La sussistenza di un lavoro non è un requisito indispensabile per la concessione dell’affidamento in prova

La Suprema Corte afferma che la situazione lavorativa del condannato richiedente l’affidamento in prova al servizio sociale non può divenire motivo principale del relativo diniego, in quanto la sussistenza di un lavoro non è prevista dalla legge come requisito indispensabile per la concessione della citata misura alternativa.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 19101/18, depositata il 3 maggio. Il caso. Il Tribunale di Sorveglianza di Roma rigettava l’istanza di affidamento in prova al servizio sociale avanzata dall’interessato, il quale risultava essere agli arresti domiciliari. Parallelamente, il Tribunale concedeva la misura alternativa della detenzione domiciliare con autorizzazione all’allontanamento per svolgere attività lavorative, in ragione della non chiara situazione lavorativa e della idoneità degli arresti domiciliari al recupero del condannato. Avverso il provvedimento del Tribunale l’istante ricorre per cassazione denunciando la sussistenza delle condizioni per la concessione dell’affidamento in prova nonché l’illogicità del diniego della stessa in ragione del cambiamento di attività lavorativa svolta dal ricorrente, la quale risultava essere, tra l’altro, a contratto a tempo indeterminato e alle dipendenze di una società. Affidamento in prova. Il Supremo Collegio evidenzia come il Tribunale abbia effettivamente fondato il diniego dell’istanza sul presupposto del cambiamento di datore di lavoro da parte del ricorrente, circostanza idonea a generare, per i Giudici di merito, una situazione lavorativa non chiara . Ebbene, i Giudici di legittimità riconoscono come la sussistenza di un lavoro non è prevista dalla legge come requisito indispensabile per la concessione dell’affidamento in prova che, in presenza di meritevolezza, può essere applicata anche in mancanza di un’attività lavorativa . Inoltre, la Suprema Corte rileva l’assenza, nell’ iter giustificativo del provvedimento, di elementi volti a mettere in luce l’assenza di carichi pendenti e la scrupolosa regolarità della condotta serbata dal ricorrente , ribadendo che l’attività lavorativa dello stesso era stata ritenuta reale e regolarmente documentata, avendo il Tribunale autorizzato l’istante a proseguirla . La Corte dunque annulla l’ordinanza impugnata con rinvio.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 20 dicembre 2017 – 3 maggio 2018, n. 19101 Presidente Tardio – Relatore Saraceno Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Con il provvedimento in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Roma ha rigettato l’istanza di affidamento in prova al servizio sociale avanzata da R.F., detenuto agli arresti domiciliari ex art. 656 cod. proc. pen., comma 10, in espiazione della pena di anni tre mesi otto di reclusione inflittagli con sentenza del G.u.p. del Tribunale di Roma in data 25/09/2015, irrevocabile il 27/10/2015, per il reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, mentre invece gli ha concesso la misura alternativa della detenzione domiciliare autorizzandolo ad allontanarsi dal suddetto domicilio per svolgere attività lavorativa presso la ditta Simoncar. Il Tribunale ha rilevato che la stabilizzazione della situazione degli arresti domiciliari in atto appariva al momento idonea al recupero del condannato, mentre la non chiara situazione lavorativa consigliava cautela nella concessione della massima misura dell’affidamento in prova, anche in considerazione del non prossimo fine pena 26.12.2018 . 2. Ha proposto ricorso il detenuto, a mezzo del difensore, avvocato L.L., lamentando violazione di legge in relazione all’art. 666 cod. proc. pen., comma 5 e carenza e manifesta illogicità della motivazione. Il Tribunale aveva respinto la domanda di affidamento in prova, misura certamente concedibile e della quale sussistevano tutte le condizioni, valorizzando in negativo esclusivamente la pretesa equivocità della situazione lavorativa dell’istante e il non prossimo fine pena e così fondando il diniego su considerazioni inconferenti e del tutto estranee a quelle richieste per il godimento della misura. La sussistenza di un’attività lavorativa non rientra tra le condizioni del beneficio richiesto e, in ogni caso, non erano state esplicitate le ragioni della scelta di non richiedere un supplemento di informazioni sulla situazione lavorativa del condannato stante l’indubbia rilevanza ad essa attribuita ai fini della decisione. Con successiva memoria la difesa ha ribadito la manifesta illogicità della decisione per contrasto tra le acclarate premesse argomentative e la ragione posta a fondamento del rigetto, pur a fronte della reale, attuale e documentata attività lavorativa dell’istante che, nelle more della decisione, aveva semplicemente cambiato datore di lavoro continuando a svolgere la medesima attività, con contratto a tempo indeterminato, alle dipendenze della ditta Simoncar, come comunicato sin dall’ottobre 2016 attraverso il deposito del contratto di assunzione. 3. Il ricorso merita accoglimento. Fondata è la doglianza con la quale si lamenta l’incongruità e l’evidente illogicità delle ragioni poste a sostegno del rigetto dell’istanza di affidamento in prova. Il Tribunale ha per vero negato la concessione del più ampio beneficio, assumendo che la situazione lavorativa del R. non appariva chiara atteso che, a fronte di un’originaria disponibilità ad assumerlo da parte della ditta Nuova Idea Auto e della sussistenza di alcune buste paga relative a tale posizione di lavoro, era stata depositata più recente busta paga febbraio 2017 inerente altra posizione di lavoro , così di fatto implicitamente escludendo i presupposti di affidabilità esterna rilevanti ai fini di una positiva prognosi di reinserimento sociale. Tuttavia non solo la sussistenza di un lavoro non è prevista dalla legge come requisito indispensabile per la concessione dell’affidamento in prova che, in presenza di meritevolezza, può essere applicata anche in mancanza di un’attività lavorativa, ma effettivamente, come correttamente rileva il ricorrente, la ragione del diniego del beneficio contrasta con le premesse, date per acclarate, dell’iter giustificativo della decisione, essendo state menzionate e valorizzate l’assenza di carichi pendenti, la risalenza nel tempo dei due soli precedenti penali del condannato, la scrupolosa regolarità della condotta serbata dal ricorrente che, nel non breve periodo trascorso agli arresti domiciliari, non è mai incorso in alcuna violazione delle prescrizioni come confermato dalle note della polizia giudiziaria del 24.11.2016 e del 21.3.2017. A fronte di tali positivi indicatori e, in particolare, del corretto comportamento extramurario del condannato, effettivamente apparente e nient’affatto conseguenziale appare la motivazione del diniego, l’asserita mancanza di chiarezza della situazione lavorativa potendo essere fugata attraverso una richiesta di ulteriori informazioni, senza considerare peraltro che l’attuale attività lavorativa del R. è stata ritenuta reale e regolarmente documentata, avendo il Tribunale autorizzato l’istante a proseguirla, fino alla nuova valutazione delle prescrizioni da parte del magistrato di sorveglianza, nei giorni e negli orari già precedentemente stabiliti. L’ordinanza impugnata deve per tali ragioni essere annullata con rinvio al Tribunale di sorveglianza che dovrà esaminare la condotta del condannato successiva al titolo in esecuzione e procedere a un effettivo riscontro della situazione lavorativa allegata e documentata, utile al superamento dell’addotta mancanza di chiarezza che dal testo del provvedimento risulta essere la ragione preponderante, se non esclusiva, del rigetto della richiesta. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Roma.