Bacio sulla bocca della giovanissima paziente: dentista condannato per violenza sessuale

Confermata in sede di legittimità la pronuncia della Corte d’Appello, con pena fissata in quattordici mesi di reclusione. Il professionista ha colto di sorpresa la ragazzina, di neanche 14 anni, stampandole un bacio sulle labbra.

Ha dato un bacio sulla bocca alla sua paziente, di neanche 14 anni. Il comportamento tenuto da un dentista è qualificabile come violenza sessuale” in piena regola, sanciscono i Giudici del Palazzaccio. Legittima, di conseguenza, la condanna a quattordici mesi di reclusione. Cassazione, sentenza n. 20712/18, Sezione Terza Penale, depositata oggi . Contatto. Il fattaccio risale all’estate del 2006, quando, in un piccolo paese dell’Emilia Romagna, il professionista medico accoglie in maniera poco ortodossa una sua giovanissima paziente fa accomodare la ragazzina – di neanche 14 anni – sulla poltrona e, dopo avere controllato l’apparecchio ortodontico , in maniera repentina la bacia sulla bocca . Una volta ricostruito l’episodio, i giudici, prima in Tribunale e poi in Corte d’appello, ritengono il dentista colpevole del reato di violenza sessuale , con pena fissata in un anno e due mesi di reclusione . Inutile si rivela il ricorso in Cassazione, che respinge tutte le obiezioni difensive proposte dal legale del dentista. In particolare, i Giudici del Palazzaccio ribadiscono, in modo netto, che anche il bacio sulla bocca, limitato al semplice contatto delle labbra, va qualificato come atto sessuale , e aggiungono che in questa vicenda, vista l’assenza di qualsiasi confidenza personale e fisica tra medico e paziente , il bacio non è riconducibile all’ipotesi di una mera espressione di innocua affettività amicale . E sempre secondo i magistrati, è corretto parlare di violenza , poiché la ragazzina è stata colta di sorpresa dall’estemporanea iniziativa del suo dentista e si è trovata nell’impossibilità di reagire e di esprimere il proprio dissenso .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 19 gennaio – 10 maggio 2018, n. 20712 Presidente Rosi – Relatore Zunica Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 7 febbraio 2017, la Corte di appello di Bologna confermava la sentenza dell'8 luglio 2011, con cui il G.U.P. presso il Tribunale di Reggio Emilia aveva condannato Jo. An. Up. Ku. alla pena di anni 1 e mesi 2 di reclusione in ordine al reato di cui all'art. 609 bis cod. pen., ritenuta l'ipotesi di minore gravità di cui all'ultimo comma, perché, abusando della sua autorità di medico dentista e comunque con violenza, estrinsecata nella rapidità del gesto, dopo avere fatto accomodare la minore Il. Us., nata il omissis , sulla poltrona ed avere controllato l'apparecchio ortodontico, la baciava sulla bocca, fatto commesso in Rubiera il 20 luglio 2006. Oltre ad applicare le pene accessorie di legge, il G.U.P. condannava il ricorrente altresì al risarcimento dei danni subiti dalla costituita parte civile, da liquidarsi in separata sede, oltre che al pagamento di una provvisionale di Euro 5.000. 2. Avverso la sentenza della Corte di appello bolognese, Jo. An. Up. Ku tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando tre motivi. Con il primo lamenta la violazione degli art. 441 comma 5 e 603 commi 1 e 3 cod. proc. pen., osservando che la Corte di appello aveva omesso di motivare rispetto alla doglianza difensiva relativa all'ordinanza del 25 maggio 2011, con cui era stata rigettata la richiesta di integrazione dell'istruttoria dibattimentale rispetto a due testi presenti nello studio dentistico del ricorrente al momento dei fatti, ovvero Ar. Ca. e Th. Jo. Va., i quali avrebbero smentito l'affermazione della persona offesa secondo cui nessuno sarebbe stato presente quando si sarebbe verificato l'episodio contestato. Con il secondo motivo, il ricorrente contesta la violazione dell'art. 609 bis cod. proc. pen., evidenziando che i comportamenti fondati sull'inganno o sulla rapidità dell'azione, nel rispetto del principio di tassatività e del conseguente divieto di analogia in malam partem, non possono ricomprendersi nell'alveo della previsione incriminatrice, in quanto estranei ai concetti di violenza e minaccia. Ai fini dell'integrazione della norma incriminatrice, occorrerebbe pertanto un'energia fisica trasmodante in un effettivo pregiudizio fisico, nel caso di specie non ravvisabile, essendo stato il contatto tra la bocca del ricorrente e quello della minore lieve, brevissimo e quasi impercettibile. in ordine poi all'abuso di autorità, ci si duole del fatto che la Corte ha omesso ogni motivazione sul punto, non considerando che l'imputato non aveva abusato della sua autorità, ma al più avrebbe abusato del proprio rapporto professionale che lo legava alla paziente. Con il terzo motivo, speculare al precedente, la difesa osserva infine come la Corte di appello abbia omesso ogni tipo di motivazione sul tema dell'abuso di autorità, pur in presenza di una specifica impugnazione nell'atto di appello. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 1. Iniziando dal primo motivo, occorre evidenziare che la Corte di appello ha disatteso in maniera non immotivata l'istanza di integrazione istruttoria avanzata dalla difesa, rilevando che la stessa era superflua, in quanto non era contestato il quadro d'insieme della vicenda, ovvero la visita dentistica della minore da parte del ricorrente e il loro successivo appartarsi nella stanza adibita alla segreteria per la fissazione del prossimo appuntamento, essendo il reato avvenuto in questo contesto spazio-temporale, ovvero fuori dalla visuale dei testi indicati dalla difesa, cioè dell'assistente di poltrona che si trovava nella sala medica, della segretaria che pacificamente non c'era e del cliente seduto in sala d'attesa. Il rigetto della sollecitazione istruttoria avanzata dalla difesa non può quindi essere ritenuto illegittimo, essendo stato fondato su argomentazioni razionali e aderenti alle risultanze probatorie acquisite in sede di giudizio abbreviato. La ricostruzione dell'intera vicenda, del resto, è scaturita da un'attenta lettura del materiale investigativo raccolto, costituito dalle puntuali dichiarazioni della persona offesa, che il G.U.P. aveva ritenuto necessario sentire ai sensi dell'art. 441 comma 5 cod. proc. pen., dalle convergenti affermazioni dell'amica Francesca anch'essa sentita nel corso del rito abbreviato , cui la minore, in evidente stato di agitazione, aveva confidato nella immediatezza l'episodio del bacio subito dal dentista, e dalle dichiarazioni del marito della madre della minore questi, pochi giorni dopo, si recava nello studio del dr. Up. Ku. registrando la conversazione con il ricorrente, dal quale riceveva una sorta di spontanea confessione, inutilmente ridimensionata dall'imputato nel corso del procedimento penale, stante la natura inequivocabile delle espressioni di scusa proferite, certamente riconducibili all'episodio del bacio e non certo a un errore medico, come sostenuto in modo inverosimile dal ricorrente. Né la rinuncia della persona offesa, divenuta nelle more maggiorenne, alla costituzione parte civile, depositata alla Corte dal difensore del ricorrente, appare idonea a incidere sulla valutazione di attendibilità della persona offesa, apparendo piuttosto l'intervenuto risarcimento del danno una conferma ulteriore della consapevolezza da parte del ricorrente del disvalore della propria condotta. Passando al secondo motivo, suscettibile di essere trattato congiuntamente al terzo, che ne costituisce una sintetica specificazione, deve ritenersi che la qualificazione giuridica della condotta appare parimenti immune da censure. Ed invero i giudici di appello hanno correttamente richiamato il costante orientamento di questa Corte Sez. 3, n. 25112 del 13/02/2007 Rv. 236964 , secondo cui a/ fini della configurabilità del reato di violenza sessuale, va qualificato come atto sessuale anche il bacio sulla bocca che sia limitato al semplice contatto delle labbra, potendosi detta connotazione escludere solo in presenza di particolari contesti sociali, culturali o familiari nei quali l'atto risulti privo di valenza erotica, come, ad esempio, nel caso del bacio sulla bocca scambiato, nella tradizione russa, come segno di saluto . La giurisprudenza di legittimità è inoltre costante nel ritenere Sez. 3, n. 964 del 26/11/2014 Rv. 261634 che, ai fini della configurabilità del delitto di violenza sessuale, la rilevanza di tutti quegli atti che, in quanto non direttamente indirizzati a zone chiaramente definibili come erogene, possono essere rivolti al soggetto passivo, anche con finalità del tutto diverse, come i baci o gli abbracci, costituisce oggetto di accertamento da parte del giudice del merito, secondo una valutazione che tenga conto della condotta nel suo complesso, del contesto sociale e culturale in cui l'azione è stata realizzata, della sua incidenza sulla libertà sessuale della persona offesa, del contesto relazionale intercorrente tra i soggetti coinvolti e di ogni altro dato fattuale qualificante in applicazione di tale principio è stata ritenuta penalmente rilevante la condotta di un medico di guardia presso una casa di riposo, che si avvicinava velocemente ad una operatrice sanitaria alla quale non era legato da alcun particolare rapporto confidenziale o affettivo e la baciava alla bocca con una forte pressione . Alla stregua di tali condivise premesse ermeneutiche, la Corte territoriale ha osservato, in modo non illogico, che la peculiarità del rapporto medico-paziente, il significativo divario di età tra i protagonisti all'epoca dei fatti 48 anni il ricorrente, non ancora 14 la persona offesa , e l'assenza di qualsiasi antecedente confidenza personale e fisica tra i due, qualificavano il bacio come atto del tutto estraneo all'ambito di una mera espressione di innocua affettività amicale. Quanto al requisito della violenza, non può che ribadirsi anche in questa sede la costante affermazione di questa Corte ex multis cfr. Sez. 3, n. 27273 del 15/06/2010, Rv. 247932 , secondo cui, nel reato di violenza sessuale, l'elemento della violenza può estrinsecarsi, oltre che in una sopraffazione fisica, anche nel compimento insidiosamente rapido dell'azione criminosa tale da sorprendere la vittima e da superare la sua contraria volontà, così ponendola nell'impossibilità di difendersi, come appunto avvenuto nel caso di specie, essendo stata la minore colta di sorpresa dall'estemporanea iniziativa del suo dentista, di fronte alla quale si è trovata nell'impossibilità di reagire e di esprimere il suo dissenso. Non appare dirimente infine la circostanza che la Corte di appello non abbia approfondito l'ulteriore questione sollevata dalla difesa relativamente all'abuso di autorità contestato peraltro come elemento aggiuntivo della condotta, essendo il requisito della violenza, nei termini sopra descritti, di per sé già idoneo ai fini dell'integrazione della fattispecie oggetto di imputazione , dovendosi evidenziare al riguardo che il tema era stato già trattato dalla sentenza di primo grado, la cui motivazione, trattandosi di doppia conforme, è destinata a saldarsi con quella della sentenza impugnata, per formare un unico complessivo corpo argomentativo sul punto cfr. Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013 Rv. 257595 . Orbene, nella sentenza di primo grado, il G.U.P. aveva correttamente evidenziato che il ricorrente aveva sfruttato la sua posizione di superiorità rispetto alla vittima, approfittando del fatto che, essendo egli da almeno un anno il dentista da cui si faceva curare la minore, poteva far leva su una condizione di sicura affidabilità, che tuttavia è stata utilizzata per compiere un'azione repentina risultata comprensibilmente invasiva della libertà sessuale della persona offesa. Del resto, rispetto alla nozione di abuso di autorità, la recente e più condivisibile evoluzione giurisprudenziale è nel senso che tale espressione fa riferimento non solo a una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico, ma anche a situazioni di supremazia di tipo privatistico sul punto cfr. Sez. 3 n. 19419 del 19.4.2012 Rv. 252768, e Sez. 3 n. 33042 dell'8.3.2016, Rv. 267453 , come appunto quella in cui si è realizzata la condotta illecita oggetto di contestazione. 5. In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso deve essere quindi rigettato, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.