Attività di spaccio rudimentale ma organizzata: confermata la custodia cautelare

Viene così meno l’ipotesi di uno spaccio lieve”. Confermata anche in Cassazione la misura cautelare decisa dal GIP e condivisa dai giudici del Tribunale.

Rudimentale ma efficace, l’organizzazione adottata da un piccolo spacciatore. E sufficiente, secondo i giudici, per escludere l’ipotesi che ci si trovi di fronte a una condotta ‘lieve’. Confermata perciò la custodia cautelare in carcere decisa dal Gip e condivisa dal Tribunale Cassazione, sentenza n. 6227/18, sez. III Penale, depositata il 9 febbraio . Professionalità. Fatale il controllo in una siepe di un giardino pubblico. Lì vengono ritrovati oltre 30 grammi di cocaina, a pochi passi dall’abitazione dell’uomo che ora è sotto accusa per spaccio. Per lui scatta anche la custodia cautelare in carcere, contestata dal difensore ma condivisa dal GIP e dai giudici del Tribunale. A chiudere questo capitolo provvede la Cassazione, confermando la misura. I Giudici del ‘Palazzaccio’ osservano che il rudimentale sistema di occultamento della droga nei giardinetti e la consegna in automobile dello stupefacente ai compratori porta ad escludere l’ipotesi del fatto di lieve entità”. Ciò perché le modalità di conservazione della riserva di cocaina e quelle dello spaccio ai clienti abituali, raggiunti in automobile in paesi vicini denotano una organizzazione e un’attività professionale . Senza dimenticare, poi, che l’uomo sotto accusa era in grado di reperire quantitativi non indifferenti di stupefacente e di collocarlo sul mercato con facilità, avendo una rete di smercio di buone proporzioni .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 21 novembre 2017 – 9 febbraio 2018, n. 6227 Presidente Savani – Relatore Socci Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Bologna, sezione per il riesame, con ordinanza del 10 luglio 2017, confermava l’ordinanza, del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Ferrara del 23 giugno 2017, che aveva applicato la custodia cautelare in carcere, nei confronti di B.A. , in relazione al reato di cui all’art. 73, comma 1, T.U. stup. perché deteneva al fine di farne cessione a terzi, occultati nei pressi di una siepe del giardino pubblico attiguo alla propria abitazione sostanza stupefacente del tipo cocaina pari a gr. 33,2785 suddivisa in quattro involucri, di cui un involucro del peso di gr. 8,6817 veniva sequestrato in via OMISSIS all’esito di un controllo stradale appositamente predisposto. Con la recidiva specifica infraquinquennale, il 13 giugno 2017. 2. Ricorre per Cassazione l’indagato, tramite difensore, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., c.p.p. 2. 1. Violazione di legge, art. 73, comma 5, T.U. stup., e manifesta illogicità della motivazione sul punto. La quantità dello stupefacente imputata al ricorrente è pari a soli 15, 3 gr. e per la circolare della Procura della Repubblica di Bologna, il discrimine tra l’ipotesi del quinto comma e quella del primo comma, è dato proprio dal superamento dei 15 grammi di sostanza nel caso superato di pochissimo. Inoltre per la Cassazione il conteggio a decine di dosi nel caso è stato superato di sole 2, 2 dosi 102,2 dosi in totale . Illogica inoltre risulta la motivazione dell’ordinanza poiché nessuna organizzazione sussiste in capo al ricorrente, tale non può certo considerarsi il rudimentale sistema di occultamento nei giardinetti, né la ritenuta consegna dello stupefacente con l’autovettura, trattandosi di modalità normali dello spaccio, anche lieve. Ha chiesto pertanto l’annullamento dell’ordinanza impugnata. Considerato in diritto 3. Il ricorso risulta inammissibile per manifesta infondatezza del motivo e per genericità, articolato solo in fatto senza motivi specifici di legittimità. Il Tribunale ha adeguatamente motivato, senza contraddizioni e senza manifeste illogicità rilevando che Deve preliminarmente escludersi la ricorrenza dell’ipotesi lieve di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990, poiché le modalità di conservazione della riserva di cocaina e dello spaccio a clienti abituali, raggiunti dallo stesso ricorrente in auto in paesi vicini, denota una sia pur rudimentale organizzazione e attività professionale seppure la si voglia ritenere esercitata in proprio dal ricorrente. In ogni caso egli era in grado - anche se lo si vuole ritenere autonomo - di reperire quantitativi non indifferenti di stupefacente e di collocarlo sul mercato con facilità, avendo una rete di smercio, a quanto consta, di buone proporzioni . In materia di sostanze stupefacenti, è legittimo il mancato riconoscimento della lieve entità, di cui all’art. 73, comma quinto, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, qualora la singola cessione di una quantità modica, o non accertata, di droga costituisca manifestazione effettiva di una più ampia e comprovata capacità dell’autore di diffondere in modo non episodico, né occasionale, sostanza stupefacente. Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto adeguatamente motivata l’esclusione da parte del giudice di merito dell’ipotesi attenuata in ragione della capacità degli imputati di diffondere in modo non episodico né occasionale sostanza stupefacente in un determinato contesto territoriale, desunta dall’intensità del traffico, dalla pluralità di sostanze vendute, dalla sussistenza di una rudimentale organizzazione dell’attività criminale, da una numerosa e fedele clientela acquisita, e da incassi ingenti . Sez. 4, n. 40720 del 26/04/2017 - dep. 07/09/2017, Nafia e altri, Rv. 27076701 . Si tratta di una evidente valutazione di merito non sindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata, come nel caso in giudizio. Con il ricorso per Cassazione, del resto, il ricorrente, genericamente, insiste nei suoi motivi di ricorso, senza però prospettare censure di legittimità al provvedimento impugnato. 4. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende. La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al Direttore dell’istituto Penitenziario competente, a norma dell’art. 94 comma 1 ter disp. att. c.p.p.