che le stesse, anziché essere custodite da chi ne è titolare, ricevono protezione dal pactum fiduciae tra i consociati in ordine al rispetto della proprietà e del possesso altrui. Nella fattispecie, anche ammesso il costante controllo dell’azione furtiva da parte del personale del negozio, la condizione dei beni non era mutata, i quali sono rimasti esposti alla pubblica fede. Pertanto, data l’infondatezza della questione sollevata dal ricorrente, la Cassazione rigetta il ricorso e lo condanna al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 8 marzo – 29 maggio 2018, n. 24091 Presidente Piccialli – Relatore Ranaldi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 21.2.2017 la Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza di primo grado - emessa in sede di rito abbreviato -, ha ridotto la pena inflitta a P.P. per i reati di tentato furto aggravato e di porto ingiustificato di coltello a mesi 8 di reclusione ed Euro 100 di multa, revocato la dichiarazione di abitualità nel reato e la misura di sicurezza ha confermato nel resto. 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, lamentando quanto segue. I Vizio di motivazione in ordine al riconoscimento dell’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede. Espone che in fatto è stato accertato che il tentato furto è stato commesso dal prevenuto all’interno di un esercizio commerciale, mediante impossessamento di alcuni beni prelevati dai banchi di vendita, sotto il costante controllo di una addetta alla sicurezza e del responsabile del punto vendita, i quali notavano il P. prendere vari oggetti tra cui un paio di calzini e una t-shirt, da cui rimuoveva la placca antitaccheggio, ed una giacca. Lamenta che la sentenza impugnata abbia confermato l’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 625 n. 7 cod. pen. motivando limitatamente all’esistenza sui beni sottratti dei dispositivi antitaccheggio, senza però considerare la principale censura sollevata dal ricorrente in sede di gravame, vale a dire la circostanza che la merce era sorvegliata dall’addetta alla sicurezza e dal responsabile dell’esercizio commerciale. II Vizio di motivazione in ordine alla mancata disapplicazione della recidiva. Lamenta che erroneamente il giudice di appello abbia ritenuto che la recidiva fosse già stata esclusa dal primo giudice, mentre il Tribunale si era limitato a riconoscere l’equivalenza delle attenuanti rispetto a tutte le contestate aggravanti, compresa la recidiva, pur avendo escluso i presupposti della gravità della condotta e della maggiore pericolosità sociale dell’imputato. 3. Con memoria depositata il 8.2.2018 il difensore dell’imputato insiste nella richiesta di annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto 1. Il primo motivo è infondato. Pur dovendosi riconoscere che nel caso la Corte di appello non ha risposto alla specifica doglianza che era stata sollevata in sede di gravame in punto di sorveglianza continua degli addetti alla sicurezza durante il tentativo di furto in esame, si deve ritenere che la censura non possa comunque trovare accoglimento in questa sede. Va, infatti, osservato che la diretta sorveglianza del personale del negozio, nel caso concreto, valga solo a qualificare il fatto come tentativo e non a ritenere la insussistenza dell’aggravante, posto che la pubblica fede che qui rileva, quale termine qualificativo del concetto di esposizione , determina una condizione delle cose mobili, per la quale le stesse, anziché essere custodite da chi ne è titolare, ricevono protezione essenzialmente dal pactum fiduciae tra i consociati in ordine al rispetto della proprietà e del possesso altrui. Un vincolo etico - normativo, quindi, la dissoluzione del quale giustifica l’inasprimento della sanzione. Pertanto l’aggravante in esame può essere esclusa da una sorveglianza esercitata sulla cosa, solo se questa formi oggetto di una diretta e continua custodia da parte del proprietario o di persona addetta, dovendosi invece ritenere inidonea a far venir meno la sussistenza della aggravante stessa una sorveglianza generica della polizia, o una sorveglianza che, per sua natura, risulti necessariamente saltuaria ed eventuale, anche se specificamente esercitata dal possessore o da addetti alla sicurezza, i quali nel caso concreto possono o meno avvedersi della sottrazione di beni da parte dei clienti del negozio. Nella specie, anche ammesso il costante controllo dell’azione furtiva del prevenuto da parte del personale del negozio, deve ritenersi che tale situazione sia stata comunque frutto di una situazione contingente, che non ha mutato la condizione dei beni, i quali rimanevano esposti alla pubblica fede, posto che l’addetta alla sicurezza avrebbe anche potuto non accorgersi dell’azione illecita da parte del prevenuto. Del resto, è pacifico che il reato è stato commesso all’interno di un negozio con merce liberamente accessibile e prelevabile dai banchi di vendita, e che per costante giurisprudenza di questa Corte sussiste l’aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 7, cod. pen. - sub specie di esposizione della cosa per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede - nel caso in cui il soggetto attivo si impossessi della merce sottratta dai banchi di un supermercato, considerato che nei supermercati - in cui la scelta delle merci avviene con il sistema del self service - la vigilanza praticata dagli addetti è priva di carattere continuativo e si connota come occasionale e/o a campione, mentre l’esclusione dell’aggravante in questione richiede che sulla cosa sia esercitata una custodia continua e diretta, non essendo sufficiente, a tal fine, una vigilanza generica, saltuaria ed eventuale Sez. 5, n. 6416 del 14/11/2014 - dep. 2015, Garofalo, Rv. 26266301 . 2. Il secondo motivo è inammissibile per carenza di interesse, essendo pacifico che il giudice di primo grado, di fatto, non ha applicato la recidiva, non avendo neanche disposto l’aumento di pena ex art. 81, comma 4, cod. pen., nonostante tale aumento sia obbligatorio anche in caso di bilanciamento delle circostanze con giudizio di equivalenza cfr. Sez. U, n. 31669 del 23/06/2016, P.G. in proc. Filosofi, Rv. 26704401 . Pertanto l’accoglimento della censura non comporterebbe alcuna modifica della pena in senso favorevole all’imputato. 3. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.