Prende la bici del vigile urbano e la lancia in mare: condannato a quindici giorni di reclusione

L’uomo responsabile dello strano comportamento è stato ritenuto colpevole di interruzione di pubblico servizio”, condanna confermata anche dalla Suprema Corte. Evitata però la sanzione più grave, quella prevista per l’accusa di oltraggio”.

Goliardata finita in carcere. Quindici giorni di reclusione è la pena decisa per un marchigiano che ha pensato bene di sottrarre la bici a un agente di Polizia municipale e di buttarla poi in mare. L’uomo è stato condannato per interruzione di pubblico servizio”, ma ha evitato la contestazione più pesante, quella relativa al reato di oltraggio a pubblico ufficiale” Cassazione, sentenza n. 22537, Sezione Sesta Penale, depositata oggi Bollettini inutilizzabili. Ricostruito facilmente lo strano episodio si è appurato che l’uomo, originario di San Benedetto del Tronto, ha sottratto la bicicletta di servizio in dotazione ad un agente della Polizia municipale e poi ha deciso di gettarla in mare . Le azioni compiute gli sono valse un processo, con in ballo due reati oltraggio a pubblico ufficiale e interruzione di pubblico servizio . Sul primo fronte i giudici di Appello hanno smentito quelli del Tribunale, facendo cadere l’accusa di oltraggio . Sul secondo fronte, invece, essi hanno confermato la valutazione compiuta in primo grado, osservando che il lancio in mare della bicicletta ha reso inservibili i bollettini di accertamento delle violazioni amministrative, custoditi all’interno delle borse laterali del velocipede . Queste valutazioni sono ritenute corrette dai Giudici della Cassazione, che confermano in toto la pronuncia della Corte d’appello. Definitiva, quindi, la condanna a quindici giorni di reclusione per il responsabile della goliardata.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 27 aprile – 21 maggio 2018, n. 22537 Presidente Petruzzellis – Relatore Tronci Ritenuto in fatto 1. Il difensore di fiducia di Cl. D’AG. impugna tempestivamente la sentenza indicata in epigrafe, con cui la Corte d'appello di Ancona, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Ascoli Piceno, ha mandato assolto l'imputato, con ampia formula, dal reato di oltraggio a pubblico ufficiale, rideterminando in giorni quindici di reclusione la pena a carico del prevenuto per il residuo reato di cui all'art. 340 cod. pen., posto in essere per essersi impossessato per breve lasso di tempo della bicicletta di servizio in dotazione all'agente della Polizia Municipale indicato in rubrica, che poi gettava a mare, così rendendo inservibili i bollettini di accertamento delle violazioni amministrative custodite all'interno di borse laterali del velocipede e, per l'effetto, interrompendo o comunque turbando la regolarità del servizio. 2. Quattro sono le doglianze formalizzate nell'interesse dell'imputato a inesistenza del reato contestato ex art. 340 c.p. - mancanza di dolo generico e dell'elemento oggettivo del reato in questione tanto alla stregua della discutibile plausibilità della ricostruzione della vicenda patrocinata dalla Corte dorica, a fronte delle contraddizioni esistenti fra i testi vigili urbani ed i testi civili , PI. ed AN., e della maggiore credibilità di quanto rappresentato da questi ultimi, per le ragioni a tal fine esposte b mancanza e manifesta illogicità di parte della motivazione della sentenza impugnata ai sensi dell'art. 606 lett. e c.p.p. , in ragione del difetto di credibilità illogicamente attribuito ai già citati testi PI. ed AN. c irrilevanza del fatto ai sensi dell'art. 131 bis c.p. d mancata concessione delle attenuanti generiche e dei benefici di cui alla legge 89/81. Considerato in diritto 1. Non consentiti sono i primi due profili di doglianza, che ben possono essere affrontati congiuntamente, atteso che ineriscono entrambi alla materialità della vicenda, che peraltro confutano alla stregua di considerazioni proprie di un giudizio di merito, ossia ponendo in discussione la pretesa maggiore credibilità propria della prospettazione patrocinata, laddove è notorio che il giudice di legittimità non è certo deputato a verificare la persuasività della ricostruzione compiuta dal giudice di merito, per eventualmente sostituire ad essa la propria, atteso che il compito ordinamentale affidatogli è unicamente quello di far luogo al controllo giuridico e logico dell'/ter delineato dalla sentenza impugnata, passibile di censura - per quanto qui interessa - solo ove si palesi come contraddittorio o manifestamente illogico il che è escluso all'evidenza dalla stessa prospettazione difensiva, in termini - si ripete - di maggiore plausibilità. 2. Parimenti non consentita deve ritenersi la terza censura, non risultando che la richiesta di applicazione della speciale causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis cod. pen. sia stata prospettata innanzi al giudice distrettuale, giusta l'insegnamento assolutamente consolidato di questa Corte, secondo cui, appunto, La causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto, ex art. 131-bis cod. pen., non può essere dedotta per la prima volta in cassazione, se tale disposizione era già in vigore alla data della deliberazione della sentenza di appello, ostandovi la previsione di cui all'art. 606, comma 3, cod. proc. pen. così, da ultimo e per tutte, sez. 5, sent. n. 57491 del 23.11.2017, Rv. 271877 . Analogamente, in relazione alle attenuanti generiche ed al beneficio della libertà vigilata, ex lege n. 689/1981, rileva il Collegio come l'appello a suo tempo proposto sia del tutto silente sul punto, anche in questo caso valendo pertanto la preclusione stabilita dal succitato art 606 ult. co. del codice di rito. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.