Furto in campagna: il magro bottino esclude la condanna

Il ladro è stato fermato dopo avere prelevato una melanzana dal campo di un contadino. Smentita in Cassazione la visione adottata in Tribunale e in Appello evidente la modestissima offensività della condotta.

Colpo gobbo nel terreno di un contadino. Il bottino però è davvero magro solo una melanzana. Va esclusa perciò la condanna del ladro Cassazione, sentenza n. 12823/2018, Sezione Quinta Penale, depositata oggi . Offensivit à . Chiara la contestazione mossa al ladro di campagna furto aggravato , secondo i Giudici del Tribunale, poi rivalutato dai Giudici della Corte d’Appello come solo tentato . A prescindere dalla lettura dell’episodio, facilmente ricostruito, l’uomo sotto accusa viene ritenuto colpevole. Fatale l’essersi fermato in un campo coltivato e avere sottratto una melanzana . La pronuncia di condanna viene però contestata dal difensore col ricorso in Cassazione. Una melanzana non fa l’uomo ladro. L’avvocato punta soprattutto alla non punibilità per particolare tenuità del fatto e a questo scopo evidenzia che il suo cliente ha agito certamente per soddisfare un bisogno alimentare della propria famiglia, avendo cercato di rubare un solo ortaggio e non altra parte del potenziale raccolto . La visione proposta dal legale viene accolta, seppur in parte, dai Giudici del ‘Palazzaccio’. Questi ultimi osservano che lo stato di necessità non può emergere dalle sole caratteristiche della refurtiva e aggiungono che lo stato di indigenza non è ex se idoneo a comprovare l’inevitabilità del pericolo richiamato dallo stato di necessità , anche perché è comunque consentito il ricorso a forme di assistenza sociale . Allargando l’orizzonte, però, i magistrati ritengono evidente la modestissima offensività del delitto tentato, e ciò legittima l’applicazione dell’articolo 131- bis c.p Ciò significa che l’uomo beccato a provare a rubare una melanzana non può essere punito, vista la particolare tenuità del danno da lui arrecato al contadino.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 2 novembre 2017 – 20 marzo 2018, n. 12823 Presidente Fumo – Relatore Micheli Ritenuto in fatto Il difensore di Si. Sa. ricorre avverso la pronuncia indicata in epigrafe, recante la parziale riforma della sentenza emessa il 15/03/2013, nei confronti del suo assistito, dal Tribunale di Lecce. La declaratoria di penale responsabilità dell'imputato riguarda un addebito di furto relativo ad una melanzana, prelevata da un campo coltivato da D. G. la Corte territoriale ha riqualificato il fatto in rubrica nella ipotesi tentata, con conseguente rideterminazione in melius del trattamento sanzionatorio. La difesa deduce la violazione degli artt. 131-bis e 54 cod. pen., in quanto la Corte di appello avrebbe escluso l'applicabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto in ragione delle previsioni edittali di pena per la contestazione di furto aggravato, senza però considerare che per effetto della derubricazione nella corrispondente fattispecie tentata la massima pena detentiva irrogabile risultava pari a 4 anni di reclusione, ergo inferiore al limite di legge il Sa. aveva certamente agito per soddisfare un bisogno alimentare della propria famiglia contrariamente a quanto rilevato dai giudici di merito, secondo cui il ricorrente non aveva dimostrato di versare in stato di indigenza, i presupposti della causa di giustificazione prevista dall'art. 54 cod. pen. emergevano ictu oculi, avendo l'imputato cercato di rubare un solo ortaggio e non altra parte del potenziale raccolto. Considerato in diritto Il ricorso è fondato. L'invocato stato di necessità non può emergere dalle sole caratteristiche della refurtiva nella sentenza impugnata, correttamente, si afferma altresì che lo stato di indigenza non è ex se idoneo a comprovare la inevitabilità del pericolo sotteso alla scriminante prevista dall'art. 54 cod. pen., essendo comunque consentito il ricorso a forme di assistenza sociale è tuttavia innegabile che il delitto tentato de quo presenti una modestissima offensività, si da rendere certamente operante l'istituto di cui all'art. 131-bis cod. pen. La Corte leccese, sul punto, è incorsa in una evidente svista, avendo escluso già in astratto la necessità di una verifica della particolare tenuità a causa del limite edittale di 6 anni di reclusione previsto per la fattispecie di reato così come in epigrafe circostanziata, ininfluente restando a tal fine il giudizio di bilanciamento ex art. 69 cod. pen. in favore del Sa. era stata riconosciuta, come ovvio, l'attenuante di cui all'art. 62, n. 4, cod. pen. nell'immediatamente successivo sviluppo della motivazione, però, gli stessi giudici di appello hanno reputato ravvisabili gli estremi del tentativo, non avvedendosi della conseguente riduzione del massimo della pena, da 6 a 4 anni di reclusione. Tanto precisato, ci si trova dinanzi ad una condotta da ritenere occasionale vero è che il Sa. risulta gravato da pregresse condanne per fatti comunque risalenti, non posteriori al 2000 , ma la nozione di comportamento abituale, da tenere presente ai fini dell'applicazione della causa di esclusione della punibilità in argomento, non può essere assimilata a quella della recidiva, che opera in un ambito diverso ed è fondata su un distinto apprezzamento v. Cass., Sez. VI, n. 26867 del 28/03/2017, Sciammacca . Non vi sono, pertanto, ragioni ostative ad una pronuncia liberatoria ai sensi del più volte ricordato art. 131-bis cod. pen., cui può provvedere direttamente il giudice di legittimità ex art. 620, lett. I , del codice di rito un eventuale rinvio si palesa infatti superfluo, giacché la Corte di merito ha già affermato che il fatto ascritto all'odierno ricorrente presenta caratteristiche ai limiti dell'offensività della condotta . P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non è punibile ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen.