L’alcoldipendenza non fa la continuazione

L’unicità del disegno criminoso, eventualmente da riconoscere per la prima volta dal giudice dell’esecuzione ex art. 671 c.p.p., non è deducibile dalla semplice inclinazione a delinquere per lo stato di dipendenza da alcol o stupefacenti del condannato. Ma della tossicodipendenza occorre comunque tener conto, per l’espressa menzione legislativa.

Così la Cassazione, Prima Sezione Penale, n. 7953/2018, depositata il 19 febbraio. La condizione di alcoldipendenza non completa il requisito dell’unicità del disegno criminoso ex art. 81 c.p L’indagine giudiziale deve essere completa di ogni requisito in grado di comporre la verifica dell’unicità del disegno criminoso preordinato dal reo sin dal momento di compimento del primo reato. Si tratta di indagine multiforme di cui l’eventuale requisito di alcol/tossicodipendenza non è esauriente a motivare il diverso trattamento sanzionatorio ex art. 81 c.p., più benevolo per il sottoposto a processo per deliberata scelta di politica criminale. L’indagine giudiziale ma della alcol/tossicodipendenza occorre tener conto. La sintomatologia, da indagare sul caso concreto e sulle manifestazioni dei delitti soggettive ed oggettive – ad esempio l’identità del bene giuridico violato ovvero l’intervallo ridotto di compimento delle condotte ovvero l’omogeneità delle medesime -, deve consentire l’integrazione di un elemento rappresentativo – la configurazione almeno di massima del compimento di più reati, da parte del reo – e di un elemento volitivo – lo scopo delittuoso -. In ogni caso, non costituisce ragion sufficiente al riconoscimento della continuazione lo stato di tossicodipendenza, seppur in via tabulare menzionato nell’art. 671, comma 1, c.p.p., alieno da qualsivoglia altra considerazione sulla verifica dell’unicità del disegno criminoso. Comunque, per l’espressa menzione legislativa, la tossicodipendenza non può essere espunta o ritenuta irrilevante ai fini del giudizio sulla continuazione fra reati, costituendo elemento di cui, più di altri, occorre tener considerazione. La Cassazione sul punto annulla e rinvia al Tribunale per un nuovo esame, ritenuta insufficiente la motivazione al diniego del riconoscimento della continuazione da parte dei Giudici. La procedura ex art. 671 c.p.p. le sentenze non vanno necessariamente allegate. La difesa deve quanto meno indicare di fronte al Giudice dell’esecuzione le sentenze da sottoporre a giudizio di continuazione, riscontrate dagli uffici ex art. 186 disp. att. c.p.p. e dunque non necessariamente da allegare a cura della parte che ne ha interesse – l’allegazione invece incombe in sede di cognizione -. Costituisce onere della difesa – e non obbligo, specificano gli Ermellini - indicare gli elementi di fatto e di diritto ai fini del riconoscimento della continuazione, potendo altrimenti il Giudice dedurre argomenti ex art. 81 c.p.p. sua sponte dal tessuto delle motivazioni delle sentenze poste a sua disposizione. La continuazione fra reati può essere in ogni caso riconosciuta per la prima volta in sede di esecuzione. La mancata richiesta della difesa del riconoscimento della continuazione in sede di cognizione – laddove già in quella sede si sarebbe potuta avanzare e per scelta processuale l’imputato non abbia inteso avvalervisi – non impedisce che il Giudice dell’esecuzione possa applicare per la prima volta il trattamento sanzionatorio ex art. 81 c.p.p., non potendo il Giudice dell’esecuzione rubricare in alcun modo quale indice negativo l’inerzia della difesa.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 7 dicembre 2017 – 19 febbraio 2018, n. 7953 Presidente Carcano – Relatore Bianchi Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 19.9.2016 il Tribunale di Milano, quale giudice dell’esecuzione, ha respinto la richiesta presentata in data 9.6.2016 dal difensore di C.F. , ed avente ad oggetto il riconoscimento della continuazione fra i reati di cui alle sentenze pronunciate dal Tribunale di Milano in data 24.6.2014 e 28.1.2015. Il Tribunale ha osservato che l’istante non aveva chiesto il riconoscimento della continuazione nella fase di cognizione e che dunque, risultando i reati omogenei, ma commessi a distanza di sei mesi e con un breve periodo di custodia cautelare intermedio, la condizione di alcol dipendenza non risultava valorizzabile per riconoscere la continuazione richiesta. 2. Il difensore di C.F. ha presentato ricorso per cassazione, deducendo violazione dell’art. 671 cod. proc. pen., sul rilievo che l’istante aveva documentato la condizione di alcool dipendenza e che alcun effetto preclusivo poteva avere l’omessa richiesta della continuazione del giudizio di cognizione. 3. Il Procuratore generale ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata, sul rilievo che la parte istante aveva solo l’onere di indicare le sentenze oggetto della richiesta, mentre il giudice avrebbe dovuto prendere in esame gli elementi risultanti dalle sentenze. Considerato in diritto 1. Nel caso in esame, il Tribunale, premesso che, in sede di riconoscimento della continuazione nella fase esecutiva, l’istante avrebbe l’onere di allegare specifici elementi a sostegno dell’istanza, ha valorizzato, negativamente, il fatto che l’istante non avesse prospettato, già nel giudizio di cognizione definito con la sentenza pronunciata in data 28.1.2015, la sussistenza di un disegno criminoso comune al reato già giudicato, con la sentenza pronunciata in data 24.6.2014, la distanza di sei mesi fra i fatti e il periodo intermedio di carcerazione sofferta per il primo reato, ed ha ritenuto che tali elementi dovessero prevalere, nella valutazione globale, rispetto alle circostanze della identità del bene giuridico leso e della condizione di alcool dipendenza. 2. La giurisprudenza Sez. Un., 18.5.2017, Gargiulo, Rv. 270074 ha chiarito che il riconoscimento del vincolo della continuazione richiede l’accertamento in positivo di una reale comune programmazione dei reati, anche solo nelle loro linee essenziali, sin dal compimento del primo reato, ed ha precisato che l’utilizzo in tale accertamento dei cd. indicatori non può avvenire con criterio aritmetico , ben potendosi escludere la continuazione anche in presenza di una molteplicità di indicatori positivi che risultassero, nella valutazione globale, smentiti da altri elementi di segno contrario. 3. L’ordinanza impugnata ha svolto alcune osservazioni in diritto, che vanno precisate. 3.1. Con particolare riferimento all’onere di allegazione incombente su chi propone la istanza ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., il collegio ritiene, in conformità alla giurisprudenza di questa Corte, che la parte istante abbia l’onere di indicare le sentenze che riguardano i reati in relazione ai quali è chiesto il riconoscimento della continuazione, ma non anche quello di rappresentare elementi significativi della sussistenza di un comune disegno criminoso Sez. 1, 8.5.2015, Malich, Rv. 265011 . In particolare, è stato precisato che l’onere di produrre le sentenze incombe sull’istante solo in sede di cognizione, dove non opera la norma di cui all’art. 186 disp. att. cod. proc. pen., che onera il giudice dell’acquisizione della copia delle sentenze Sez. 2, 18.11.2010, Turnone, Rv. 249205 Sez. 2, 14.2.2014, Tassone, Rv. 259069 . 3.2. Quanto al principio, ricorrente in giurisprudenza, secondo cui l’istante, in sede esecutiva, avrebbe l’onere di allegare gli elementi che dovrebbero fondare il riconoscimento della continuazione Sez. 1, 25.11.2009, Marianera, Rv. 245970 Sez. 5, 6.5.2010, Faneli, Rv. 247356 Sez. 1, 20.4.2016, D’Amico, Rv. 267580 , il collegio rileva che impropriamente si parla di onere, istituto che, secondo la tradizionale dottrina, significa l’esistenza, a carico di una parte, di un dovere, seppur diverso dall’obbligo e dalla soggezione. D’altra parte, la giurisprudenza che afferma l’esistenza del menzionato onere di allegazione di elementi specifici a sostegno dell’istanza, in realtà, sottolinea la necessità che la prova dell’esistenza di un comune disegno criminoso sia effettiva, e non si limiti a registrare l’esistenza di elementi, come la prossimità spazio-temporale e l’identità del bene giuridico leso, che, di per sé, sono neutri, essendo anche compatibili con la mera inclinazione a delinquere, fenomeno ben diverso dalla unitaria programmazione, anche generica, di più reati. Piuttosto, dunque, si deve affermare che, trattandosi di una indagine che ha ad oggetto il momento ideativo e deliberativo del reato, spesso non rilevante e quindi trascurato nell’accertamento di merito, è interesse della parte rappresentare ed evidenziare al giudice gli elementi significativi dell’esistenza di un disegno criminoso comune a più reati, elementi che potrebbero non risultare dalle sentenze di merito. La configurazione, quindi, di un mero interesse della parte, e non di un onere giuridico, comporta che la mancata allegazione di elementi specifici a sostegno dell’istanza non può, di per sé, essere valorizzata dal giudice in senso negativo all’accoglimento della stessa. 3.3. Quanto poi all’ulteriore rilievo, valorizzato dal Tribunale, circa l’omessa richiesta della continuazione nel giudizio di cognizione, si deve osservare che il precedente giurisprudenziale citato dall’ordinanza Sez. 1, 4.4.2014, Marino, Rv. 260088 esclude che vi sia un onere di previa richiesta nel giudizio di cognizione e si limita a riconoscere come indice negativo il fatto che l’istante, pur essendo stato nelle condizioni per farlo, non avesse proposto la richiesta di riconoscimento della continuazione nel giudizio di cognizione. Il collegio ritiene che si tratti di ulteriore elemento che va valutato assieme agli altri desumibili dagli atti acquisiti, non potendo essere ritenuto comunque come indice negativo, dato che valorizza una particolare scelta processuale di cui il soggetto poteva non essere completamente consapevole. 4. Il ricorso è fondato e va perciò accolto. La motivazione dell’ordinanza impugnata risulta apparente e manifestamente illogica. L’ordinanza non compie uno specifico esame dei fatti accertati nei giudizi di cognizione e prescinde dalla globale valutazione di tutti gli elementi significativi, giungendo ad un giudizio negativo che si fonda esclusivamente sul rilievo della mancata richiesta della continuazione nel giudizio di cognizione. Inoltre, il Tribunale ha espressamente affermato di non esaminare la condizione di alcool dipendenza, pur documentata dall’istante. Sul punto, si deve precisare che la condizione di alcool dipendenza non è stata considerata dal legislatore come indice positivo della sussistenza di un disegno criminoso comune ai reati commessi perdurando l’indicata condizione Sez. 7, 13.4.2016, De Palma, Rv. 266720 . Peraltro, la valutazione che il giudice deve compiere deve essere globale e quindi considerare tutti gli elementi emergenti, per poi motivare il giudizio sulla base della ritenuta maggior rilevanza di uno o alcuni elementi, senza però escludere dalla valutazione alcun elemento, ritenendone a priori la irrilevanza. Infine, la motivazione del Tribunale risulta manifestamente illogica, laddove considera come indice negativo anche la distanza temporale fra i reati e la carcerazione intermedia quando, nel caso in esame, si tratta di distacco temporale limitato poco meno di sei mesi e di una carcerazione durata appena due giorni. 5. Va dunque pronunciato annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Milano, che dovrà fare applicazione dei seguenti principi di diritto Nel procedimento ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen. la parte istante ha l’onere di indicare le sentenze che hanno giudicato i reati in relazione ai quali viene chiesto il riconoscimento della continuazione Il giudice può riconoscere la continuazione solo ove ritenga provata la sussistenza di un disegno criminoso comune a più reati, deliberato, nelle sue linee essenziali, almeno contestualmente alla commissione del primo reato La condizione di alcool dipendenza al momento dei fatti non è considerata dal legislatore come indice positivo della sussistenza di un disegno criminoso comune ai reati commessi quando sussisteva quella condizione, ma, ove documentata, va considerata nel complessivo giudizio da compiere . L’accertamento o meno della continuazione può essere fondata sul rilievo di elementi cd. indicatori - come, ad esempio, la prossimità spazio-temporale dei reati, l’identità del bene giuridico leso, l’identità del modus operandi, la ricorrenza dei medesimi complici, un periodo di detenzione intermedia, la condizione di alcool o tossicodipendenza -, ma solo all’esito di una valutazione globale che conduca al positivo o meno riconoscimento dell’esistenza dell’unico disegno criminoso, da considerare come reale deliberazione criminosa e quindi ben diversa dalla generica inclinazione al delitto ovvero dalla personale scelta di vivere ricorrendo alla commissione di reati . P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Milano per nuovo esame.