Corruzione in atti giudiziari: se non c’è promessa di denaro il fatto non sussiste

L’accordo intervenuto tra consulente tecnico d’ufficio e avvocato di controparte al fine della nomina di un consulente tecnico di parte predeterminato, allo scopo ultimo di far coincidere le due relazioni, non configura il reato di corruzione in atti giudiziari laddove difetti l’elemento della dazione o promessa di denaro o altra utilità.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 17523/18, depositata il 18 aprile. La vicenda. La Corte d’Appello di Salerno dichiarava non luogo a procedere nei confronti di tre imputati per concorso in fronde processuale art. 374 c.p. perché il fatto non sussiste. In particolare era stato contestato al consulente tecnico d’ufficio, nominato in un processo civile, di aver contattato l’avvocato di una delle parti affinchè nominasse come consulente tecnico di parte un determinato soggetto, in modo tale da accordarsi con lo stesso e far coincidere le due relazioni. Il giudice riteneva non sussistente il fatto ai sensi dell’art. 374, ma nemmeno ai sensi dell’art. 374- bis c.p. in quanto l’accordo si era arrestato ad una mera fase preliminare mai concretizzatasi. Il Procuratore Generale ricorre in cassazione per la mancata riqualificazione giuridica del fatto ex art. 319- ter c.p. Corruzione in atti giudiziari . Sussistenza del reato. Premettendo che lo jus variandi in punto di qualificazione giuridica è potere tipico del giudice in ogni fase e grado del procedimento, mentre lo jus variandi in punto di fatto resta confinato nel potere esclusivo del PM, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso. Ed infatti la fattispecie di corruzione in atti giudiziari ha struttura ed elementi costitutivi diversi dai reati di cui agli artt. 374 e 374- bis c.p., tanto che la giurisprudenza di legittimità ritiene che tra le suddette fattispecie non ricorra né un’ipotesi di concorso formale, né tantomeno di concorso apparente di norme coesistenti, attesa la diversità ontologica e strutturale dei reati e la diversità del bene giuridico tutelato . Ciò posto, in tema di attività peritale o di consulenza giuridica nell’ambito di un procedimento giudiziario, la giurisprudenza riconosce pacificamente, ove la stessa sia consapevolmente resa in senso difforme dalla realtà, un atto contrario ai doveri d’ufficio commesso dal pubblico ufficiale. Si tratta infatti di attività che concorre funzionalmente all’esercizio della funzione giudiziaria. Proseguendo nelle proprie argomentazioni, il Collegio ricorda il parimenti consolidato principio secondo cui il delitto di corruzione in atti giudiziari si consuma anche con la sola accettazione della promessa di denaro o di altra utilità da parte del pubblico ufficiale indipendentemente dalla realizzazione del vantaggio perseguito e dalla legittimità dell’atto richiesto al pubblico ufficiale purché lo stesso risulti, comunque, confluente in un atto giudiziario destinato ad incidere negativamente sulla sfera giuridica di un terzo . Applicando tali principi al caso di specie, risulta carente l’elemento costitutivo del reato in parola relativo alla promesso o alla dazione di denaro o altra utilità. Non è infatti stata contestata agli imputati la natura di emolumento economico dell’accordo. Per questa ragione, non è altrettanto configurabile il reato di intralcio alla giustizia che presuppone comunque l’offerta o la promessa di denaro o altra utilità.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 13 febbraio – 18 aprile 2018, n. 17523 Presidente Mogini – Relatore Calvanese Ritenuto in fatto 1. Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Salerno ricorre per l’annullamento della sentenza, in epigrafe indicata, nella parte in cui ha dichiarato non luogo a procedere nei confronti di B.G. , C.R. e Co.Gi. per il reato di cui agli artt. 110 e 374 cod. pen. perché il fatto non sussiste. Agli imputati era stato contestato di aver il B. , quale consulente tecnico d’ufficio, nominato in un processo civile, contattato il difensore di una delle parti processuali, l’avv. C.R. , affinché la stessa nominasse come consulente tecnico di parte Co.Gi. , con il quale poi si accordava in modo che le due relazioni venissero a coincidere reato commesso nel luglio 2012 . Secondo il Giudice, la stessa contestazione confermata dalle risultanze investigative prevedeva un mero accordo preliminare intercorso tra le parti, al quale non erano seguiti il deposito della relazione peritale da parte del B. e la nomina del Co. quale consulente tecnico di parte la condotta pertanto non poteva configurare né il reato di cui all’art. 374 cod. pen. né quello di cui all’art. 374-bis cod. pen. In ordine alla fattispecie di frode processuale invero difettava la immutazione richiesta dalla norma penale, mentre per la configurabilità del secondo reato era pur sempre necessaria la predisposizione di una falsa relazione destinata ad essere prodotta all’A.G. 2. Nel ricorso si deduce la violazione di legge, con riferimento agli artt. 425, 521 e 522 cod. proc. pen., in ordine alla mancata riqualificazione giudica del fatto nel reato ex art. 319-ter cod. pen. Il Giudice dell’udienza preliminare, pur dando per accertato l’accordo intervenuto tra gli imputati al fine di alterare le risultanze processuali, attraverso la redazione del Co. di una relazione concordata, non avrebbe provveduto all’esatta qualificazione giuridica del fatto che è consentita anche nella fase dell’udienza preliminare , di cui ricorrevano ictu oculi tutti gli elementi, già contestati nell’imputazione la qualifica soggettiva del B. , quale consulente tecnico di ufficio, l’accordo corruttivo, il dolo specifico, la violazione da parte del B. dei doveri di ufficio nella specie quelli di cui all’art. 193 cod. proc. civ. , l’utilità che il B. avrebbe tratto dall’operazione essere in credito il B. con l’avvocato per futuri vantaggi o comunque avvantaggiare la parte difesa dalla C. . Il difensore di B.G. ha fatto pervenire il 5 febbraio 2018 una memoria difensiva, in cui sostiene da un lato come non sia possibile la modificazione a sorpresa dell’imputazione, alterandone gli elementi strutturali, ovvero introducendo un quid pluris, il vantaggio tanto in capo al corrotto che al corruttore, dall’altro l’inesistenza giuridica del reato che si intende configurare, tenuto conto della mancata redazione dell’elaborato. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito illustrate. 2. Va ribadito che lo jus variandi in punto di diritto è potere tipico del giudice che, in ogni fase e grado del procedimento, ha il potere-dovere di attribuire al fatto per cui si procede l’esatta qualificazione giuridica, senza che ciò incida sull’autonomo potere - riservato in via esclusiva al pubblico ministero - di modificare il fatto contestato e di procedere alla nuova contestazione, quando esso risulti diverso da come è descritto nell’imputazione. Anche il giudice dell’udienza preliminare, pur nel silenzio del codice sul punto, ha il potere di qualificare diversamente il fatto con la conseguenza che il decreto di rinvio a giudizio adottato non può qualificarsi atto abnorme in relazione alla diversa qualificazione, la quale costituisce espressione di legittimo esercizio di un potere riconosciuto dalla legge Sez. 6, n. 28262 del 10/05/2017, Tosi, Rv. 270521 Sez. 6, n. 3658 del 16/11/1998, Carlutti, Rv. 212688 . La riqualificazione giuridica dello stesso si realizza peraltro attribuendo l’esatto nomen juris ad un episodio che deve rimanere invariato nei suoi tratti caratterizzanti. Lo jus variandi in punto di fatto è infatti potere esclusivo del pubblico ministero, trattandosi di prerogativa inerente all’esercizio dell’azione penale e nel corso dell’udienza preliminare si attua con la modifica del fatto contestato, disciplinata dall’art. 423 cod. proc. pen. - disciplina estesa, dalla stessa legge, al reato connesso per continuazione o concorso formale ed all’elevazione di una circostanza aggravante - ovvero con la contestazione del fatto nuovo , regolata dall’art. 423, comma 2, cod. proc. pen. Univoca nella giurisprudenza di legittimità è definizione di fatto nuovo , scandagliata precipuamente con riguardo alla ipotesi di cui all’art. 518 cod. proc. pen., nozione che sta ad indicare un fatto ulteriore ed autonomo rispetto a quello contestato, ossia un episodio storico che non si sostituisce ad esso, ma che eventualmente vi si aggiunge, affiancandolo quale autonomo thema decidendum Sez. 6, n. 6987 del 19/10/2010, dep. 2011, N., Rv. 249461 . Tale definizione, che rimanda al fatto come episodio storico, viene più volte richiamata in contrapposizione a quella più elastica, di fatto diverso . Per fatto diverso, deve intendersi non solo un fatto che integri una imputazione diversa, restando esso invariato, ma anche un fatto che presenti connotati materiali difformi da quelli descritti nella contestazione originaria, necessaria una puntualizzazione nella ricostruzione degli elementi essenziali del reato Sez. 2, n. 18868 del 10/02/2012, Osmenaj, Rv. 252822 . Ciò che rileva, si è precisato, ai fini della violazione del diritto di difesa in rapporto al principio di correlazione ex art. 521 cod. proc. pen. Sez. 6, 21/10/2005 n. 12175, Tarricone, Rv. 231483 - ma non vi è ragione per non estendere la portata di tale principio anche alla fase dell’udienza preliminare - è l’apprezzamento nella concretezza della situazione processuale e non già in astratto, poiché, la modifica del fatto di rilievo è solo quella che modifica radicalmente la struttura della contestazione, in quanto sostituisce il fatto tipico, il nesso di causalità e l’elemento psicologico del reato, e, per conseguenza di essa, l’azione realizzata risulta completamente diversa da quella contestata, al punto da essere incompatibile con le difese apprestate dall’imputato per discolparsene. Mentre, non si ha mutamento del fatto allorché il fatto tipico sia rimasto identico a quello contestato nei suoi elementi essenziali e sia stato connotato dallo stesso contesto referenziale e storico ed in un ambito in cui l’imputato ha potuto per intero spendere, senza alcuna menomazione del suo diritto di difesa, tutti gli interventi utili a sostenere la propria estraneità ai fatti criminosi stimati nel loro insieme. 3. Alla luce di queste premesse, deve escludersi che, nel caso di specie, la trasformazione dell’imputazione indicata dal ricorrente resti confinata nella diversa qualificazione giuridica del fatto contestato. L’ipotesi corruttiva di cui all’art. 319-ter cod. pen. ha struttura ed elementi costitutivi radicalmente diversi dai reati di cui agli artt. 374 e 374-bis cod. pen., tanto che la giurisprudenza di legittimità ritiene che tra le suddette fattispecie non ricorra né un’ipotesi di concorso formale, né tantomeno di concorso apparente di norme coesistenti, attesa la diversità ontologica e strutturale dei reati e la diversità del bene giuridico tutelato Sez. 5, n. 10443 del 26/10/2011, dep. 2012, Mottola, Rv. 252001 . Va a tal riguardo rammentato che costituisce principio pacifico che anche l’attività peritale o di consulenza d’ufficio sia disposta dal giudice civile che dal pubblico ministero nel processo penale svolta nell’ambito di un procedimento giudiziario ove sia resa consapevolmente in senso difforme dalla realtà costituisce un atto contrario ai doveri d’ufficio commesso dal pubblico ufficiale Sez. 6, n. 2675 del 05/12/1995, dep. 1996, Tauzilli, Rv. 204516 Sez. 6, n. 4062 del 07/01/1999, Pizzicaroli, Rv. 214142 Sez. U, n. 51824 del 25/09/2014, Guidi, in motivazione, § 3 , in quanto concorre funzionalmente all’esercizio della funzione giudiziaria e, se oggetto di un accordo corruttivo, può costituire condotta del reato di corruzione in atti giudiziari previsto dall’art. 319-ter cod. pen., cfr. Sez. 6, n. 19803 del 22/01/2009, Noviello, Rv. 244262 Sez. 6, n. 19143 del 29/01/2009, Di Maio, Rv. 243666 cfr. Sez. U, n. 15208 del 25/02/2010, Mills, Rv. 246582 . È parimenti principio ampiamente consolidato che il delitto di corruzione in atti giudiziari si consuma anche con la sola accettazione della promessa di denaro o di altra utilità da parte del pubblico ufficiale indipendentemente dalla realizzazione del vantaggio perseguito dal corruttore e dalla legittimità dell’atto richiesto al pubblico ufficiale purché lo stesso risulti, comunque, confluente in un atto giudiziario destinato ad incidere negativamente sulla sfera giuridica di un terzo tra le tante, Sez. 6, n. 5264 del 26/01/2016, Bindi, Rv. 265842 cfr. Sez. U, n. 15208 del 25/02/2010, Mills, Rv. 246583 . Orbene, venendo al caso in esame, come si evince agevolmente dal capo di imputazione, nella descrizione della condotta antigiuridica difetta l’elemento costitutivo del reato di cui all’art. 319-ter cod. pen. della promessa o della dazione di denaro o di altre utilità, oggetto dell’accordo. Invero, non è stato contestato agli imputati che l’accordo prevedesse che l’atto di ufficio fosse oggetto di mercimonio. Per la medesima ragione non è viepiù neppure configurabile il reato di intralcio alla giustizia, che presuppone pur sempre l’offerta o la promessa di denaro o di altra utilità, volta al condizionamento dell’attività del perito. 4. Sulla base delle considerazioni ora espresse, il ricorso va quindi dichiarato inammissibile, per la manifesta infondatezza dei motivi. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso del Pubblico Ministero.