Convivenza cessata: vessare la moglie è comunque maltrattamento in famiglia

Confermata la condanna del marito. Irrilevante che la coppia non abiti più sotto lo stesso tetto. Non significativo neanche il fatto che la donna abbia comunque frequentato i luoghi in cui di solito si trovava il coniuge.

Irrilevante il dato della ormai conclusa convivenza dei coniugi sotto lo stesso tetto. Il marito è comunque ritenuto colpevole di maltrattamenti in famiglia” per le torture psicologiche a cui ha sottoposto la consorte Cassazione, sentenza n. 10433/2018, Sezione Sesta Penale, depositata oggi . Torture. Da incubo i rapporti di una donna col coniuge. Quest’ultimo, difatti, la sottopone ad aggressioni fisiche e psichiche, nonostante ella stia portando avanti una gravidanza. Nello specifico, ricostruita la triste vicenda in Tribunale prima e in Corte d’Appello poi, sono emerse le vessazioni fisiche e psicologiche che l’uomo ha compiuto ai danni della moglie. Inevitabile la sua condanna per il reato di maltrattamenti in famiglia , concordano ora anche i Giudici della Cassazione. Non significativo innanzitutto il fatto che durante il periodo considerato la donna abbia continuato a frequentare gli stessi luoghi frequentati dal marito, tenendo un contegno che celava al mondo esterno – e persino a sua madre – le condotte violente subite . Irrilevante poi anche il dato della cessata convivenza, preso atto dell’ancora esistente vincolo coniugale . Nessun dubbio, infine, sulla gravità delle condotte tenute consapevolmente dall’uomo, catalogate dai giudici come vere e proprie torture ai danni della moglie.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 15 febbraio – 7 marzo 2018, numero 10433 Presidente/Relatore Capozzi Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Reggio Calabria, a seguito di gravame interposto dall'imputato Jo. CA. avverso la sentenza emessa il 17.11.2015 dal Tribunale di Palmi, ha confermato la decisione con la quale il predetto è stato riconosciuto colpevole dei reato di cui ai capi 1 artt. 61 numero 1 e 5, 572 cod. penumero e 2 artt. 61 numero 5 ,582,585 con riferimento all'art. 577 u.c. cod. penumero e condannato a pena di giustizia, oltre le statuizioni civili in favore della costituita parte civile Ma. Gr. LA 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato che, con atto a mezzo del difensore, deduce 2.1. Violazione ed erronea applicazione dell'art. 495 comma 2 cod. proc. penumero in relazione alla mancata assunzione di prova decisiva in favore dell'imputato. Erroneamente il primo Giudice aveva revocato l'ammissione dei testi Me. e Sa. sul presupposto della loro superfluità, posto che questi dovevano deporre sulla frequentazione da parte della moglie dei medesimi luoghi frequentati dal marito anche dopo la fine della convivenza. Parimenti errata è la denegata riapertura del dibattimento da parte della Corte di merito proprio rispetto allo stesso assunto della necessità di una verifica rigorosa della prova orale resa dalla parte offesa. 2.2. Violazione ed erronea applicazione della legge penale e cumulativo vizio della motivazione in ordine alla valutazione di attendibilità della persona offesa in relazione alla affermazione di responsabilità in ordine ad entrambi i reati ascritti. La Corte di merito non ha svolto il proprio esame in coerenza con le premesse in diritto poste. E' apparente la motivazione sulla censura difensiva avente ad oggetto l'episodio del novembre 2011 e riguardante la consapevolezza da parte del ricorrente dello stato di gravidanza della parte offesa, invece appreso solo il 6.12.2011 come pure elusiva è quella relativa all'episodio del 31.12.2011 e riguardante la concreta impossibilità che la donna avesse potuto celare agli occhi di terzi le condotte violente subite. Infine, non sono state tenute in conto le altre molteplici censure difensive proposte in appello in tema di inattendibilità della parte civile e nessuna considerazione ha avuto l'acquisito decreto dal quale risulta il rinvio a giudizio della parte civile per il reato di calunnia ai danni dello stesso ricorrente. 2.3. Violazione ed erronea applicazione dell'art. 572 cod. penumero e cumulativo vizio della motivazione in ordine alla qualificazione giuridica del fatto, risultando una mera clausola di stile la ricorrenza nei fatti della predetta ipotesi criminosa, trattandosi - peraltro - anche di condotte che si riferiscono ad un periodo temporale nel quale il ricorrente e la parte offesa non erano nemmeno conviventi. Risulta completamente omessa la motivazione sulla sussistenza di un dolo unitario. 2.4. Violazione di legge e vizio cumulativo di motivazione in relazione alla determinazione della pena ed al diniego delle attenuanti di cui all'art. 62 bis cod. penumero non essendo corretto negarle solo in ragione del disvalore del fatto in quanto la gravità della condotta ed il periodo per il quale si è protratta costituiscono elementi intrinseci alla condotta di maltrattamenti. 3. Con memoria del difensore della parte civile si deduce l'infondatezza dei motivi proposti dall'imputato ricorrente. Correttamente è stata revocata l'ammissione dei due testi e motivatamente è stata negata la riapertura del dibattimento per assenza della decisività dello stesso incombente probatorio rispetto al compiuto vaglio di attendibilità della parte offesa e, comunque, alla inincidenza dello stesso tema da provare proposto. Infondata è la censura in ordine alla aggravante di cui all'art. 61 numero 5 cod. penumero rispetto all'orientamento di legittimità che ne sottolinea il carattere obiettivo. Parimenti infondata è la terza censura sulla abitualità rispetto ad una condotta che ben può essere eventualmente intermittente. Del tutto congruo è, infine, il diniego delle attenuanti generiche. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Il primo motivo è manifestamente infondato risultando del tutto corretta la giustificazione offerta dalla Corte di appello in ordine al rigetto della censura in ordine alla revoca dei testi indicati - e, quindi, in relazione alla riapertura del dibattimento - per superfluità della prova richiesta rispetto all'accertato comportamento della persona offesa che durante tutto il periodo considerato aveva continuato a frequentare gli stessi luoghi frequentati dal marito tenendo un contegno che celava al mondo esterno - e persino a sua madre - le condotte violente subite. 3. Il secondo motivo è manifestamente infondato, quando non proposto per ragioni non consentite allorquando propone una rivalutazione del compendio probatorio facendo leva su elementi di fatto. Invero, priva di vizi logici e giuridici è la analitica disamina svolta dalla sentenza a riguardo della attendibilità della parte offesa v. pg. 9 e ss. considerando puntualmente le censure difensive mosse con l'appello alle quali risponde non illogicamente. 4. Il terzo motivo è manifestamente infondato essendosi espresso il giudizio sulla abitualità della condotta - rispetto alla quale è nota l'irrilevanza della convivenza in presenza, come nella specie, del vincolo del coniugio Sez. 6, numero 33882 del 08/07/2014, C, Rv. 262078 -all'esito della disamina delle vessazioni fisiche e psicologiche - definite queste ultime come torture - patite dalla parte offesa nel tempo ad opera del ricorrente ineccepibilmente ritenute espressive del previsto elemento psicologico doloso. 5. Il quarto motivo costituisce generica censura all'esercizio discrezionale demandato al giudice di merito, nella specie esercitato senza vizi logici e giuridici in considerazione del protrarsi per lungo tempo della condotta ed in assenza di elementi favorevoli per l'imputato che mai ha mostrato segni di resipiscenza. 6. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma che si stima equa determinare in Euro duemila in favore della cassa delle ammende nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla costituita parte civile da liquidarsi in separata sede, di cui dispone il pagamento in favore dello Stato. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile LA. MA. GR., ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà separatamente liquidata, disponendo il pagamento di tali spese in favore dello Stato.