L’avvocato radiato dall’albo continua a svolgere la professione: condannato

L’esercizio abusivo della professione legale sussiste anche in assenza della spendita della qualità indebitamente assunta dinanzi ad un giudice o altro pubblico ufficiale, essendo sufficiente che l’agente curi pratiche legali di clienti oppure provveda alla predisposizioni di ricorsi anche senza comparire poi in udienza.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 20233/18, depositata l’8 maggio. La vicenda. La Corte d’Appello di Firenze riformava parzialmente la sentenza di prime cure rideterminando la pena - in relazione alla contestata recidiva specifica ed infraquinquiennale - irrogata all’imputato per il reato di esercizio abusivo della professione di avvocato. Avverso la condanna, ricorre per cassazione l’imputato. Avvocato abusivo”. Proponendo una diversa lettura dei fatti, il ricorrente sostiene l’insussistenza del reato. A suo dire, infatti, egli si era limitato ad assumere l’incarico di patrocinare le persone offese in una causa civile, facendo loro firmare un foglio in bianco destinato a contenere l’atto di citazione, ma tale comportamento, seppur dietro corrispettivo, non era stato seguito da effettive e concrete attività difensive. La doglianza è manifestamente infondata. Alla luce delle dichiarazioni testimoniali raccolte risulta infatti evidente come il ricorrente, cancellato dall’albo degli avvocati, circostanza di cui le persone offese non erano al corrente, aveva compiuti atti propri della professione legale assumendo l’incarico professionale, predisponendo un mandato alle lite e avviando formali contatti con la controparte. Correttamente dunque la Corte di merito ha applicato il principio secondo cui, l’esercizio abusivo della professione legale, sussiste anche in assenza della spendita della qualità indebitamente assunta dinanzi ad un giudice o altro pubblico ufficiale, essendo sufficiente che l’agente curi pratiche legali di clienti oppure provveda alla predisposizioni di ricorsi anche senza comparire poi in udienza. Recidiva. Risulta invece fondata la censura relativa al computo della recidiva. In quanto circostanza aggravante, deve essere oggetto di precisa contestazione con riferimento puntuale al singolo reato. Nel caso di specie, la recidiva era stata formalmente contestata per il solo delitto di truffa per il quale il ricorrente era stato prosciolto in primo grado. Erroneamente dunque il giudice dell’appello ha ritenuto tale circostanza aggravante riferita anche all’imputazione per esercizio abusivo della professione. L’esclusione della recidiva comporta un diverso computo del termine di prescrizione che risulta in conclusione decorso prima della sentenza. Per questo motivo, la Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 6 aprile – 8 maggio 2018, n. 20233 Presidente Fidelbo – Relatore De Amicis Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 10 novembre 2014 la Corte di appello di Firenze ha parzialmente riformato la decisione di primo grado, rideterminando in mesi tre di reclusione la pena irrogata a T.G.L. per il reato di esercizio abusivo della professione di avvocato e subordinandone la sospensione condizionale al pagamento della somma di Euro 2.250,00 in favore della persona offesa G.C. entro il termine di sessanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza, che confermava nel resto la prima decisione. 1.1. All’esito del giudizio di primo grado l’imputato veniva prosciolto dal delitto di truffa continuata di cui al capo sub b per difetto di querela e ritenuto colpevole del reato di cui agli artt. 81 cpv. e 348 cod. pen. capo sub a , con l’applicazione di un aumento di pena operato per effetto della contestata recidiva specifica ed infraquinquennale, che veniva ridotto in misura pari ad un mese dalla Corte d’appello, con la pena finale determinata in quella di mesi tre di reclusione. 1.2. Sulla base delle dichiarazioni testimoniali rese dalle persone offese e della documentazione acquisita agli atti i Giudici di merito hanno concordemente ritenuto provata la responsabilità penale dell’imputato, ponendo in rilievo come egli avesse compiuto atti tipici della professione forense in assenza di titolo abilitativo, ed in particolare avesse assunto l’incarico di patrocinare in un giudizio civile G.C. e S. , facendo firmare alle stesse un foglio in bianco destinato a contenere un atto di citazione, curando, poi, una trattativa con il legale della controparte e facendosi rilasciare, infine, un acconto sulle spese. 2. Nell’interesse del predetto imputato ha proposto ricorso per cassazione il difensore, che ha formulato cinque motivi di doglianza. 2.1. Con il primo motivo si deducono violazioni di legge e vizi della motivazione in punto di accertamento della penale responsabilità, per non avere la Corte di merito considerato la decisiva circostanza che le persone offese non avevano ricevuto alcuna prestazione professionale a fronte delle somme anticipate, con la conseguenza che il mero impegno assunto da soggetto non abilitato ad assumere il patrocinio di parti interessate a promuovere una lite, sebbene retribuito, non rileva ai fini del reato in esame poiché non seguito da effettive e concrete attività difensive. 2.2. Con il secondo motivo, inoltre, si deducono violazioni di legge riguardo all’erronea attribuzione di rilievo penale ad attività redazione di un atto citazione non utilizzato, trattative con il difensore di controparte ecc. riferibili a libere prestazioni di mera consulenza, effettuate dall’imputato in modo del tutto sporadico e in assenza di qualsivoglia organizzazione, con il conseguente difetto dell’elemento psicologico del reato. 2.3. Con il terzo motivo si deducono violazioni di legge con riferimento alla nullità della sentenza ex art. 429, comma 2, cod. proc. pen., per difetto di rituale contestazione della ritenuta recidiva specifica e reiterata relativamente al capo sub a , laddove la stessa gli era stata contestata con esclusivo riferimento al reato di truffa di cui al capo sub b dal quale era stato prosciolto, e non anche rispetto al reato di esercizio abusivo di professione. 2.4. Con il quarto motivo si censurano violazioni di legge e vizi della motivazione in punto di diniego dell’invocata applicazione dei benefici previsti dagli artt. 53 e 58 della legge n. 689/1981. 2.5. Con il quinto motivo, infine, si deducono violazioni di legge con riguardo alla erronea subordinazione della sospensione condizionale della pena all’obbligo di restituzione dell’importo fissato nel dispositivo in favore di una persona offesa non costituitasi parte civile nel processo penale. 3. Con memoria pervenuta nella Cancelleria di questa Suprema Corte in data 22 marzo 2018 il difensore ha sviluppato ulteriori argomenti a sostegno del terzo motivo di ricorso, insistendo per il suo accoglimento ed eccependo l’intervenuta prescrizione del reato. Considerato in diritto 1. Il ricorso è parzialmente fondato e va pertanto accolto entro i limiti e per gli effetti qui di seguito esposti e precisati. 2. Manifestamente infondati devono ritenersi il primo ed il secondo motivo di ricorso, che si limitano a riproporre nel giudizio di legittimità le medesime doglianze dai giudici di merito già congruamente esaminate e motivatamente disattese, nei passaggi ove hanno posto in rilievo, alla luce delle inequivoche emergenze probatorie, sia di fonte orale che documentale, le dirimenti circostanze di fatto a che l’imputato non era legittimato a compiere alcun atto proprio della professione legale per essere stato, sin dal 2003, cancellato dall’albo degli avvocati con provvedimento del Consiglio dell’Ordine del Tribunale di Lucca b che le persone offese non erano a conoscenza della sua radiazione dall’albo professionale c che la condotta, dall’imputato reiteratamente posta in essere, è consistita nell’assumere l’incarico professionale e nel farsi rilasciare firme su fogli in bianco utilizzati per redigere un atto di citazione, predisponendo un mandato alle liti - con facoltà di farsi sostituire nell’attività - ed avviando formali contatti e trattative con la controparte, sia pure con la spendita del nome di un avvocato, per poi farsi rilasciare acconti sulle spese da sostenere per le correlative prestazioni, tipiche dell’esercizio della professione legale. La sentenza impugnata, dunque, ha fatto buon governo dei principi al riguardo stabiliti da questa Suprema Corte Sez. 5, n. 646 del 06/11/2013, dep. 2014, Tuccio, Rv. 257955 , secondo cui l’esercizio abusivo della professione legale, ancorché riferito allo svolgimento dell’attività riservata al professionista iscritto nell’albo degli avvocati, non implica necessariamente la spendita al cospetto del giudice o di altro pubblico ufficiale della qualità indebitamente assunta, sicché il reato si perfeziona per il solo fatto che l’agente curi pratiche legali dei clienti o predisponga ricorsi anche senza comparire in udienza qualificandosi come avvocato. Il delitto in esame, del resto, ha natura istantanea e non esige, diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente, un’attività continuativa od organizzata, ma si perfeziona con il compimento anche di un solo atto tipico o proprio della professione abusivamente esercitata Sez. 6, n. 11493 del 21/10/2013, dep. 2014, Tosto, Rv. 259490 . 3. Fondato, di contro, deve ritenersi il terzo motivo di ricorso, ove si consideri che la recidiva è una circostanza aggravante e come tale, per essere ritenuta in sentenza, deve aver formato oggetto di precisa contestazione con puntuale riferimento al singolo reato cui viene riferita dal giudice Sez. 6, n. 5075 del 09/01/2014, dep. 2014, Crucitti, Rv. 258046 Sez. 3, n. 51070 del 07/06/2017, Ndyaye, Rv. 271880 . Nel caso in esame, infatti, la sentenza impugnata ha erroneamente ritenuto applicabile al reato di cui all’art. 348 cod. pen. capo sub a la circostanza della recidiva, specifica ed infraquinquennale, che era stata formalmente contestata in calce al solo delitto di truffa continuata di cui al capo sub b , ossia non per ciascuna delle imputazioni, ma per il reato dal quale l’imputato era stato prosciolto all’esito del giudizio di primo grado. Deve pertanto escludersi che la recidiva possa intendersi riferita anche al reato di esercizio abusivo della professione, ossia ad un reato diverso da quello in relazione al quale essa era stata specificamente contestata nel capo d’imputazione. 4. L’esclusione della recidiva, a sua volta, comporta un diverso computo del termine di prescrizione del reato in esame, che, in ragione delle sue distinte date di commissione individuate nel maggio del 2006 e nel dicembre del 2007 e in assenza di accertati periodi di sospensione, risulta ormai estinto, per l’intervenuto decorso del corrispondente termine prescrizionale nella sua massima estensione ex art. 161 cod. pen. pari a sette anni e sei mesi , rispettivamente il 30 novembre 2013 ed il 30 giugno 2015 per quest’ultima ipotesi, dunque, in epoca successiva alla pronuncia della sentenza di appello . 5. Sulla base delle su esposte considerazioni, logicamente assorbiti il quarto ed il quinto motivo di ricorso, s’impone in definitiva l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per l’intervenuta estinzione del reato. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.