Maltrattate, scelgono l’autosegregazione: condanna per l’orco di casa

I racconti di moglie e figlie inchiodano l’uomo. Nessun dubbio sui suoi comportamenti violenti, frutto spesso di uno stato di ubriachezza. Le lesioni fisiche e morali avevano spinto le donne a scegliere di vivere in uno spazio limitato dell’appartamento.

Ubriaco e violento verso la moglie e le figlie, così maltrattate e umiliate da preferire l’autosegregazione per ridurre al minimo i contatti con lui. Logica la condanna dell’uomo, inchiodato proprio dai racconti delle sue vittime, racconti convergenti e tali da fornire un quadro inequivocabile Cassazione, sentenza n. 18059/2018, Sezione Sesta Penale, depositata il 23 aprile 2018 . Menage. Inutili le obiezioni difensive proposte dall’uomo e finalizzate a ridimensionarne la condotta. Inutile il suo richiamo alla conflittualità con la moglie. Per i Giudici, prima in Tribunale, poi in Appello, e infine in Cassazione, è indiscutibile il fatto che egli abbia sottoposto la coniuge e le figlie a una sorta di incubo domestico, caratterizzato non solo da violenze fisiche ma anche da vessazioni morali. Decisive e inequivocabili le convergenti dichiarazioni delle vittime, che hanno permesso di appurare non solo i maltrattamenti ma anche le mortificanti lesioni della dignità concretizzatesi in contumelie che le hanno spinte alla autosegregazione e alla scelta di vivere in casa in uno spazio limitato . Per completare il quadro, poi, i Giudici evidenziano anche che il protrarsi delle condotte di maltrattamento, connotate da sistematica violenza aveva addirittura indotto una delle figlie a ritenere quello il normale andamento del menage domestico . Solo il confronto con altre differenti realtà familiari le ha permesso di aprire gli occhi. Nessun dubbio, quindi, sulla colpevolezza dell’uomo, che era solito ubriacarsi di sera, soprattutto nel week-end per poi dare sfogo alla propria aggressività ai danni della moglie .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 25 gennaio – 23 aprile 2018, n. 18059 Presidente Fidelbo – Relatore Ricciarelli Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 9/2/2017 la Corte di appello di Milano ha confermato quella del Tribunale di Milano del 18/2/2016, con cui Nd. Al. è stato riconosciuto colpevole del delitto di cui all'art. 572 cod. pen. in danno della moglie e delle figlie. 2. Ha proposto ricorso Nd. tramite il suo difensore. 2.1. Con il primo motivo deduce mancanza di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen. in quanto la Corte non aveva valutato l'attendibilità delle persone offese, spesso contraddettesi tra loro e rispetto a precedenti dichiarazioni, omettendo di considerare le deposizioni di altri testimoni e le specifiche censure sollevate. Inoltre la Corte non aveva argomentato in ordine all'abitualità della condotta e in ordine alla dedotta conflittualità che in un breve periodo aveva caratterizzato i rapporti tra i coniugi. 2.2. Con il secondo motivo denuncia mancanza di motivazione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen. in relazione all'art. 94 cod. pen. La Corte aveva fatto riferimento alla frequenza e costanza nell'uso smodato di alcool, ma in realtà non era mai emerso che l'imputato fosse stato visto ubriaco. 2.3. Con il terzo motivo deduce vizio di motivazione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen. in relazione al diniego delle attenuanti generiche. Le attenuanti erano state chieste in ragione dell'incensuratezza e del comportamento processuale, considerato che il ricorrente aveva partecipato alle udienze e reso interrogatorio, mentre la Corte le aveva negate segnalando il difetto di resipiscenza e la negazione dell'evidenza dei fatti, omettendo di fornire un'adeguata spiegazione dei criteri utilizzati per la decisione, posto che la concessione delle attenuanti generiche non implica un giudizio di non gravità dei fatti. 2.4. Ha presentato motivi aggiunti il difensore del ricorrente, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 192 cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione in relazione all'art. 94 cod. pen. In particolare, in relazione al primo motivo segnala profili di contraddittorietà delle dichiarazioni della persona offesa, l'anomalia insita nella presentazione della denuncia solo nel 2013, le smentite agli assunti accusatori rivenienti dalle dichiarazioni di altri testi, la riconducibilità dei conflitti alla gestione delle figlie, la collocazione dei fatti in epoca non successiva al 2010. In relazione al secondo motivo rileva come l'assunto della frequente ubriachezza del ricorrente fosse stato smentito dai testi Zanon, Ventura e De Leo e dal fatto che neppure la moglie e le figlie avessero riferito di aver visto il ricorrente ubriaco. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile, perché da un lato è volto a prospettare un'alternativa ricostruzione del merito, ciò che non rientra nello scrutinio di legittimità, e dall'altro risulta genericamente formulato. 2. Il primo motivo in particolare risulta aspecifico nella parte in cui deduce la mancata valutazione di doglianze formulate in sede di appello, che non sono state puntualmente indicate, non essendo a tal fine sufficiente la mera allegazione dell'atto di appello deve del resto ritenersi irrilevante che un elemento difensivo non sia stato specificamente valutato, quando lo stesso non risulti potenzialmente incidente sul ragionamento compiuto dal Giudice per pervenire a determinate conclusioni o quando possa dirsi che lo stesso sia stato implicitamente superato sulla base di elementi diversi e logicamente ricostruiti sul punto Cass. Sez. 1, n. 37588 del 18/6/2014, Amaniera, rv. 260841, secondo cui l'obbligo di motivazione del giudice dell'impugnazione non richiede necessariamente che egli fornisca specifica ed espressa risposta a ciascuna delle singole argomentazioni, osservazioni o rilievi contenuti nell'atto d'impugnazione, se il suo discorso giustificativo indica le ragioni poste a fondamento della decisione e dimostra di aver tenuto presenti i fatti decisivi ai fini del giudizio, sicché, quando ricorre tale condizione, le argomentazioni addotte a sostegno dell'appello, ed incompatibili con le motivazioni contenute nella sentenza, devono ritenersi, anche implicitamente, esaminate e disattese dal giudice, con conseguente esclusione della configurabilità del vizio di mancanza di motivazione di cui all'art. 606, comma primo, lett. e , cod.proc.pen. cfr. anche Cass. Sez. 5 del 14/11/2013, dep. nel 2014, Maravalli, rv. 258679 Cass. Sez. 5, n. 2459 del 17/4/2000, Garasto, rv. 216367 . Va aggiunto che, contrariamente agli assunti difensivi, la Corte territoriale, anche richiamando le valutazioni del primo Giudice, ha motivato in ordine all'attendibilità delle sostanzialmente convergenti dichiarazioni rese dalla moglie e dalle figlie dell'imputato, osservando da un lato che ne era risultato un quadro univoco e dall'altro che le dichiarazioni erano caratterizzate da precisione, costanza, misura, attestata dalla circostanza che per il periodo successivo al 2010 non si era fatto riferimento ad ulteriori condotte violente, ma a forme di maltrattamento diverse, costituite dalla mortificante lesione della dignità, espressa da continue contumelie e dalla scelta dell'autosegregazione cui il ricorrente aveva finito per indurre con il suo comportamento le persone offese, ridottesi a vivere in casa in uno spazio limitato. D'altro canto la Corte ha altresì posto in luce le conferme rivenienti dalle dichiarazioni delle testi Ca., Gi. e Bo cioè dalle professioniste che avevano in varia guisa assistito Nd. Giustina, dando conto del sofferto percorso di lei e delle sue difficoltà anche di ordine economico. Nel contempo è stata sottolineata l'inconferenza delle deposizioni di altri testi indicati dalla difesa, riferibili al contesto lavorativo o comunque a situazioni lontane dall'intimità domestica e condizionate dalla genericità del rapporto di conoscenza. La Corte ha inoltre messo in evidenza il protrarsi delle condotte di maltrattamento, connotate da sistematica violenza, al punto che una delle figlie era stata indotta a ritenere quello il normale andamento del menage domestico, prima di rendersi conto della diversità delle altre realtà familiari. Per il periodo successivo al 2010 è stata anche rilevata, secondo quanto già osservato, la diversa consistenza delle condotte addebitate al ricorrente, parimenti idonee ad integrare il reato contestato, la cui abitualità è stata correttamente ravvisata fino ad epoca successiva all'entrata in vigore del più severo regime sanzionatorio introdotto dalle leggi 72 del 2012 e 119 del 2013. In tale prospettiva è stata esclusa l'ipotesi di occasionali scontri legati all'educazione delle figlie, profilo che nel motivo di ricorso è stato solo genericamente riproposto, in assenza di puntuale censura della motivazione della Corte. 3. Inammissibile, perché genericamente formulato e comunque volto a prospettare una diversa ricostruzione di merito, risulta anche il secondo motivo, riguardante il tema dell'ubriachezza abituale. Il motivo fa leva sul fatto che il ricorrente era stato semmai visto al bar, ma non era stato mai sorpreso in stato di ubriachezza e sul fatto che, al momento del suo allontanamento dalla casa familiare, le analisi del sangue eseguite non avevano rilevato la presenza di alcool. Si tratta di deduzione in primo luogo generica, in quanto non si confronta in alcun modo con l'effettivo tenore della motivazione, che solo riassuntivamente fa riferimento alla frequenza e all'uso smodato di alcool, ma che in realtà muove dall'ampia analisi della correlazione tra stato di ubriachezza e condotte maltrattanti, che aveva caratterizzato quasi l'intero percorso di vita della coppia, fatta eccezione per un breve lasso di tempo nel 2007. Per il resto la Corte, in sede di ricostruzione della vicenda, ha sottolineato come il ricorrente fosse solito ubriacarsi di sera e soprattutto nei fine settimana e come tale circostanza costituisse il presupposto per le manifestazioni di violenza e aggressività in danno della moglie. Ha aggiunto la Corte il significativo elemento emerso dalle dichiarazioni di Fr. Nd., secondo cui ella aveva il vivido ricorso della condizione di ubriachezza del padre, rappresentata dall'odore di alcool che l'uomo portava su di sé. L'assenza di specifiche censure rivolte a tale ricostruzione vanifica il generico riferimento al fatto che il ricorrente non fosse mai stato visto ubriaco, ciò che si risolve in un apodittico tentativo di prospettare una alternativa lettura del compendio probatorio, esulante dall'ambito del giudizio di legittimità. 4. Inammissibile risulta infine il terzo motivo, in quanto esclusivamente volto ad invocare un diverso giudizio di merito in ordine alle attenuanti generiche, che la Corte ha non arbitrariamente disconosciuto, rilevando l'assenza di elementi a tal fine valutabili, a fronte della mancanza di segni di resipiscenza e della negazione da parte del ricorrente anche dell'evidenza dei fatti. Si tratta di valutazione non incentrata sull'astratta gravità del reato ma su dati anche di rilievo personologico, idonei -nel quadro di una valutazione complessiva della fattispecie a sorreggere il giudizio formulato, cui è stato genericamente contrapposto lo stato di incensuratezza, di per sé inidoneo, e il comportamento processuale, ma senza alcuna indicazione della valenza a tal fine attribuibile al mero fatto della presenza in aula durante le udienze e della sottoposizione ad esame. 4. L'inammissibilità originaria del ricorso comporta altresì l'inammissibilità dei motivi aggiunti, secondo quanto stabilito dall'art. 585, comma 4, ultima parte, cod. proc. pen. 5. All'inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in ragione dei profili di colpa sottesi alla causa dell'inammissibilità, a quello della somma di Euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.