“Barare” all’esame della patente è punibile con la reclusione: attenzione, però, alla qualificazione del reato

La condotta posta in essere da chiunque presenti come propri lavori di altri in determinati esami o concorsi configura la speciale ipotesi di reato prevista dall’art. 1 l. n. 475/1925, in relazione alla quale non può escludersi, in astratto, la configurabilità del tentativo.

Così la Sezione V Penale della Cassazione con sentenza n. 17917/18, depositata il 20 aprile. Il fatto. La Corte d’Appello di Bari, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva rideterminato la pena inflitta all’imputato per il reato del tentato falso ideologico per induzione, confermando nel resto la decisione di prime cure. La contestazione ha come oggetto il tentativo dell’imputato, in concorso con altri soggetti, di indurre la commissione per l’esame di idoneità alla patente di guida ad attestare falsamente la veridicità delle risposte fornire nella prova pratica attraverso l’uso di ricetrasmittenti volte a suggerire le risposte. Tali fatti venivano scoperti dalla polizia giudiziaria, subito dopo la consegna delle prove di esame da parte dei canditati. Avverso la pronuncia di merito l’imputato ha proposto ricorso per cassazione. Ipotesi speciale di reato. Con la prima doglianza il ricorrente deduce l’inconfigurabilità del reato in quanto la condotta presunta ingannevole non si sarebbe spinta ad integrare la soglia dell’idoneità degli atti punibili come tentativo . Secondo i Giudici del Palazzaccio deve preliminarmente affermarsi la diversa qualificazione del fatto di reato. Infatti la Suprema Corte ha ritenuto che la condotta posta in essere dall’imputato deve essere riqualificata nel reato di cui all’art. 1, l. n. 475/1925 Repressione della falsa attribuzione di lavori altrui da parte di aspiranti al conferimento di lauree, diplomi, uffici, titoli e dignità pubbliche , quale disciplina speciale rispetto a quella in astratto applicabile per il falso ideologico anche nell’ipotesi di tentativo di reato. In particolare il citato articolo prevede la pena della reclusione da tre mesi ad un anno nei confronti di chiunque presenti come propri lavori di altri in determinati esami e concorsi, ivi compreso l’esame della patente di guida. Inoltre, precisa la Corte che la specialità della ipotesi criminosa prevista dell’art. 1 l. n. 475/1925 rispetto al delitto di truffa tentata è confermata dal fatto che tale norma prevede solo come aggravante della condotta il conseguimento dell’intento, che, nel caso di specie, si sarebbe conseguito se si fosse verificato il superamento positivo della prova. Reato di mera condotta e reato tentato. La Cassazione ha poi precisato che, in ogni caso, la doglianza del ricorrente, secondo cui non fosse neppure raggiunta la soglia del tentativo punibile, è infondata in seguito alla riqualificazione del reato. Infatti la Corte ha ricordato che il delitto previsto dall’art. 1. della l. n. 475/1925 è reato di mera condotta, in relazione al quale, non può in astratto escludersi la configurabilità del tentativo . Nella fattispecie in esame il ricorrente oltre a risultare essere stato trovato in possesso di strumenti per la comunicazione esterna con l’aula di esame, è ritenuto colpevole di aver presentato gli atti della procedure dell’elaborato falsamente formato. Per queste ragioni non vi è spazio neppure per ipotizzare la questione di configurabilità del tentativo, dovendosi, secondo il Supremo Collegio, affermarsi direttamente l’ipotesi di consumato reato. In conclusione la Cassazione pur rilevando la diversa qualificazione del reato come sopra espresso ha ritenuto di annullare la sentenza senza rinvio per intervenuta prescrizione.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 7 dicembre 2017 – 20 aprile 2018, n. 17917 Presidente Vessichelli – Relatore Brancaccio Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento impugnato, la Corte d’Appello di Bari, all’udienza del 15 aprile 2015, in parziale riforma della sentenza del 23 ottobre 2009 del Tribunale di Bari, in composizione monocratica, ha rideterminato la pena inflitta a P.N. in mesi quattro di reclusione, per il reato di tentato falso per induzione, confermando nel resto la sentenza di primo grado. La contestazione si riferisce al tentativo, posto in essere dall’imputato in concorso con altri soggetti rimasti ignoti, di indurre la commissione concorso per l’esame di idoneità al conseguimento della patente di guida ad attestare falsamente la veridicità e genuinità delle risposte fornite al test di ammissione alla prova pratica, attraverso l’utilizzo di apparecchiature elettroniche ricetrasmittenti per contattare ignoti suggeritori . I fatti sono stati scoperti a seguito dell’intervento della polizia giudiziaria deputata al controllo, subito dopo la consegna delle prove d’esame da parte dei candidati. 2. Avverso la sentenza della Corte d’Appello propone ricorso il difensore dell’imputato, enunciando due motivi di ricorso. 2.1. Con il primo motivo, si deduce l’inconfigurabilità del reato, anche se ipotizzato quale tentato falso ideologico, poiché la presunta condotta ingannevole dell’imputato non si sarebbe comunque spinta ad integrare la soglia dell’idoneità degli atti punibile come tentativo. Ed infatti, nonostante il diverso avviso del giudice d’appello, che si è limitato a reiterare il convincimento del giudice di primo grado sul punto, disattendendo il motivo di impugnazione del difensore del ricorrente, la prova d’esame di P. non era stata valutata dalla commissione esaminatrice al momento dell’intervento della polizia giudiziaria, sicché alcuna correzione di essa era avvenuta da parte dei commissari, i quali, pertanto, non potevano essere stati indotti in errore. La prova di ciò sarebbe costituita dalla mancata compilazione della attestazione di superamento del test sulla scheda d’esame del ricorrente, che era stata controllata solo dopo l’intervento della polizia giudiziaria e su sua richiesta. La motivazione contraddittoriamente dà atto di ciò, ma conclude per la configurabilità del tentativo di reato. La condotta del ricorrente, pertanto, concretizza una mera irregolarità amministrativa, cui al più segue l’annullamento della prova e l’esclusione del candidato. 2.2. Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta la mancata applicazione da parte della Corte d’Appello della riduzione di pena per il rito abbreviato, con cui si era celebrato il primo grado di giudizio. In altre parole, la Corte d’Appello ha effettuato solo la rideterminazione della pena per l’ipotesi tentata, dimenticando l’abbattimento della misura della sanzione derivante dal riduzione per il rito abbreviato, già concessa invece dal primo giudice. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato quanto al primo motivo. 2. Deve anzitutto procedersi a rivedere la qualificazione giuridica del fatto di reato, prima di rispondere alla doglianza del primo motivo di ricorso circa la insussistenza dell’ipotesi, sia pur tentata, di falso per induzione. Come correttamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, infatti, la condotta contestata al ricorrente deve essere riqualificata nel reato di cui all’art. 1 della legge 19 aprile 1925, n. 475 cfr. Sez. 5, n. 2740 del 4/10/2016, dep. 2017, Colella, Rv. 268862 negli stessi termini di ragionamento, ma con riferimento al reato previsto dall’art. 2 del medesimo testo normativo, cfr. Sez. 5, n. 26438 del 30/3/2017, Pisanelli, Rv. 270536 , disciplina speciale rispetto a quella in astratto applicabile attinente al reato di falso ideologico, sia pur nell’ipotesi tentata. L’art. 1 della citata legge, infatti, stabilisce Chiunque in esami o concorsi, prescritti o richiesti da autorità o pubbliche amministrazioni per il conferimento di lauree o di ogni altro grado o titolo scolastico o accademico, per l’abilitazione all’insegnamento ed all’esercizio di una professione, per il rilascio di diplomi o patenti, presenta, come propri, dissertazioni, studi, pubblicazioni, progetti tecnici e, in genere, lavori che siano opera di altri, è punito con la reclusione da tre mesi ad un anno. La pena della reclusione non può essere inferiore a sei mesi qualora l’intento sia conseguito. . Sia tale disposizione che quella successiva dell’art. 2, riferita al reato di chi esegue o procura dissertazioni, pubblicazioni, progetti tecnici, e in genere lavori per gli scopi di cui all’articolo 1 cit., prevedono come aggravante della condotta rispettivamente, dei candidati che si sono avvalsi di elaborati altrui e di coloro i quali glieli hanno procurati , il conseguimento dell’intento. Nel caso di specie, l’intento sarebbe stato conseguito se si fosse verificato il positivo superamento della prova di esame per il conseguimento della patente di guida. Come emerge chiaramente dal testo delle norme incriminatrici, le disposizioni richiamate rivestono carattere di specialità rispetto al reato di falso ideologico, in quanto hanno ad oggetto una peculiare tipologia di condotte di falsità, caratterizzata dal contesto di commissione e dalla specificità della finalizzazione concorsi pubblici per il conseguimento di titoli abilitativi o di studio , ed esauriscono l’intero disvalore penale sotteso alla previsione penale. Se ne deduce che non residua spazio alcuno per l’applicazione delle norme relative al falso ideologico per induzione ipotizzate anche nel ricorso dell’imputato, sia pur nella configurazione tentata, qualora l’unica falsità che si tenti di commettere sia quella derivante dalla condotta contemplata nel primo dei due richiamati articoli della legge n. 475 del 1925. Deve pertanto concludersi per l’applicabilità, nella presente fattispecie, del solo disposto dell’art. 1 l. n. 475/1925. Da una risalente pronuncia di questa Corte possono emergere ulteriori argomenti nel senso della specialità delle norme della legge n. 475/1925 rispetto alle disposizioni del codice penale, anche se, nel caso esaminato, si trattava del reato di truffa. Edi infatti, nella pronuncia Sez. 1, n. 1209 del 02/05/1989, Rv. 181459, si è affermata la specialità delle ipotesi criminose previste dagli artt. 1 e 2 della legge 19 aprile 1925, n. 475 rispetto al delitto di truffa tentata proprio perché tali norme prevedono l’ipotesi aggravata quando l’intento, il superamento del concorso o dell’esame , venga conseguito. Peraltro, anche quando la Cassazione ha affermato la possibilità di concorso tra la fattispecie speciale in esame e alcuni reati di falso previsti dal codice penale Sez. 5, n. 4726 del 15/04/1986, Saracino, Rv. 172930 Sez. 6, n. 37240 del 11/07/2014, Caruso, Rv. 260332 non ha smentito la tesi qui sostenuta, essendosi ammessa la possibilità di concorso formale nel caso in cui le ipotesi previste dalla legge speciale non esauriscono il disvalore penale della condotta in quanto la presentazione di un elaborato non proprio si realizza attraverso anche ulteriori, diverse condotte di falso. Quanto all’obiezione difensiva secondo cui non si sarebbe raggiunta, in ogni caso, neppure la soglia del tentativo punibile, sia pur in relazione al reato ipotizzato di falso ideologico, deve ritenersi la sua manifesta infondatezza, anche rapportandola alla corretta qualificazione dei fatti sopradetta. La deduzione risulta anzitutto inammissibile, perché rivolta ad ottenere dalla Corte di legittimità una rivalutazione, non consentita ex multis, cfr. Sez. U, n. 6402 del 30/4/1997, Dessimone, Rv. 207944 Sez. U, n. 16 del 19/6/1996, Di Francesco, Rv. 205621 e, tra le più recenti, Sez. 4, n. 47891 del 28/9/2004, Mauro, Rv. 230568 nonché, vedi Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482 Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507 , di elementi di fatto già accertati nei precedenti giudizi di merito, poiché, anche a seguito della modifica apportata all’art. 606, lett. e , cod. proc. pen. dalla l. n. 46 del 2006, si afferma costantemente la non deducibilità, nel giudizio di legittimità, del travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito cfr., tra le altre, Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, Minervini, Rv. 253099 Sez. 5, n. 39048 del 25/9/2007, Casavola, Rv. 238215 . Tale accertamento, peraltro, è avvenuto in modo sovrapponibile, nell’ambito di due pronunce di merito conformi ed è, quindi, valutabile, in sede di legittimità, solo sotto alcuni, limitati profili anche in relazione al vizio di travisamento della prova e cioè in caso di dati probatori esaminati per la prima volta solo dal giudice d’appello e non da quello di primo grado, ovvero di giudizi di merito che siano incorsi, in entrambi i gradi, nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in una forma talmente macroscopica e di manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti cfr. Sez. 4, n. 44765 del 22/10/2013, Buonfine, Rv. 256837 . È evidente che tali condizioni siano del tutto mancanti nel caso di specie, in cui è lo stesso ricorrente, sostanzialmente, a non negare che l’elaborato fosse stato svolto effettivamente e consegnato, deducendosi solo, per escludere il raggiungimento della soglia del tentativo, la sua avvenuta correzione da parte della commissione d’esame correzione mancata, peraltro, solo in ragione dell’intervento del personale di vigilanza che aveva notato la stranezza dell’abbigliamento indossava una felpa nonostante il clima molto caldo e dell’atteggiamento del ricorrente nell’ambito della prova pubblica si copriva spesso la bocca con la mano destra bisbigliando parole . In ogni caso, essa sarebbe infondata, alla luce della riqualificazione giuridica del fatto di reato pocanzi svolta, essendo evidente che la disposizione di cui all’art. 1 della legge n. 475 del 1925 richiede la mera presentazione , alla commissione d’esame o di concorso, dell’elaborato come elemento sufficiente a ritenere la stessa configurabilità dell’ipotesi consumata del reato in parola, che è fattispecie di mera condotta, non essendo, invece, necessaria anche la correzione di esso. Già in passato, peraltro, si era precisato che il delitto previsto dall’art. 1 della legge 19 aprile 1925, n. 475 è reato di mera condotta, in relazione al quale, non può in astratto escludersi la configurabilità del tentativo, sempre che siano stati commessi atti univoci. Nella specie il tentativo era stato escluso per la mancanza dell’univocità degli atti posti in essere, consistiti nel mero possesso, da parte di alcuni candidati all’esame di abilitazione alla professione di procuratore legale, di un telefono cellulare, del quale non si erano ancora serviti al momento in cui erano stati scoperti. Nel caso del ricorrente, invece, non soltanto egli risulta pacificamente essere stato trovato in possesso di strumenti per la comunicazione esterna all’aula concorsuale un trasmettitore dotato di antenna, collegato ad una ricetrasmittente, posizionati direttamente sul corpo utilizzando nastro adesivo medicale e notato in atteggiamenti palesemente indicativi di dialogo con terzi suggeritori , sebbene non individuati, ma gli si addebita la presentazione vera e propria agli atti della procedura dell’elaborato falsamente formato, sicché non residua spazio neppure per ipotizzare questione di configurabilità del tentativo, dovendosi far riferimento direttamente all’ipotesi consumata di reato. 3. Il secondo motivo di ricorso sarebbe fondato e dovrebbe essere accolto, poiché effettivamente il calcolo della pena effettuato dal giudice d’appello non ha tenuto conto della riduzione per il rito abbreviato, ammesso in primo grado. Tuttavia, esso rimane assorbito dalla statuizione di intervenuta prescrizione che deve essere dichiarata. Ed infatti, il reato, come riqualificato, risulta prescritto, poiché, in assenza di periodi di sospensione, la causa di estinzione per decorso del tempo risulta maturata alla data del 8 aprile 2017. Tale esito non sarebbe mutato, peraltro, anche se si fosse ritenuta sussistente l’ipotesi di reato del tentativo di falso ideologico per induzione, poiché la condotta concreta posta in essere dal ricorrente basta a far escludere la sussistenza delle condizioni di cui all’art. 129 cod. proc. pen., necessarie per procedere ad un’assoluzione nel merito, anche in relazione a tale reato risulta evidente, infatti, come i suoi comportamenti, descritti nelle sentenze di merito, abbiano evidenziato ragioni consistenti nel senso di far ritenere la loro idoneità ed univoca direzione alla consegna di un elaborato falso alla commissione d’esame. Del resto, la rilevata inammissibilità dei motivi attinenti all’alternativa ricostruzione dei fatti proposta dal ricorrente non avrebbe neppure consentito una rivalutazione della vicenda per poter arrivare ad una differente decisione nei termini pienamente liberatori dalla responsabilità penale. P.Q.M. Qualificato il fatto come reato ai sensi dell’art. 1 L. n. 475/1925, annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere lo stesso estinto per prescrizione.