Il dipendente di Autostrade per l’Italia può essere imputato per corruzione?

In applicazione dell’art. 320 c.p. nel testo precedente alle modifiche di cui alla l. n. 190/2012, la Corte di legittimità esclude che il dipendente di Autostrade per l’Italia possa essere condannato per corruzione difettando la qualifica di pubblico impiegato.

Così ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 10759/18, depositata il 9 marzo. Il caso. La pronuncia in oggetto nasce dall’imputazione di un dipendente della società Autostrade per l’Italia per il reato di concussione – reato riqualificato poi quale corruzione – per aver consegnato due buste contenenti ognuna 11mila euro ad altrettanti consiglieri comunali ai fini dell’ottenimento in tempi rapidi dell’autorizzazione necessaria all’espletamento di alcuni lavori di costruzione/ampliamento di un tratto stradale. La pena inflitta in prime cure veniva solo parzialmente riformata dalla Corte d’Appello di Milano che disponeva inoltre la sospensione condizionale. L’imputato ricorre per la cassazione della pronuncia dolendosi, in sostanza e per quanto qui d’interesse, dell’assenza dell’elemento soggettivo del reato non potendo egli qualificarsi come incaricato di pubblico servizio”, non potendo allo stesso modo considerarsi organismo di diritto pubblico la società Autostrade per l’Italia. Qualifica soggettiva. Il ricorso si rivela fondato. Come sottolinea il Collegio, la Corte d’Appello ha affermato al responsabilità del ricorrente per il reato di corruzione qualificandolo come incaricato di pubblico servizio e non pubblico ufficiale come prospettato dall’accusa ma così facendo ha trascurato la circostanza per cui il fatto contestato era stato commesso nel vigore dell’art. 320 c.p. nella versione precedente all’intervento legislativo della l. n. 190/2012. La norma applicabile ratione temporis prevedeva che le disposizioni dell’art. 318 si applicano anche se il fatto è commesso da persona incaricata di pubblico servizio, qualora rivesta la qualità di pubblico impiegato . Nella versione attuale, la norma non richiede più che, ai fini dei reati di cui agli artt. 318 e 319 c.p., l’incaricato di pubblico servizio sia anche pubblico impiegato. Dovendo dunque applicarsi al caso di specie il testo vigente prima delle modifiche apportate dalla l. n. 190/2012, la Corte ribadisce che non è configurabile il delitto di corruzione per atto di ufficio ai sensi dell’art. 318 c.p. nei confronti del dipendente di una società di gestione di una tratta autostradale perché, pur rivestendo egli la qualifica di incaricato di pubblico servizio, non può essere considerato un pubblico impiegato. Precisa inoltre la Corte che la nozione di pubblico impiegato implica un legame tra il soggetto e lo Stato o altro ente pubblico caratterizzato da un provvedimento amministrativo di nomina e da un rapporto di lavoro subordinato, e non è influenzata dai mutamenti intercorsi sul terrone del rapporto di lavoro pubblico per effetto della c.d. privatizzazione del pubblico impiego di cui al d.lgs. n. 29/1993 e successive modifiche . In conclusione, escludendo ogni dubbio sulla qualifica soggettiva del ricorrente, la Corte di Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata con la formula perché il fatto non sussiste .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 1 febbraio – 9 marzo 2018, n. 10759 Presidente Carcano – Relatore Capozzi Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Milano, a seguito di gravame interposto dall’imputato P.G. avverso la sentenza emessa il 10.3.2015 dal locale Tribunale, in parziale riforma della decisione ha rideterminato la pena inflitta al predetto, disponendone la sospensione condizionale, riconoscendo la responsabilità del predetto in ordine al reato di cui all’ art. 318 comma 1 cod. pen., così riqualificata - sin dalla prima sentenza l’originaria imputazione di concussione di cui al capo 3 . 2. Come emerge dalla ricostruzione dei Giudici di merito la vicenda riguarda l’ottenimento in tempi rapidi da parte dell’ANAS - tramite la società Autostrade per l’Italia - dell’autorizzazione richiesta dalla società Iniziative Immobiliari srl - facente capo, tra gli altri, a G.F. , consigliere comunale di omissis e M.C. , imprenditore - per la costruzione/ampliamento in fascia di rispetto autostradale di una strada di accesso al polo produttivo del Comune di e la realizzazione di opere connesse al suddetto progetto urbanistico. In tale contesto si inseriscono i ruoli degli imputati P.G. e B.V. che, dipendenti della società Autostrade ed addetti alla istruttoria diretta alla determinazione finale e quali pubblici ufficiali hanno indotto G.F. e M.C. a consegnare loro due buste contenenti rispettivamente 11.000,00 Euro per ottenere in tempi rapidi la detta autorizzazione. 3. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato che, con atto del difensore, deduce 3.1. Inosservanza dell’art. 2 cod. pen. ed erronea applicazione dell’art. 320 cod. pen. avendo la Corte di appello omesso di applicare, nella specie, la previgente formulazione dell’art. 320 cod. pen. che implicava la verifica dell’elemento previsto in tale norma della esistenza di un rapporto di pubblico impiego in capo al ricorrente. 3.2. Mancata assunzione di prova decisiva in relazione all’omesso esame del teste dott. M. indicato nei motivi di appello ed omessa valutazione della documentazione prodotta all’udienza del 7.11.2016. La testimonianza del consulente del lavoro, in particolare, avrebbe chiarito il rapporto di impiego tra il ricorrente e la Società Autostrade per l’Italia, esigenza conseguita alla diversa qualificazione del fatto in primo grado. La documentazione avrebbe provato che il ricorrente non rivestiva la qualità di pubblico impiegato, essendo il rapporto di lavoro di natura del tutto privatistica, non essendosi - per di più- svolto alcun concorso per l’assunzione. 3.3. Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, anche per travisamento della prova, in relazione alla ritenuta qualifica di organismo di diritto pubblico della società Autostrade per l’Italia s.p.a. e della qualità di incaricato di pubblico servizio del ricorrente. La Corte di appello ha omesso di valutare la documentazione prodotta sin dal primo grado dalla difesa, in assenza della produzione da parte dell’Accusa, alla quale incombeva l’onere, del contratto di concessione stipulato con l’Anas il 12.10.2007 sul quale si fa leva ai fini in esame. Risultano travisate le prove - segnatamente la testimonianza dell’ing. Ma. e le dichiarazioni dell’imputato - che escludevano in capo al ricorrente il compito di esprimere un parere discrezionale, incombendogli solo una mansione tecnica in sede di sopralluogo, tenuto conto del ruolo determinante che aveva, da un lato, l’istruzione preliminare del Tronco Milanese in relazione alla formazione del provvedimento finale e, dall’altro la discrezionalità riconosciuta all’ANAS. 3.4. Inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità artt. 63 e 210 cod. proc. pen. e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla posizione processuale del teste della pubblica accusa C.M. . La quale non può essere mutata - secondo quanto assume la Corte di appello - solo all’esito della valutazione del primo Giudice che ne avrebbe individuato la posizione di compartecipe nel medesimo reato. Al contrario - come aveva dedotto la difesa nel corso del dibattimento - detta posizione era emersa sin dalla fase delle indagini preliminari ed erroneamente - in violazione degli obblighi a riguardo espressi dalla conforme giurisprudenza di legittimità - i Giudici di merito non avevano riconosciuto in capo al C. la sussistenza di indizi di reità sia in relazione al medesimo reato che a reati connessi v. memorie depositate all’udienza del 25.2.2014 e 23.10.2014 . Pertanto, erroneamente il C. è stato sentito come teste e le relative dichiarazioni risultano colpite da inutilizzabilità. 3.5. Inosservanza degli artt. 195 e 526 cod. proc. pen Il C. , rivelando il contenuto delle affermazioni fatte da M. e G. in occasione dell’ipotetico accordo, riveste la posizione di teste de relato, le cui dichiarazioni avrebbero necessitato - a pena di inutilizzabilità - della conferma della fonte diretta, nella specie non ottenuta perché i coimputati si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. E la prova di resistenza conduce alla assenza di prova del presunto pactum sceleris che solo sulle dichiarazioni del C. si fonda. 3.6. Inosservanza dell’art. 192 cod. proc. pen. e vizio della motivazione in ordine alla valutazione della prova testimoniale del C. , in ordine alla quale è stato omesso qualsiasi vaglio di attendibilità nonostante i numerosi elementi emersi che la inficiavano. La doglianza a riguardo espressa con il secondo motivo di appello non ha trovato riscontro nella motivazione della sentenza impugnata. 3.7. Violazione degli artt. 191 e 546 cod. proc. pen. in relazione alla utilizzazione ai fini della decisione di prove documentali non legittimamente acquisite in particolare, si tratta dei documenti prodotti dal P.M. alla udienza del 17.7.2014 estratti da internet in ordine ai quali non risulta essere mai stata sciolta la riserva di acquisizione da parte del Tribunale e sulla quale, ciononostante, si è fondata la decisione di primo grado. Investita della questione, la Corte di appello ha espresso una risposta non congruente che fa leva sulla qualità dell’atto ai sensi dell’art. 234 cod. proc. pen., senza considerare l’assenza di un legittimo provvedimento di acquisizione. 3.8. Violazione degli artt. 125,192,546 cod. proc. pen. e vizio della motivazione in relazione alla omessa valutazione di prove introdotte dalla difesa e per travisamento delle intercettazioni telefoniche. La Corte ha attribuito a due conversazioni un contenuto ritenuto riferito a dazioni di denaro, in assenza di un chiaro riferimento due buste con n. 11 copie e nonostante la difesa avesse prodotto documentazione proveniente dalla Società Autostrade secondo la quale la Società Immobiliare srl ebbe a depositare ben undici documenti alla predetta società Autostrade, con congruo riferimento alle captazioni. 3.9. Omessa motivazione in relazione al secondo motivo di appello relativo alla valutazione della deposizione C. , in ordine al quale non sono stati considerati i molteplici profili proposti. 3.10. Inosservanza degli artt. 62bis, 132 e 133 cod. pen La Corte di appello ha rinviato alla prima decisione senza autonoma valutazione a riguardo ed escludendo le attenuanti generiche erroneamente sulla base dell’intensità del dolo che non è previsto dall’art. 62bis cod. pen. e sulla mancata collaborazione dell’imputato, non riscontrabile nella specie. 4. Con motivi nuovi si deduce 4.1. Violazione dell’art. 590 cod. proc. pen. in relazione alla omessa trasmissione alla Corte di legittimità adita della perizia trascrittiva delle intercettazioni telefoniche e dei verbali di udienza integrali redatti a seguito di fonoregistrazione, la cui mancanza in atti frustra la fondatezza dei motivi dedotti. La richiesta di integrazione rivolta dalla difesa alla cancelleria del giudice a quo risulta inevasa e, pertanto, la stessa difesa deposita la predetta documentazione processuale, in funzione della verifica dei motivi proposti pure indicati nell’atto difensivo. 4.2. Intervenuta prescrizione del reato. Si segnala l’indicazione della data di prescrizione al 18.12.2016 alla quale - secondo le annotazioni presenti sul fascicolo di ufficio - sarebbero aggiunti gg. 90+90 ex art. 544 c.p.p. , osservando che né detta ultima previsione né l’art. 159 cod. pen. prevede una causa di sospensione della prescrizione pari a 90 giorni per il deposito della motivazione della sentenza. In assenza di qualsiasi altra ipotesi di sospensione si evidenzia come per il reato ascritto al ricorrente si è verificata la prescrizione alla data del 20.2.2017. 5. All’udienza del 18.7.2017 questa Corte ha disposto rinvio della trattazione per adesione del difensore all’astensione di categoria dalle udienze. Ritenuto in diritto 1. Il ricorso è fondato sull’assorbente primo motivo. 2. La Corte di appello ha affermato la responsabilità del ricorrente in ordine al reato di cui all’art. 318 cod. pen. ascrittogli, qualificando la qualità da esso rivestita, ritenendolo incaricato di pubblico servizio e non pubblico ufficiale - come ipotizzato dall’accusa - essendo incardinato nell’ambito di una società che è ente pubblico in quanto persegue interessi pubblici, ma essendogli estranei poteri autoritativi o certificativi v. pg. 16 della sentenza impugnata . 3. Nell’operare detta riqualificazione soggettiva non ha considerato la circostanza secondo la quale il fatto risultava commesso mentre era vigente la disciplina dell’art. 320 cod. pen. anteriormente alla modifica intervenuta con l’art. 1 comma 75 lett. l della legge 6 novembre 2012 n. 190. Secondo questa previgente disciplina le disposizioni dell’art. 318 si applicano anche se il fatto è commesso da persona incaricata di un pubblico servizio, qualora rivesta la qualità di pubblico impiegato . Non v’è dubbio che, trattandosi di elemento costitutivo del reato, ai sensi dell’art. 2 cod. pen., debba essere applicata tale previgente disciplina e non la più estesa ipotesi sopravvenuta che non richiede - in relazione ai reati di cui agli artt. 318 e 319 cod. pen. - che l’incaricato di pubblico servizio sia anche pubblico impiegato. 4. Ebbene, è stato già condivisibilmente stabilito che non è configurabile il delitto di corruzione per atto di ufficio ex art. 318 cod. pen. - nel testo vigente prima delle modifiche della l. n. 190 del 2012 nei confronti del Presidente di una società di gestione di una tratta autostradale, perché, pur rivestendo quest’ultimo la qualifica di incaricato di pubblico servizio, non può essere considerato un pubblico impiegato Sez. 6, n. 27719 del 05/02/2013, Grisenti e altri, Rv. 255599 . È chiarito in motivazione che la ipotesi criminosa in questione, nella formulazione antecedente alla novella recata dalla L. 6 novembre 2012, n. 190, che è quella che qui interessa ratione temporis, se riferita all’incaricato di un pubblico servizio, richiede, stante l’espressa previsione dell’art. 320 cod. pen., che quest’ultimo rivesta anche la qualità di pubblico impiegato che con la prima qualità, dunque, non coincide v. per tutte Sez. 5, n. 4284 del 02/03/1983, Fiorenzano, Rv. 158936 . Tale nozione, infatti, implica un legame tra il soggetto e lo Stato o altro ente pubblico caratterizzato da un provvedimento amministrativo di nomina e da un rapporto di lavoro subordinato, e non è influenzata dai mutamenti intercorsi sul terreno del rapporto di lavoro pubblico per effetto della c.d. privatizzazione del pubblico impiego di cui al D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modifiche, considerato che l’art. 59 di tale decreto stabilisce che resta ferma la disciplina attualmente vigente in materia di responsabilità penale per i dipendenti di amministrazioni pubbliche . 5. Nella specie, non v’è dubbio che il ricorrente rivestisse all’epoca della commissione del fatto la qualità di dipendente della Società Autostrade per l’Italia s.p.a. e, pertanto, fosse incaricato di pubblico servizio senza essere un pubblico impiegato. Cosicché, in difetto della qualifica soggettiva richiesta dal reato ascrittogli, il ricorrente imputato doveva essere mandato assolto in relazione ad esso perché il fatto non sussiste. 6. Si impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non sussiste. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.