“Bis in idem” e sentenza patteggiata: la condanna non può mai “suonare” due volte

Il divieto di pluralità di sentenze contro la stessa persona per il medesimo fatto di reato non viene meno allorché uno dei provvedimenti giudiziali che si sono pronunciati sia rappresentato da una sentenza di applicazione della pena a richiesta delle parti, che, ai fini dell’esecuzione e di quanto disposto dall’art. 669 c.p.p., è suscettibile anche di revoca parziale.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 4417/18, depositata il 30 gennaio. L’art. 669 c.p.p Occorre necessariamente partire dal tenore letterale dell’art. 669 c.p.p che recita Se più sentenze di condanna divenute irrevocabili sono state pronunciate contro la stessa persona per il medesimo fatto, il giudice ordina l'esecuzione della sentenza con cui si pronunciò la condanna meno grave, revocando le altre. 2. Quando le pene irrogate sono diverse, l'interessato può indicare la sentenza che deve essere eseguita. Se l'interessato non si avvale di tale facoltà prima della decisione del giudice dell'esecuzione, si applicano le disposizioni dei commi 3 e 4. 3. Se si tratta di pena pecuniaria e pena detentiva, si esegue la pena pecuniaria. Se si tratta di pene detentive o pecuniarie di specie diversa, si esegue la pena di minore entità se le pene sono di uguale entità, si esegue rispettivamente l'arresto o l'ammenda. Se si tratta di pena detentiva o pecuniaria e della sanzione sostitutiva della semidetenzione o della libertà controllata, si esegue, in caso di pena detentiva, la sanzione sostitutiva e, in caso di pena pecuniaria, quest'ultima. 4. Quando le pene principali sono uguali, si tiene conto della eventuale applicazione di pene accessorie o di misure di sicurezza e degli altri effetti penali. Quando le condanne sono identiche, si esegue la sentenza divenuta irrevocabile per prima. 5. Se la sentenza revocata era stata in tutto o in parte eseguita, l'esecuzione si considera come conseguente alla sentenza rimasta in vigore. 6. Le stesse disposizioni si applicano se si tratta di più decreti penali o di sentenze e di decreti ovvero se il fatto è stato giudicato in concorso formale con altri fatti o quale episodio di un reato continuato, premessa, ove necessaria, la determinazione della pena corrispondente. 7. Se più sentenze di non luogo a procedere o più sentenze di proscioglimento sono state pronunciate nei confronti della stessa persona per il medesimo fatto, il giudice, se l'interessato entro il termine previsto dal comma 2 non indica la sentenza che deve essere eseguita, ordina l'esecuzione della sentenza più favorevole, revocando le altre. 8. Salvo quanto previsto dagli articoli 69 comma 2 e 345, se si tratta di una sentenza di proscioglimento e di una sentenza di condanna o di un decreto penale, il giudice ordina l'esecuzione della sentenza di proscioglimento revocando la decisione di condanna. Tuttavia, se il proscioglimento è stato pronunciato per estinzione del reato verificatasi successivamente alla data in cui è divenuta irrevocabile la decisione di condanna, si esegue quest'ultima. 9. Se si tratta di una sentenza di non luogo a procedere e di una sentenza pronunciata in giudizio o di un decreto penale, il giudice ordina l'esecuzione della sentenza pronunciata in giudizio o del decreto . La lettura della norma appare escludere dal novero delle pronunce giudiziali quelle rese a seguito di applicazione del disposto degli artt. 444 e segg. c.p.p Il bis in idem” quando può dirsi sussistente bis in idem”? La Suprema Corte SS.UU. n. 34655/2005 ha affermato che l’identità del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, valutato in tutti i suoi elementi costitutivi della condotta, dell’evento e del nesso causale e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona, in cui la commissione si è realizzata . La sentenza n. 200/2016 della Corte Costituzionale. La Consulta intervenendo in tema ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p. limitatamente alla parte in cui esclude che possa dirsi medesimo fatto reato quello connotato dalla sola circostanza del ricorso di concorso formale di reati tra res iudicata e res iudicanda , per contrasto con l’art. 4 del protocollo n. 7 alla CEDU che vieta invece di procedere nuovamente quando il fatto storico sia il medesimo. Il fatto storico afferma la Corte Costituzionale il fatto storico naturalistico rileva, ai fini del divieto di bis in idem, secondo l’accezione che gli conferisce l’ordinamento, perché l’approccio epistemologico fallisce nel descriverne un contorno identitario dal contenuto necessario. Fatto, in questa prospettiva, è l’accadimento materiale certamente affrancato dal giogo dell’inquadramento giuridico, ma pur sempre frutto di un’addizione di elementi la cui selezione è condotta secondo criteri normativi. Non vi è in altri termini alcuna ragione logica per concludere che il fatto, pur assunto nella sola dimensione empirica, si restringa all’azione o all’omissione, e non comprenda invece anche l’oggetto fisico su cui cade il gesto, se non anche, al limite estremo della nozione, l’evento naturalistico che ne è conseguito, ovvero la modificazione della realtà indotta dal comportamento dell’agente. È chiaro che la scelta tra le possibili soluzioni qui riassunte è di carattere normativo, perché ognuna di essa è compatibile con la concezione dell’idem factum. Questo non significa che le implicazioni giuridiche delle fattispecie posto a raffronto comportino il riemergere dell’idem legale. Esse infatti non possono avere alcun rilievo ai fini della decisione sulla medesimezza del fatto storico. Ad avere carattere giuridico è la sola indicazione dei segmenti dell’accadimento naturalistico che l’interprete è tenuto a prendere in considerazione per valutare la medesimezza del fatto . Dunque, semplificando, l’accadimento naturalistico deve essere preso in considerazione ai fini della valutazione della medesimezza del fatto. Le caratteristiche della sentenza di condanna resa a seguito di applicazione di pena su richiesta delle parti ai sensi dell’art. 445 c.p.p. la sentenza è equiparata alla pronuncia di condanna dibattimentale quanto agli effetti penali. Per i quali non sia stata prevista esplicita esclusione e quindi, anche, in relazione alla sua possibilità di divenire titolo esecutivo. Unico limite incontrato dalla equiparazione citata è costituito dalla sua inoperatività in tutti i casi in si faccia riferimento all’accertamento condotto in base ai dati probatori, circa la sussistenza del fatto di reato e la sua attribuzione alla persona dell’imputato. L’istituto presuppone e si sostanzia in una pattuizione tra le parti che, ove recepita dal giudice sulla base del riscontro della corretta qualificazione giuridica del fatto contestato, dell’insussistenza di cause di non punibilità, della congruità della sanzione individuata diviene titolo per la sottoposizione dell’imputato all’esecuzione della pena senza che sia stato computo l’accertamento di merito cfr. SS.UU. 10372/1995, 5777/1992 . Proprio l’assenza di accertamento sul e nel merito impedisce la proposizione del rimedio straordinario revisione alle sentenze rese ex articolo 444 c.p.p. L’inconciliabilità dei giudicati. Secondo la giurisprudenza, che accoglie rara avis le opinioni dottrinali più accreditate, l’inconciliabilità dei giudicati sussiste solo in situazioni di contrasto teorico tra i fatti posti a fondamento di una pronuncia e quelli stabiliti in altra parimenti irrevocabili. Con il che, posta l’assenza di accertamento sul fatto connaturata alla sentenza resa ex art. 444 c.p.p., essa è impossibile in caso di pronunce rese in esito a patteggiamento”.ù L’art. 651 c.p.p La sentenza di patteggiamento trova specifica regola, quale giudicato dagli artt. 651 e seguenti del codice di rito. Ne consegue – dice la Corte – che, ai fini dell’esecuzione, quando siano state pronunciate più sentenze per il medesimo fatto contro la stessa persona, una delle quali è rappresentata da pronuncia di patteggiamento, la situazione di duplicità di titoli esecutivi inerenti il medesimo fatto di reato resta soggetta alla disciplina dell’art. 669 c.p.p. commi 1 e 6 analogamente a quanto si verifica per il concorso di sentenze di condanna . Il bis in idem è infatti da considerarsi quale vero e proprio principio generale dell’ordinamento processuale e come tale deve trovare applicazione costante a prescindere dalla natura del titolo” esecutivo emesso nei confronti dell’imputato che ha un vero e proprio diritto a non vedersi infliggere due volte la punizione per lo stesso fatto materiale da lui commesso. Per tali motivi la corte ha ritenuto di pronunciare il principio di diritto riportato in massima.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 17 ottobre 2017 – 30 gennaio 2018, n. 4417 Presidente Di Tomassi – Relatore Boni Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 20 maggio 2016, la Corte di Appello di Roma, pronunciando quale giudice dell’esecuzione, dichiarava inammissibile l’istanza, proposta nell’interesse del condannato G.L. , volta ad ottenere la revoca parziale, per violazione del principio ne bis in idem , della sentenza di applicazione pena a richiesta delle parti del Tribunale di Roma del 18 giugno 2008, irrevocabile l’8 aprile 2009, sul presupposto dell’avvenuta condanna per il medesimo fatto anche con sentenza del Tribunale di Terni del 22 dicembre 2011 rigettava altresì la richiesta avanzata in via subordinata dallo stesso G. di applicazione della continuazione tra i reati, oggetto delle due predette sentenze di condanna del Tribunale di Terni e di Roma. 1.1 Ricorre per cassazione l’interessato a mezzo del difensore per chiedere l’annullamento dell’ordinanza sopra indicata per i seguenti motivi a erronea applicazione della legge penale in riferimento all’art. 669 cod. proc. pen La Corte di appello ha dichiarato inammissibile l’istanza di revoca della sentenza di patteggiamento, ritenendo che l’unica soluzione possibile fosse proporre domanda di revisione non ha però considerato che non sussistono i presupposti per procedere a revisione per l’assenza di incompatibilità tra le due sentenze emesse a carico del ricorrente, ravvisandosi piuttosto una parziale identità di addebiti tra il capo B della sentenza del Tribunale di Roma ed il capo A della sentenza del Tribunale di Terni. b Contraddittorietà della motivazione in ordine agli artt. 81 cod. pen. e 671 cod. proc. pen Il rigetto della domanda di applicazione della continuazione è stato basato sulla ritenuta impossibilità di revocare, seppur parzialmente, la sentenza di patteggiamento per un fatto di reato che si è ravvisato identico a quello per il quale a carico dello stesso soggetto, l’odierno ricorrente, è stata emessa anche altra sentenza dibattimentale di condanna con la conseguente rideterminazione di una pena riguardante anche un reato la cui pena deve essere revocata. Tali argomentazioni, oltre a risentire dell’errore evidenziato nel primo motivo, è contraddittoria intrinsecamente laddove, pur riconoscendo l’unicità del disegno criminoso, rigetta l’istanza del condannato, con evidenti ed inaccettabili ricadute negative sul piano sanzionatorio. Invero, la situazione di duplicazione delle condanne per lo stesso fatto riguarda esclusivamente n. 2 tessere Multicard Agip, ossia un episodio di rilievo marginale tra quelli giudicati e non quello costituente il delitto più grave. 3. Con requisitoria scritta il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, dr. Giovanni Di Leo, ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata, ritenendo fondato e meritevole di accoglimento il primo motivo di ricorso. Considerato in diritto Il ricorso è fondato e va dunque accolto. 1. Va premesso che in punto di fatto, a carico del G. , risultano essere state pronunciate a la sentenza di patteggiamento n. 13436/08, emessa in data 18 giugno 2008 dal Tribunale di Roma nell’ambito del procedimento penale n. 55697/07 r.g.n.r., che gli ha applicato la pena di anni due di reclusione ed Euro 600,00 di multa per il delitto di ricettazione di due schede multicard di rifornimento carburanti intestate alla Pace Immobiliare Group s.r.l., sottratte il 7 dicembre 2007, nonché per altre violazioni unificate al primo per continuazione b la sentenza, emessa in data 22 dicembre 2011 dal Tribunale di Terni nell’ambito del procedimento penale n. 849/08 r.g.n.r., che lo ha condannato alla pena di mesi nove di reclusione ed Euro 500,00 di multa in relazione al delitto di furto, compiuto in data 7 dicembre 2007, delle medesime due schede multicard e di un furgone marca Fiat Daily di proprietà della Pace Immobiliare Group s.r.l., condotta relativa alle schede per la quale era stata emessa la precedente sentenza ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen 1.1 La Corte di appello ha giustificato la declaratoria d’inammissibilità dell’istanza proposta in via principale dal G. in considerazione della particolare natura della sentenza di patteggiamento, esito della definizione negoziata tra le parti del procedimento, ragione per la quale non ne sarebbe consentita la revoca ha comunque riconosciuto come pacifica l’identità dei fatti materiali ascrittigli in riferimento alle due schede multicard , - rinvenute in suo possesso a breve distanza temporale dalla sottrazione presso la sede della società proprietaria del furgone ove erano riposte e quindi costituenti parte della refurtiva-, per la corrispondenza di elementi costitutivi dei due addebiti contestati separatamente, ossia di condotta, evento, nesso causale, circostanze di tempo, luogo e di persona. Ha quindi individuato nella revisione per inconciliabilità di giudicati l’unico rimedio esperibile per porre soluzione alla riconosciuta violazione del divieto di bis in idem. 1.2 Tale soluzione è giuridicamente erronea sotto due distinti profili. 1.2.1 Va premesso che il corretto inquadramento giuridico della tematica posta dal ricorso non può prescindere dalle indicazioni esegetiche offerte dalla giurisprudenza costituzionale, la quale, aderendo alla linea interpretativa elaborata dalle Sezioni Unite di questa Corte Cass. Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005, P.G. in proc. Donati ed altro, rv. 231799 ha di recente affermato che l’identità del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, valutato in tutti i suoi elementi costitutivi della condotta, dell’evento e del nesso causale e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona, in cui la commissione si è realizzata. In particolare, la Consulta con la sentenza n. 200 del 31/5/2016, che ha dichiarato illegittimità costituzionale dell’art. 649 cod. proc. pen., limitatamente alla parte in cui esclude la medesimezza del fatto di reato per la sola circostanza che ricorra un concorso formale di reati tra res iudicata e res iudicanda, per contrasto con l’art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, che vieta invece di procedere nuovamente quando il fatto storico è il medesimo, ha riscontrato l’erroneità dell’opinione prevalente nella giurisprudenza che concentra l’attenzione sulla dimensione giuridica del fatto e consente la celebrazione di un nuovo giudizio nei confronti dello stesso imputato quando siano differenti le norme giuridiche che lo incriminano, dando luogo ad un’ipotesi di concorso formale. Sulla base delle sollecitazioni provenienti dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo Grande Camera, 10/2/2009, Zolotoukhine contro Russia la Corte costituzionale ha quindi posto l’accento sulla necessità di prendere in considerazione il fatto naturalistico nella sua materialità e concretezza, da individuarsi in base alle coordinate spazio-temporali di commissione. Ha osservato che Il fatto storico-naturalistico rileva, ai fini del divieto di bis in idem, secondo l’accezione che gli conferisce l’ordinamento, perché l’approccio epistemologico fallisce nel descriverne un contorno identitario dal contenuto necessario. Fatto, in questa prospettiva, è l’accadimento materiale, certamente affrancato dal giogo dell’inquadramento giuridico, ma pur sempre frutto di un’addizione di elementi la cui selezione è condotta secondo criteri normativi. Non vi è, in altri termini, alcuna ragione logica per concludere che il fatto, pur assunto nella sola dimensione empirica, si restringa all’azione o all’omissione, e non comprenda, invece, anche l’oggetto fisico su cui cade il gesto, se non anche, al limite estremo della nozione, l’evento naturalistico che ne è conseguito, ovvero la modificazione della realtà indotta dal comportamento dell’agente. È chiaro che la scelta tra le possibili soluzioni qui riassunte è di carattere normativo, perché ognuna di esse è compatibile con la concezione dell’idem factum. Questo non significa che le implicazioni giuridiche delle fattispecie poste a raffronto comportino il riemergere dell’idem legale. Esse, infatti, non possono avere alcun rilievo ai fini della decisione sulla medesimezza del fatto storico. Ad avere carattere giuridico è la sola indicazione dei segmenti dell’accadimento naturalistico che l’interprete è tenuto a prendere in considerazione per valutare la medesimezza del fatto . Ebbene, nel caso specifico, il giudice dell’esecuzione ha ritenuto l’identità delle due fattispecie ascritte al ricorrente di furto aggravato e di ricettazione secondo i criteri esegetici dettati dalla giurisprudenza, ma non ne ha tratto le corrette conseguenze. 1.2.2 In primo luogo ha ignorato che, ai sensi dell’art. 445 cod. proc. pen., la sentenza di applicazione pena a richiesta delle parti è equiparata alla pronuncia di condanna dibattimentale agli effetti penali per i quali non sia stata prevista esplicita esclusione e quindi anche quanto alla sua suscettibilità a divenire titolo esecutivo sez. 2, n. 40813 del 18/10/2005, Olivero, rv. 232695 . Nella ormai consolidata lezione interpretativa offerta da questa Corte l’evocata equiparazione incontra il limite coessenziale alla natura giuridica dell’istituto del patteggiamento, nel senso che non opera in tutti i casi in cui si faccia riferimento all’accertamento, condotto in base ai dati probatori, circa la sussistenza del fatto di reato e la sua attribuzione alla persona dell’imputato. Nell’ipotesi regolata dall’art. 444 cod. proc. pen. l’imputato rinuncia a difendersi, provando circostanze contrarie all’assunto accusatorio, nella prospettiva di conseguire altri benefici e l’accordo intervenuto in proposito tra le parti si esprime in una pattuizione che, ove recepita dal giudice sulla base del riscontro della corretta qualificazione giuridica del fatto contestato, dell’insussistenza di cause di immediato proscioglimento, della congruità della sanzione individuata concordemente, diviene titolo per la sottoposizione dell’imputato all’esecuzione della pena senza sia stato compiuto l’accertamento di merito, proprio dell’ordinario rito dibattimentale e degli altri procedimenti speciali. La caratteristica qualificante dell’istituto del patteggiamento, che prevede l’inflizione di una pena all’esito di procedura priva di una ricostruzione probatoria del fatto e dell’accertamento della responsabilità penale secondo le regole valide per il dibattimento o per il giudizio abbreviato Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995, Serafino, rv. 202270 Sez. U, n. 5777 del 27/03/1992, Di Benedetto, rv. 191135 , è anche alla base dell’opinione che esclude la proponibilità del rimedio straordinario della revisione avverso la relativa sentenza, implicante l’espressione di un rinnovato giudizio di merito, fondato sul contrasto tra giudicati. Si è affermato che la sentenza di patteggiamento non rientra nel genus altra sentenza penale irrevocabile , idoneo ad integrare detta ipotesi di revisione ai sensi dell’art. 630, comma 1 lett. a , cod. proc. pen. per i ristretti spazi cognitivi ed i diversi canoni valutativi di apprezzamento della fondatezza dell’addebito, in cui si muove il giudice del patteggiamento rispetto a quanto è demandato al giudice che proceda con altro rito. Un argomento contrario non è individuabile nell’inclusione, a seguito della legge n. 134 del 2003, della sentenza di patteggiamento emesse ai sensi dell’art. 444, comma 2, cod. proc. pen. nel novero delle pronunce soggette a revisione secondo l’elencazione così integrata e contenuta nell’art. 629 cod. proc. pen., riferibile piuttosto agli altri casi di revisione, soprattutto a quelli contemplati alla lettera b del successivo art. 630 Cass. sez. 5, n. 34443 del 04/05/2015, Paoli, rv. 264995 sez. 3, n. 13032 del 18/12/2013, Tosi, rv. 258687 sez. 3, n. 23050 del 23/04/2013, Mattioli, rv. 256169 . L’estensione del rimedio straordinario alla sentenza di patteggiamento, indicato come problematico sul piano sistematico sia dalla dottrina, che dalla giurisprudenza, non ha inciso sulla natura dell’intervento giudiziale di controllo sul patto negoziato tra le parti e sulla funzione della motivazione della relativa sentenza, che esprime il risultato della verifica, ma non il ragionamento cognitivo sotteso esso ha comunque effetti meno ampi rispetto alla revisione ordinaria e non può costituire uno strumento per vanificare una decisione chiesta dall’imputato stesso con manifestazione di consenso irrevocabile e condurre ad una fase di accertamento dei fatti e della responsabilità, che non si è svolta nel procedimento originario e non può ammettersi nemmeno in sede di revisione sez. 6, n. 10299 del 13/12/2013, K, rv. 258997 . 1.2.3 Oltre ai superiori rilievi, è dirimente una duplice considerazione attinente alla nozione di inconciliabilità tra giudicati, che nella giurisprudenza di questa Corte non è ravvisabile nell’ipotesi in cui il contrasto verta sulla valutazione giuridica attribuita agli stessi fatti da due diversi giudici a fronte della identica ricostruzione dell’accaduto quanto alla sua verificazione fenomenologica, posta a base delle due decisioni così sez. 6, n. 15796 del 03/04/2014, Strappa, rv. 259804 in termini anche Cass., sez. 2, n. 14785 del 20/01/2017, Marinacci, rv. 269671 sez. 1, n. 8419 del 14/10/2016, dep. 21/02/2017, Mortola, rv. 269757 sez. 5, n. 3914 del 17/11/2011, Serafini e altri, rv. 251718 . Tale è la situazione verificatasi nel caso in esame, poiché nei confronti del ricorrente per la medesima condotta, avente ad oggetto il possesso delle due schede multicard già di proprietà della società persona offesa, il fatto è stato separatamente considerato quale furto aggravato e quale ricettazione, divergendo dunque l’individuazione della norma incriminatrice applicabile e la corretta definizione giuridica del comportamento illecito. Ma l’argomento ancor più decisivo per la soluzione del tema è ricavabile dalle opinioni dottrinali più accreditate, cui questa Corte ritiene di prestare adesione, secondo le quali l’inconciliabilità tra giudicati sussiste soltanto in situazioni di contrasto teorico tra i fatti posti a fondamento di una pronuncia e quelli stabiliti in altra parimenti irrevocabile. Diverso si presenta il caso in cui il conflitto sia concreto, perché nei confronti dello stesso imputato siano state emesse più sentenze passate in giudicato di condanna o di assoluzione e le divergenti statuizioni, oltre a trasgredire il divieto di bis in idem , diano luogo all’impossibilità pratica di portarle in esecuzione, sicché l’unico rimedio apprestabile è dettato dall’art. 669 cod. proc. pen., come invocato nella situazione del ricorrente. 1.3 Sotto un diverso profilo, non è comunque corretto nemmeno ritenere che la sentenza di patteggiamento non possa essere revocata nella totalità o in parte delle sue statuizioni. Per quanto esito di una negoziazione tra le parti, anche la sentenza di applicazione della pena concordata ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. non si sottrae al rispetto del principio di legalità e, proprio perché equiparata ad una sentenza di condanna, nella quale è insita l’irrevocabilità a norma dell’art. 648 cod. proc. pen., la sua specifica efficacia di giudicato è regolata dagli art. 651 segg. cod. proc. pen Ne consegue che, ai fini dell’esecuzione, quando siano state pronunciate più sentenze per il medesimo fatto contro la stessa persona, una delle quali è rappresentata da una pronuncia di patteggiamento, la situazione di duplicità di titoli esecutivi inerenti al medesimo fatto di reato resta soggetta alla disciplina dell’art. 669 cod. proc. pen., commi 1 e 6, analogamente a quanto si verifica per il concorso di sentenze di condanna. 1.3.1 Il legislatore, con l’imporre il divieto di celebrazione di distinti procedimenti a carico della stessa persona per lo stesso fatto di reato e l’adozione di più provvedimenti, anche non irrevocabili, ma indipendenti l’uno dall’altro, ha inteso perseguire le plurime finalità di presidiare la certezza e la stabilità delle situazioni giuridiche, oggetto di decisione definitiva, di garantire razionalità ed efficienza al sistema processuale e di tutelare la posizione individuale del cittadino imputato, interessato a non vedersi nuovamente perseguito, una volta condannato o prosciolto per quello stesso fatto illecito. L’eventuale duplicazione del procedimento costituisce dunque una disfunzione del sistema processale da scongiurare perché contraria al principio di economia processuale e pregiudizievole per i diritti fondamentali dell’imputato, costretto a reiterare le proprie difese a fronte della medesima accusa mossagli in due sedi processuali distinte. Nell’interpretazione giurisprudenziale, che rinviene significative indicazioni nei lavori parlamentari precedenti l’approvazione dell’attuale codice di rito, nella sua operatività anche nel codice previgente, ove era previsto dall’art. 579, nel suo inserimento nei trattati internazionali, - nell’art. 4 del paragrafo 7 della Convenzione EDU e nell’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea quale uno dei principi fondamentali a tutela del cittadino Europeo -, il divieto di bis in idem ha dunque assunto il rango di principio generale dell’ordinamento processuale, e, come tale, ai sensi del secondo comma dell’art. 12 delle preleggi, di parametro di riferimento necessario per l’interpretazione logico-sistematica e di esso costituiscono espressione concreta le disposizioni sui conflitti positivi di competenza di cui all’art. 28 e segg. cod. proc. pen., l’art. 649 cod. proc. pen. sul divieto di un secondo giudizio, anche se il primo non sia ancora definito con pronuncia incontrovertibile Sez. U. n. 34655 del 28/06/2005, citata e l’art. 669 stesso codice per l’ipotesi di una pluralità di sentenze o di decreti penali, pronunciati per il medesimo fatto Cass. sez. 1, n. 27834 del 01/03/2013, P.G. in proc. Carvelli, rv. 255701 sez. 1, n. 14823 del 03/02/2009, Fusco, rv. 243737 sez. 1, n. 1285 del 20/11/2008, Linfeng, rv. 242750 sez. 1, n. 28581 del 26/06/2008, P.G. in proc. Gasparro, rv. 240482 sez. 6, n. 1892 del 18/11/2004, Fontana, rv. 230760 . Sulla base di tali rilievi sono note applicazioni analogiche dell’art. 669 cod. proc. pen., consentite perché favorevoli al condannato o all’interessato, in materia di incidenti di esecuzione, di misure ablative ai sensi dell’art. 12-sexies L. nr. 356/1992, di benefici penitenziari applicabili da parte del tribunale di sorveglianza e di misure coercitive personali, ossia in situazioni concrete in cui si era posta la necessità di affrontare le problematiche, poste da una pluralità di provvedimenti decisori, emessi in riferimento allo stesso istituto giuridico relativo al medesimo fatto nei confronti dello stesso soggetto. 1.3.2 Ebbene, tanto premesso, la decisione impugnata, laddove si fonda sull’esclusivo rilievo della solo parziale identità dei fatti di reato giudicati in entrambi i processi e sulla non revocabilità della sentenza di patteggiamento, non pare avere tenuto alcun conto, né della finalità cui sono ispirate le varie disposizioni dell’art. 669 cod. proc. pen., né in particolare del suo comma 6, che rende applicabili le prescrizioni dettate dai commi precedenti, compreso il primo -secondo il quale, in caso di pluralità di sentenze irrevocabili di condanna per lo stesso fatto a carico della stessa persona, il giudice ordina l’esecuzione della pronuncia meno grave, revocando le altre-, anche quando siano stati emessi più decreti penali di condanna, o sentenze e decreti, oppure se il fatto è stato giudicato in concorso formale con altri fatti o quale episodio di un reato continuato, premessa, ove necessaria, la determinazione della pena corrispondente . Con tali locuzioni il legislatore ha espressamente ammesso la possibilità di una solo parziale corrispondenza tra fatti, oggetto di distinte pronunce e di una revoca altrettanto parziale del giudicato limitatamente alla porzione di pena che risulti o venga considerata dal giudice dell’esecuzione inflitta per gli stessi fatti di reato, accertati in altro titolo giudiziale quale unico illecito, oppure come uno degli illeciti concorrenti, ovvero quali episodi separati ma confluiti nel reato continuato. In tale senso risulta essersi espressa in motivazione Cass., sez. 1, n. 11757 del 16/02/2012, Borzì, rv. 252566, secondo la quale Il divieto di pluralità di sentenze per il medesimo fatto contro la medesima persona art. 669 c.p.p. non viene meno sol perché, insieme a tale fatto, le più sentenze giudichino anche altri fatti, in ipotesi concorrenti con quello ripetutamente giudicato , ed in tempi ancor più recenti sez. 1, n. 34048 del 16/05/2014 Marti, rv. 260540. Inoltre, il giudice dell’esecuzione non considera nemmeno che in giurisprudenza è stata già riconosciuta la possibilità di una revoca parziale della sentenza di applicazione pena a richiesta delle parti ai sensi dell’art. 673 cod. proc. pen. quando intervenga dopo la sua irrevocabilità l’abrogazione delle norme, che incriminano uno o più reati tra quelli, unificati per continuazione, oggetto della pronuncia stessa sez. 5, n. 4046 del 06/12/1993, dep. 24/01/1994, Andreetta, rv. 197055 sez. 1, n. 4968 del 11/07/2000, Battistella, rv. 217089 sez. 1, n. 42407 del 19/10/2007, Melandri ed altri, rv. 237969 sez. 1, n. 7857 del 09/01/2015, Ndiaye, rv. 262465 . Anche in tali situazioni l’effetto abrogativo della disposizione di legge incide sul piano sostanziale sul cumulo giuridico, imponendone lo scioglimento, e su quello processuale sulla sopravvivenza ed operatività del titolo esecutivo, che viene meno solo in parte, secondo un meccanismo che si replica anche nel caso della violazione del divieto di bis in idem, principio di portata generale che prescinde dal rito adottato nel processo e dalla tipologia di pronuncia giudiziale che lo ha definito. La considerazione della finalità di favore per l’imputato già definitivamente giudicato, perseguita dall’art. 669 cod. proc. pen., della sua frustrazione in situazioni nelle quali lo stesso soggetto ha riportato una punizione, inflittagli due volte per lo stesso fatto materiale, - non importa se si tratti dell’unica sanzione irrogata o se confluita nel cumulo giuridico, dipendente dalla continuazione, stante l’identità di effetti pregiudizievoli, consistenti nella replicazione del trattamento punitivo, non consentita dall’ordinamento -, induce ad affermare il seguente principio di diritto Il divieto di pluralità di sentenze contro la stessa persona per il medesimo fatto di reato non viene meno allorché uno dei provvedimenti giudiziali che si sono pronunciati sia rappresentato da una sentenza di applicazione della pena a richiesta delle parti, che, ai fini dell’esecuzione e di quanto disposto dall’art. 669 cod. proc. pen., è suscettibile anche di revoca parziale . 1.3.3 Né sono ravvisabili ostacoli di ordine pratico alla soluzione sollecitata dal ricorrente una volta riconosciuta in punto di fatto la medesimezza dell’illecito contestato ed accertato, non vi è spazio per valutazioni discrezionali del giudice dell’esecuzione, tenuto ad individuare la decisione da revocare ed a ridefinire il trattamento sanzionatorio eseguibile, depurato dalla porzione di pena più afflittiva ai sensi dell’art. 669 cod. proc. pen., comma 1. Questa sezione ha già individuato anche il possibile percorso metodologico da seguire in fattispecie analoghe, allorché ha riconosciuto che In caso di pluralità di giudicati relativi allo stesso fatto ed alla stessa persona, il giudice dell’esecuzione deve ordinare l’esecuzione del giudicato meno afflittivo e revocare quello più grave, provvedendo ad una revoca parziale di quest’ultimo, qualora, insieme al fatto più volte giudicato, la sentenza che prevede la pena di entità maggiore riguardi anche altri fatti concorrenti, dovendosi in questa ipotesi detrarre, con una operazione matematica, dalla pena irrogata per il fatto giudicato più volte, quella necessaria per eliminare l’effetto della violazione del divieto di secondo giudizio sez. 1, n. 20015 del 15/02/2016, De Stefano, rv. 267278 . In conclusione, l’ordinanza in esame, affetta da violazione ed erronea interpretazione degli artt. 669 e 444 cod. proc. pen. nei termini sopra specificati deve essere annullata con rinvio perché il giudice dell’esecuzione rivaluti il caso alla luce dei vincolanti principi di diritto esposti. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte di appello di Roma.