L’imputato non può revocare il proprio consenso al patteggiamento

Il consenso prestato dall’imputato alla definizione del procedimento tramite patteggiamento non è revocabile per valutazioni soggettive ed unilaterali.

Così si è espressa la Corte di legittimità con la sentenza n. 4401/18, depositata il 30 gennaio. Il caso. Il GIP del Tribunale di Siena applicava a due imputati la pena concordata ex art. 444 c.p.p I rispettivi difensori hanno presentato ricorso in Cassazione deducendo, da un lato, la violazione dell’art. 444 c.p. per il mancato raggiungimento di un valido accordo tra le parti non essendo stato definitivo l’oggetto delle imputazioni e, dall’altro, la nullità della sentenza per l’intervenuta revoca del proprio consenso al patteggiamento. Consenso dell’imputato. Ferma restando l’inammissibilità di entrambe le censure, merita maggiore attenzione il secondo motivo di ricorso. La Corte ripercorre la vicenda affermando che la revoca del consenso, avvenuta a distanza di oltre un anno dalla presentazione di istanza di patteggiamento, deve considerarsi priva di effetti, in quanto non idonea ad elidere il consenso già perfezionatosi . In tema di patteggiamento, la consolidata giurisprudenza di legittimità afferma infatti che l’accordo tra imputato e PM costituisce un negozio giuridico processuale recettizio che – una volta pervenuto a conoscenza dell’altra parte e quanto questa abbia dato il proprio consenso – diviene irrevocabile e non è suscettibile di modifica per iniziativa unilaterale dell’altra, in quanto il consenso reciprocamente manifestato con le dichiarazioni congiunte di volontà determina effetti non reversibili nel procedimento e pertanto né all’imputato, né al pubblico ministero è consentito rimetterlo in discussione . La sentenza in oggetto dà conto anche dell’orientamento giurisprudenziale che ammette la possibilità di revocare il consenso prestato al patteggiamento dopo la stipulazione del patto e prima della pronuncia della sentenza, richiedendo però una sopravvenienza oggettiva, non preventivabile , come ad esempio una legge più favorevole che alteri la precedente valutazione di convenienza dell’accordo di patteggiamento, non certo a valutazioni del tutto soggettive ed unilaterali , come nel caso di specie. In conclusione, la Corte dichiara inammissibile i ricorsi.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 16 ottobre 2017 – 30 gennaio 2018, n. 4401 Presidente Vessichelli – Relatore Pezzullo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 7.5.2015 il G.i.p. del Tribunale di Siena applicava ex art. 444 c.p.p. a G.A. e Gu.Al. la pena di 8 mesi di reclusione, per i reati di cui agli artt. 81, 110, 515, 517 bis c.p., 110, 484 c.p. e 110, 48, 479 c.p., nonché a L.G. la pena di mesi otto di reclusione, per i reati di cui agli artt. 81, 516 e 517 bis c.p., 484 c.p. e 48, 479 c.p 2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso, a mezzo dei rispettivi difensori 2.1 G.A. e Gu.Al. , lamentando la ricorrenza del vizio di violazione di legge e l’errata applicazione dell’art. 444 c.p.p., atteso che, nel caso di specie, non si è mai raggiunto tra le parti un valido accordo negoziale per mancata definizione dell’oggetto del contendere invero, prima dell’istanza di patteggiamento depositata in data 5.4.11 non vi era stata una determinazione precisa delle imputazioni, tanto è vero che quella istanza non recava richiamo a precise contestazioni, poiché non si erano delineate né imputazioni certe, né fatti certi cui far corrispondere ipotesi di reato in particolare, le ipotesi di imputazione contenute nel decreto di sequestro probatorio non erano uguali a quelle contenute nella richiesta di sequestro preventivo e queste ultime differivano dalle imputazioni contenute nell’avviso agli indagati a comparire per rendere interrogatorio inoltre, nessuna delle suddette imputazioni risulta identica a quella contenuta nell’atto denominato consenso del PM sulla richiesta di applicazione di pena del 28.11.2014, sicché del tutto incerto ed evanescente era l’oggetto dell’accordo negoziale ex art. 444 c. p. p., con la conseguenza che esso non può dirsi perfezionato, anche in considerazione del fatto che la richiesta di applicazione di pena era condizionata al verificarsi dell’archiviazione dell’ipotesi più grave ex art. 416 c.c., archiviazione di cui non vi è traccia. 2.2. L.G. lamentando la nullità della sentenza impugnata, atteso che in data in data 18.10.2011, il L. ha revocato il proprio consenso, e quindi, la richiesta di definizione non aveva più valore il consenso, infatti, non è un atto volitivo, che può e deve essere libero, revocabile sino a quando il giudice non abbia deciso. Considerato in diritto I ricorsi sono inammissibili, siccome manifestamente infondati. 1. Con il proprio ricorso G.A. e Gu.Al. mettono in discussione la formazione di un valido accordo ex art. 444 c.p.p. per indeterminatezza delle imputazioni riferibili ad essi deducenti ed in considerazione del fatto che non sarebbe stata accolta espressamente la richiesta di esclusione dell’ipotesi di cui all’art. 416 c.p Tali doglianze sono del tutto destituite di fondamento, atteso che le richieste degli imputati di applicazione della pena si riferiscono esattamente alle ipotesi di reato espressamente indicate artt. 515, 517, 484, 479 c.p. , per le quali è stata pronunciata la sentenza impugnata ex art. 444 c.p.p., sicché alcuna indeterminatezza può ravvisarsi in ordine all’ oggetto dell’accordo . Peraltro, alcun serio elemento è stato addotto dagli imputati al fine di ritenere che la richiesta di applicazione di pena si riferisse a fatti diversi da quelli per i quali è intervenuta la sentenza impugnata, che, invece, sono stati qualificati dalle parti proprio nelle ipotesi di reato ritenute corrette dal giudice e per le quali è stata pronunciata sentenza. La sentenza impugnata, inoltre, ha evidenziato come nell’invito a rendere interrogatorio fossero enunciate le imputazioni che ricalcano i reati di cui ai capi 1, 2, 3, così come nel decreto di sequestro preventivo del novembre 2009 i fatti oggetto di contestazione erano puntualmente descritti e valutati, rilievi questi non seriamente confutati. 1.1. Il fatto che con il consenso prestato in data 28.11.2014 il P.M. abbia esattamente riportato le imputazioni non implica che gli addebiti mossi agli imputati non fossero già stati ampiamente portati a loro conoscenza e, comunque, a tale atto -siccome specifico e dettagliato non può essere attribuita una nuova e diversa valenza rispetto ad un mero consenso. 1.2. Per quanto concerne, poi, la condizione apposta alla richiesta di applicazione della pena ossia l’archiviazione del reato ex art. 416 c.p. essa non emerge dalla richiesta stessa, avendo espressamente gli imputati evidenziato di subordinare l’istanza alla concessione della sospensione condizionale della pena, laddove solo nella premessa vi è un accenno al fatto che alcuni coindagati hanno definito la loro posizione con applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. in relazione ai reati contestati con esclusione dell’ipotesi di cui all’art. 416 c.p. , accenno questo che non implica, all’evidenza, alcuna condizione al patto. Peraltro, ove anche fosse da considerarsi implicitamente apposta la suddetta condizione, il giudice non era tenuto a valutarla, atteso che come già evidenziato da questa Corte in tema d’applicazione di pena su richiesta delle parti, queste ultime non possono subordinare l’efficacia dell’accordo a condizioni, in quanto l’unica evenienza prevista dalla legge alla quale può essere vincolata la produzione degli effetti della richiesta è costituita dalla concessione della sospensione condizionale della pena cfr. in tal senso Sez. 6, n. 9920 del 29/01/2014 . 2. Manifestamente infondato si presenta altresì il ricorso del L. il quale ha addotto l’intervenuta revoca del consenso. Ed invero, dagli atti emerge come peraltro evidenziato nella stessa sentenza impugnata, che il L. presentò istanza ex art. 444 c.p.p. depositata in data 6.8.2010 ed in pari data il P.M. prestò il consenso cfr. dichiarazione in calce all’istanza il P.M presta il consenso alla definizione del procedimento . . In tale contesto la revoca del consenso manifestata dal L. in data 18.10.2011 deve considerarsi priva di effetti, in quanto non idonea ad elidere il consenso già perfezionatosi. In proposito è sufficiente richiamare la giurisprudenza di legittimità senz’altro maggioritaria alla quale il Collegio ritiene di aderire, secondo la quale in tema di patteggiamento, l’accordo tra l’imputato e il pubblico ministero costituisce un negozio giuridico processuale recettizio che una volta pervenuto a conoscenza dell’altra parte e quando questa abbia dato il proprio consenso diviene irrevocabile e non è suscettibile di modifica per iniziativa unilaterale dell’altra, in quanto il consenso reciprocamente manifestato con le dichiarazioni congiunte di volontà determina effetti non reversibili nel procedimento e pertanto né all’imputato, né al pubblico ministero è consentito rimetterlo in discussione Sez. 1, n. 48900 del 15/10/2015 . Peraltro, anche la giurisprudenza di legittimità che ammette la possibilità in tema di patteggiamento di revocare il consenso prestato alla richiesta di applicazione della pena dopo la stipulazione del patto e prima della pronuncia della sentenza ex art. 444 cod. proc. pen. condiziona tale possibilità ad una sopravvenienza oggettiva, non preventivabile, quale ad esempio una legge più favorevole cfr. Sez. 4, n. 15231 del 08/04/2015 , che alteri la precedente valutazione di convenienza sulla base della quale la parte si sia determinata a chiedere o ad acconsentire all’accordo Sez. 4, n. 11209 del 23/02/2012 , non certo a valutazioni del tutto soggettive ed unilaterali, come nella fattispecie in esame. La circostanza, poi, che il P.M. abbia in data 26.11.2014 preso atto del consenso già prestato non implica una rinnovazione implicita di esso, essendosi già l’accordo perfezionato. 4. Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché, trattandosi di causa ò di inammissibilità riconducibile a colpa dei ricorrenti al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare per ciascuno in Euro 2000,00, ai sensi dell’art. 616 c.p.p P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della cassa delle ammende.