Può trovare applicazione il principio di affidamento negli interventi medici di equipe?

In applicazione del principio di affidamento, per individuare la responsabilità penale del singolo sanitario che presta il proprio intervento in equipe medica, è necessario verificare l’incidenza avuta dalla sua condotta nella causazione dell’evento lesivo.

Il principio di affidamento nell’altrui operato è individuabile nei casi in cui il medico interviene su un paziente fornendo il proprio apporto in maniera anche diacronica rispetto all’intervento di altri sanitari, dovendosi accertare, ai fini della valutazione della penale responsabilità di ogni singolo sanitario, quale sia stato l’apporto causale alla verificazione dell’evento fornito dalla sua azione. Questo è quanto statuito dalla Quarta Sezione della Suprema Corte di Cassazione nella sentenza n. 2354 depositata in cancelleria il 19 gennaio 2018. La fattispecie. La vicenda processuale oggetto della decisione in commento è costituita dal decesso di un paziente, a seguito di complicazioni fisiche sopraggiunte successivamente ad un intervento chirurgico. Venivano tratti a giudizio per il reato di omicidio preterintenzionale, imputazione poi modificata dalla Corte territoriale in quella di omicidio colposo, i medici, uno dei quali intervenuto nell’intervento chirurgico, gli altri nel successivo ricovero. Le parti civili ricorrevano avverso la pronuncia della Corte territoriale, lamentando l’inesattezza giuridica della pronunciata sentenza di assoluzione con la formula perché il fatto non sussiste, anziché ricorrere alla declatoria di estinzione del reato per il decorso del termine di prescrizione. Proponevano poi un secondo motivo di gravame, censurando la decisione della Corte territoriale che aveva disposto una nuova perizia volta a chiarire le cause del decesso, senza attribuire invece la giusta rilevanza a quanto emergeva già dalla perizia fatta in primo grado. Uno degli imputati presentava gravame dinnanzi ai Giudici di legittimità, rilevando come si fosse attribuita rilevanza alla incompleta informativa fornita al paziente, come elemento idoneo ad integrare il mancato consenso, rilevando come la mancata o incompleta informativa non potesse comunque essere considerato elemento sul quale poter ravvisare gli elementi tipici della condotta colposa, suggerendo di valutare la sua condotta, come sfornita di rilevanza causale nella verificazione dell’evento morte. Ad avviso del ricorrente, si era verificato un evento idoneo ad interrompere il nesso causale tra la sua azione e la morte del paziente, ravvisabile nelle manovre poste in essere da altro medico, rilevando come il suo intervenuto, anche se considerato come poco tempestivo, non avesse avuto rilievo nella causazione del decesso. Rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in Appello. Il Supremo Collegio rilevava come i motivi posti a fondamento del gravame dalle parti civili, che incentravano il profilo della loro censura, sulla decisione della Corte territoriale di disporre nuova perizia, non potessero essere accolti, in quanto rientra tra i poteri del Giudice di Appello, quello di disporre la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, solo ove lo stesso ritenga di non essere in grado di decidere allo stato degli atti. Tale istituto di carattere eccezionale, è attivato dal Giudice nell’esercizio del suo potere discrezionale, e se adeguatamente motivato, non permette alle parti alcuna opposizione volta a porne in discussione l’opportunità. Nel caso in commento la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale è stata operata per disporre un nuovo accertamento peritale d’ufficio, nel quale è ravvisabile un mezzo di prova neutro, esperito il quale, il Giudice dovrà enunciare con adeguatezza e logicità le regioni che hanno determinato il suo convincimento. Principio di affidamento. Il principio di affidamento in ambito medico trova applicazione nei casi in cui vi è un equipe medica ad operare su un singolo paziente, e i vari atti medici sono esperiti in tempi diversi ed in maniera anche diacronica tra loro, ambito nel quale ogni operatore deve poter effettuare il suo intervento facendo affidamento sul buon operato degli altri. In caso di commissione di un reato, non essendo possibile di regola rispondere per le condotte colpose altrui, la responsabilità personale di ogni interventista viene valutata in relazione all’effettivo apporto causale fornito dalla sua azione alla determinazione dell’evento, in maniera tale da configurare il principio dell’affidamento, come il limite alla posizione di garanzia che ogni sanitario deve fornire in relazione al suo operato, in maniera tale che questo possa far venir meno l’obbligo di garanzia che il medico ha nei confronti del paziente. Rilevanza del consenso informato e rimprovero per colpa. Nella considerazione che in caso di intervento chirurgico con esito positivo, non può essere mosso rimprovero al sanitario che ha effettuato un intervento diverso da quello per il quale il consenso era stato prestato, purché l’intervento abbia determinato un miglioramento delle condizioni di salute del paziente. Il consenso, garantisce il diritto del paziente ad una decisione consapevole in ordine alle scelte terapeutiche che gli vengono prospettate, in maniera tale da rendergli possibile la valutazione delle controindicazioni che potrebbe avere l’intervento per la sua salute, di tal che la mancata o l’inidonea informativa, non po' essere indicativa di elementi fondanti un rimprovero per colpa, anche nel caso di esito infausto dell’intervento, ad eccezione del caso in cui la mancata acquisizione del consenso, determini in capo al medico la mancata conoscenza di elementi, che se ignorati possono causare la scelta di trattamenti con effetti dannosi per la salute del paziente. In tal caso infatti, l’approccio del medico nella conoscenza del paziente si può rivelare carente, ed idoneo a determinare profili di colpa in capo al sanitario. Verificata tale ultima ipotesi, i Giudici della Corte territoriale hanno derubricato l’imputazione in quella di omicidio colposo, e per l’effetto dichiarato l’avvenuta estinzione del reato per prescrizione, applicando a favore della parte civile le statuizioni già pronunciate dal Giudice di prime cure, in maniera incongrua in rapporto alla nuova rubricazione del fatto.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 21 dicembre 2017 – 19 gennaio 2018, n. 2354 Presidente Romis – Relatore Piccialli Ritenuto in fatto Le parti civili V.L. ,V.G. e V.A. , ai fini civili, e l’imputato H.C. ricorrono avverso la sentenza di cui in epigrafe che, per quanto qui interessa, in riforma della sentenza di primo grado, ha mandato assolto l’imputato M.A. , dal reato di omicidio colposo per non aver commesso il fatto, revocando quindi le statuizioni civili, e, previa riqualificazione dell’originaria contestazione di omicidio preterintenzionale, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’H. per intervenuta prescrizione rispetto al reato di omicidio colposo, aggravato ex articolo 61, numero 3, cod.pen., in danno di V.A. . Al M. era stato addebitato, unitamente ad altro sanitario, di non aver richiesto una TAC di controllo, neppure senza mezzo di contrasto, così sottovalutando un nuovo importante sanguinamento, puntualmente verificatosi, costituente causa prima del decesso. La Corte territoriale ha condiviso le valutazioni della perizia disposta in sede di rinnovazione cd. perizia C.D. secondo la quale nessun profilo colposo era addebitabile al M. che, in qualità di radiologo, consulente esterno della casa di cura ove era ricoverato il V. , era stato chiamato in occasione del secondo ricovero del paziente e, a seguito della visita, aveva ritenuto opportuno procedersi a drenaggio di una raccolta interna del liquido, consigliando per l’esecuzione della manovra il prof. S. , anch’egli assolto in sede di appello, nella sua qualità di radiologo interventista. La doglianza delle parti civili riguarda solo l’assoluzione del M. , e la censura si sostanzia in due distinti profili. In primo luogo, con il primo motivo, si assume l’illegittimità dell’ordinanza del 25 gennaio 2016, con la quale Corte di secondo grado aveva ritenuto di dovere conferire una nuova perizia la cd. perizia C.d. , sul presupposto, che si assume erroneo, dell’inutilizzabilità dell’elaborato peritale acquisito in primo grado cd. perizia G. perché i periti si sarebbero avvalsi di altro professionista in assenza di autorizzazione. La Corte di appello, accogliendo l’eccezione formulata per la prima volta nei motivi di appello dal M. ex art. 228, comma 2, cod.proc.pen., aveva ritenuto tale fatto violativo del principio del contraddittorio. Sul punto si deduce che l’eventuale nullità, di carattere relativo, doveva essere eccepita ex art. 182, comma 2, cod. proc. pen., subito dopo il suo verificarsi identificato in quello della udienza del 17 gennaio 2014, la prima dopo il deposito in cancelleria della perizia . Con il secondo motivo si lamenta il difetto di adeguata motivazione a fondamento dell’assoluzione, siccome asseritamente basata su acritica adesione all’elaborato peritale acquisito in sede di rinnovazione del dibattimento. Si deduce che la Corte di merito aveva omesso di valutare la CTU della difesa di parte civile che aveva posto in risalto il punto del cd sanguinamento sentinella , la cui trattazione, pur di estremo rilievo, è stata omessa sia dalla CTU che dalla sentenza. Con lo stesso motivo lamentano la violazione dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., sul rilievo che la Corte di appello, nel pronunciare l’assoluzione del M. per non aver commesso il fatto, aveva omesso la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione. L’imputato H. , invece,con plurimi motivi, contesta gli argomenti posti dalla Corte di merito a fondamento della decisione. Con il primo motivo lamenta il travisamento della prova, laddove la Corte di appello aveva individuato la condotta colposa del ricorrente nell’avere omesso di proporre o informare il paziente dell’alternativa all’intervento del follow up. Si assume che entrambe le perizie avevano evidenziato che il cistoadenoma-indipendentemente dalla sua malignità accertata anche solo per la sintomatologia e per le dimensioni, andava resecato. Si contesta anche il profilo di colpa individuato nell’assenza di un valido consenso, evidenziando che tale elemento non integra un profilo autosufficiente di colpa e che comunque dagli atti emergevano testimonianze che attestavano l’adeguata informazione del V. e del convivente. Con il secondo motivo si duole del difetto assoluto di motivazione con riferimento alla memoria ex art. 121 cod.proc.pen. depositata presso la cancelleria della Corte di assise di appello, con la quale si sottolineava l’assenza del nesso di causalità tra le condotte addebitare al ricorrente e l’evento infausto, rimarcando la rilevanza causale assorbente della condotta dell’anestesista, la cui scelta di estubare il paziente in attesa dell’arrivo del chirurgo doveva considerarsi interruttiva del nesso causale, mentre nessun addebito poteva addebitarsi allo stesso H. per la determinazione assunta di ritardare l’esecuzione dell’intervento in attesa del suo arrivo. Con il terzo motivo e quarto motivo, strettamente connessi,lamenta l’erronea applicazione della legge penale con riferimento alla ritenuta sussistenza del nesso eziologico tra l’intervento di pancreasectomia distale e l’evento morte. Il riferimento è all’affermazione di responsabilità in relazione al ritardo nell’intervento chirurgico, in violazione della posizione di garanzia che gravava sull’H. , che gli imponeva di far intervenire altro chirurgo ovvero di ordinare il trasferimento del paziente in un ospedale attrezzato e di non ritardare l’esecuzione con il suo arrivo. Tale valutazione tralasciava di considerare la condotta colposa dei sanitari della omissis che avrebbe compromesso gli esiti favorevoli di un intervento salvifico, incidendo in modo irreversibile sulla possibilità di sopravvivenza del paziente. In tal senso si rimarca il ritardo nel fronteggiare l’emorragia e nel notiziare il ricorrente dopo oltre sei ore dal ricovero nonché la condotta dell’anestesista, che aveva determinato la emorragia inarrestabile, ritenuta irrazionale e sconsiderata da entrambe le CTU. Sotto tale ultimo profilo si rimarca che nelle condizioni in cui versava il paziente il supporto respiratorio risultava necessario per ridurre il lavoro ventilatorio e prevenire l’arresto cardiocircolatorio. Nessun addebito poteva addebitarsi allo stesso H. per la determinazione assunta di ritardare l’esecuzione dell’intervento in attesa del suo arrivo. Anche con memoria aggiunta, si censura la scelta del giudicante di mantenere le statuizioni civili, pur in presenza di derubricazione. È stata depositata memoria difensiva nell’interesse del M. con la quale si chiede dichiararsi l’inammissibilità, rigetto del ricorso di parte civile. Considerato in diritto I ricorsi delle parti civili sono infondati. La rinnovazione del dibattimento nel giudizio di appello è un istituto di carattere eccezionale al quale può farsi ricorso esclusivamente quando il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti, sicché non può essere censurata la sentenza nella quale siano indicati i motivi per i quali la riapertura dell’istruttoria dibattimentale non si reputi necessaria e, per converso, non può essere censurata la sentenza che invece ritenga necessario procedere a rinnovare il dibattimento. Ciò vale a fortiori allorquando si verta in tema di rinnovazione dell’istruttoria ai fini dell’effettuazione di perizia, in quanto la perizia ha concettualmente la natura di mezzo di prova neutro , sottratta alla disponibilità delle parti e rimessa alla discrezionalità del giudice, e ciò anche quando alla base della determinazione di assumerla si evochi, magari impropriamente, una questione di nullità o inutilizzabilità della precedente perizia svolta in primo grado. Il tema è solo quello dell’apprezzamento dei diversi apporti tecnici e del sindacato riservato in proposito alla Corte di legittimità. Vale in proposito il principio secondo cui la Corte di cassazione non è ovviamente giudice del sapere scientifico, giacché non detiene proprie conoscenze privilegiate essa, in vero, è solo chiamata a valutare la correttezza metodologica dell’approccio del giudice di merito al sapere tecnico-scientifico, che riguarda la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine alla affidabilità delle informazioni che vengono utilizzate ai fini della spiegazione del fatto. In questa prospettiva, il giudice di merito può fare legittimamente propria, allorché gli sia richiesto dalla natura della questione, l’una piuttosto che l’altra tesi scientifica, purché dia congrua ragione della scelta e dimostri di essersi soffermato sulla tesi o sulle tesi che ha creduto di non dover seguire. Entro questi limiti, non rappresenta vizio della motivazione, di per sé, l’omesso esame critico di ogni più minuto passaggio della relazione tecnica disattesa, poiché la valutazione delle emergenze processuali è affidata al potere discrezionale del giudice di merito, il quale, per adempiere compiutamente all’onere della motivazione, non deve prendere in esame espressamente tutte le argomentazioni critiche dedotte o deducibili, ma è sufficiente che enunci con adeguatezza e logicità gli argomenti che si sono resi determinanti per la formazione del suo convincimento. Laddove il giudice abbia rispettato tali principi, il giudizio di fatto formulato è incensurabile in sede di legittimità cfr. Sez. 4, n. 18080 del 18/03/2015, parti civili Eccher ed altri in proc. Barretta ed altro . Il principio è qui calzantemente applicabile, a fronte di decisione che ha spiegato ampiamente e non illogicamente le ragioni dell’adesione alla tesi della perizia disposta in sede di rinnovazione, spiegando anche giuridicamente le ragioni della pronuncia liberatoria, in un contesto oggettivo e soggettivo in cui la Corte territoriale ha ritenuto di escludere i profili di responsabilità originariamente addebitati al M. per l’assenza di riscontri positivi circa il ruolo efficiente avuto nell’esito mortale. Si tratta di argomenti qui non censurabili, anche a fronte di un ricorso generico, perché neppure sono dettagliate nello specifico le ragioni a supporto del preteso coinvolgimento eziologico del M. la doglianza sul punto è meramente pretensiva. L’iter motivazionale è invece coerente con il principio, correttamente richiamato dal giudice di merito secondo il quale nella ipotesi, come quella in esame, in cui il trattamento sanitario affidato ad una pluralità di medici, sia pure in forma diacronica attraverso atti medici successivi, sfoci in un esito infausto, ciò che rileva, ai fini della individuazione della penale responsabilità di ciascuno di essi, è la verifica della incidenza della condotta di ciascuno sull’evento lesivo, sconfinando altrimenti la valutazione nel campo della responsabilità oggettiva. In tale situazione vige il principio di affidamento, che trova applicazione in ogni situazione in cui una pluralità di soggetti si trovi ad operare a tutela di un medesimo bene giuridico sulla base di precisi doveri suddivisi tra loro. In questa situazione è opportuno che ogni compartecipe abbia la possibilità di concentrarsi sui compiti affidatigli, confidando sulla professionalità degli altri, della cui condotta colposa, poi, non può essere chiamato di norma a rispondere. Così configurato il principio di affidamento funge da limite all’obbligo di diligenza gravante su ogni titolare della posizione di garanzia. Si tratta di un tema molto delicato perché tale principio va contemperato con l’obbligo di garanzia verso il paziente che è a carico del sanitario di tutti i sanitari che partecipano contestualmente o successivamente all’intervento terapeutico . È evidente infatti che la mera applicazione del principio di affidamento consentirebbe ad ogni operatore di disinteressarsi completamente dell’operato altrui, con i conseguenti rischi legati a possibili difetti di coordinamento tra i vari operatori. Il riconoscimento della responsabilità per l’errore altrui non è, conseguentemente, illimitato e, per quanto qui rileva, richiede la verifica del ruolo svolto da ciascun medico dell’equipe, non essendo consentito ritenere una responsabilità di gruppo in base a un ragionamento aprioristico. Tale verifica, per quanto sopra esposto in fatto, è stata compiuta dalla Corte di appello e la sentenza non merita censura. Anche la doglianza con la quale si contesta la possibilità per il giudice di appello che abbia constatato una causa di estinzione del reato, di emettere una sentenza di assoluzione nel merito, è infondata. Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità vale il principio secondo il quale, all’esito del giudizio di merito, il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, salvo che, in sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili v. Sez. U, n. 35490 del 15/09/2009, Tettamanti . Infondato è anche il motivo con il quale si censura la sentenza nella parte in cui non avrebbe affrontato la questione relativa alla individuabilità del cd. sanguinamento sentinella come causa di potenziale degenerazione delle condizioni del paziente. La questione è stata compiutamente trattata dal giudice di appello, ma per escludere l’addebito di H. con riferimento al secondo ricovero in omissis del V. . Sul punto, la Corte di merito, dando atto anche della contestazione dei consulenti di parte, ha recepito il contenuto della perizia di ufficio ed ha spiegato le ragioni per le quali ha aderito ad essa sottolineandone la conformità agli insegnamenti ed alla prassi scientifica della comunità internazionale. È stato così rimarcato che la natura del sanguinamento è emersa soltanto in occasione del secondo intervento quello tardivamente effettuato da H. nella tarda serata del 9 maggio mentre non potevano essere assunti alla stregua di errori professionali, la mancata effettuazione della TAC con mezzo di contrasto, rispettosa della volontà del paziente e della scelta di dimetterlo,considerato il quadro di stabilizzazione delle condizioni generali. Tale profilo di colpa non risulta, invece, essere stato contestato al M. , per il quale comunque varrebbero le stesse considerazioni. Al rigetto dei ricorsi delle parti civili segue la condanna delle stesse al pagamento delle spese processuali. Quanto al ricorso proposto nell’interesse dell’imputato H. , vale ricordare in premessa che il giudice di appello, nel prendere atto di una causa estintiva del reato verificatasi nelle more del giudizio di secondo grado, è tenuto a pronunciarsi, in forza dell’articolo 578 cod.proc.pen., sull’azione civile, dovendo quindi necessariamente compiere una valutazione approfondita dell’acquisito compendio probatorio, senza essere legato ai canoni di economia processuale che impongono la declaratoria della causa di estinzione del reato quando la prova dell’innocenza non risulti ictu oculi cfr. la già citata Sez.U, Tettamanti . Va allora considerato che la Corte di secondo grado non si è sottratta a tale compito, allorquando è passata ad esaminare, anche con il conforto degli elaborati tecnici, i diversi profili di censura nei confronti della condotta professionale dell’imputato. Compito che il giudicante ha effettuato con argomentazioni non illogiche, tra l’altro attente ad escludere il rilievo di alcuni dei comportamenti invece in origine posti a fondamento della contestazione. Decisivo rilievo, qui in termini incensurabili, è attribuito alla violazione del proprium cautelare del chirurgo, chiamato a vigilare sulle condizioni del paziente per tutti gli eventi correlabili alle conseguenze dell’intervento effettuato, tra l’altro considerato effettuato in assenza di consenso validamente prestato. Il giudicante si è così soffermato, in particolare, sul carente monitoraggio delle fasi critiche dovute a patologie direttamente riconducibili alla scelta di operare insorgere del diabete e sulla non giustificata scelta di ritardare il secondo intervento pur in presenza di un paziente in fin di vita che doveva essere trattato con urgenza. Sono argomenti qui non censurabili, anche perché si è in presenza di declaratoria di prescrizione. Non colgono nel segno le critiche della difesa sulla asserita rilevanza attribuita dal giudice di merito alla mancanza di un consenso valido, pur dovendosi meglio chiarire e puntualizzare le considerazioni sviluppate in sentenza, non sempre chiare. In realtà, il punto di partenza, correttamente inteso dalla Corte di secondo grado, è la sentenza della Corte di cassazione, Sezioni unite, n. 2437 del 18/12/2008, dep.2009, Giulini, Rv. 241752, anche se intervenuta sulla questione della possibile rilevanza penale della condotta del sanitario che, in assenza di consenso informato del paziente, sottoponga il paziente stesso ad un determinato trattamento chirurgico nel rispetto delle regole dell’arte e con esito fausto. La Corte ha escluso rilevanza penale nel caso in cui il medico sottoponga il paziente ad un trattamento chirurgico diverso da quello in relazione al quale era stato prestato il consenso informato e tale intervento, eseguito correttamente, si sia concluso con esito fausto, nel senso che ne è derivato un apprezzabile miglioramento delle condizioni di salute, in riferimento anche alle eventuali alternative ipotizzabili e senza che vi fossero indicazioni contrarie da parte del paziente medesimo, tale condotta è priva di rilevanza penale, tanto sotto il profilo del reato di lesioni volontarie articolo 582 cod.pen. , che sotto quello del reato di violenza privata articolo 610 cod.pen. . Le Sezioni unite, in definitiva, hanno definitivamente chiarito che la mancanza o l’invalidità del consenso non ha alcuna rilevanza penale. Si tratta piuttosto di apprezzare gli effetti penali che dall’eventuale mancato o invalido consenso possono derivare per il medico in caso ovviamente di esito infausto o comunque dannoso del proprio intervento. È il tema di fondamentale rilievo della valutazione del contenuto della colpa . È da ritenere v. in tal senso anche Sez. 4, n. 37077 del 24/06/2008 parte civile Ruocco ed altro in proc. Marazziti, Rv. 240963 che la valutazione del comportamento del medico, sotto il profilo penale, quando si sia in ipotesi sostanziato in una condotta vuoi omissiva, vuoi commissiva dannosa per il paziente, non ammette un diverso apprezzamento a seconda che l’attività sia stata prestata con o in assenza di consenso. Cosicché, per intenderci, il giudizio sulla sussistenza della colpa non presenta differenze di sorta a seconda che vi sia stato o no il consenso informato del paziente. Con la importante precisazione che non è di regola possibile fondare la colpa sulla mancanza di consenso, perché l’obbligo di acquisire il consenso informato non integra una regola cautelare la cui inosservanza influisce sulla colpevolezza infatti, l’acquisizione del consenso non è preordinata in linea generale ad evitare fatti dannosi prevedibili ed evitabili , ma a tutelare il diritto alla salute e, soprattutto, il diritto alla scelta consapevole in relazione agli eventuali danni che possano derivare dalla scelta terapeutica in attuazione di una norma costituzionale art. 32, comma 2 . In realtà, come esattamente precisato dalla citata sentenza resa nel procedimento imp. M. , in un unico caso la mancata acquisizione del consenso potrebbe avere rilevanza come elemento della colpa allorquando, la mancata sollecitazione di un consenso informato abbia finito con il determinare, mediatamente, l’impossibilità per il medico di conoscere le reali condizioni del paziente e di acquisire un’anamnesi completa ciò che potrebbe verificarsi, esemplificando, in caso di mancata conoscenza di un’allergia ad un determinato trattamento farmacologico o in quello di mancata conoscenza di altre specifiche situazioni del paziente che la sollecitazione al consenso avrebbe portato alla attenzione del medico . In questa evenienza, il mancato consenso rileva non direttamente, ma come riflesso del superficiale approccio del medico all’acquisizione delle informazioni necessarie per il corretto approccio terapeutico v., per utili riferimenti, Sez. 4, n. 10795 del 14/11/2007, dep. 2008, Pozzi, dove si afferma che il medico ha l’obbligo di assumere dal paziente o, se ciò non è possibile, da altre fonti informative affidabili tutte le informazioni necessarie al fine di garantire la correttezza del trattamento medico chirurgico praticato al paziente . È in questa prospettiva, che regge e va condivisa la decisione gravata, allorquando evidenzia il tema della affermata mancanza di un consenso valido e pieno come nello specifico dimostrativo di un atteggiamento colposo del sanitario, rilevante ai fini del verificatosi evento lesivo, giacché la mancata prospettazione dell’alternativa possibile che doveva essere posta in sede di consenso informato all’intervento nello specifico, il follow up terapeutico ha posto le condizioni per un approccio interventistico approssimativo e inutilmente rischioso, con gli effetti dettagliati in contestazione. E peraltro la decisione presenta un vizio che ne impone l’annullamento con specifico riguardo ai profili civilistici il giudice di appello, infatti, pur avendo derubricato l’originaria contestazione, e in tale prospettiva comunque limitato l’ambito dei profili di colpa addebitati infine all’imputato, si è limitata a confermare le statuizioni civilistiche adottate in primo grado nei confronti dell’imputato. È evidente l’erroneità di tale determinazione, non solo non supportata da adeguata spiegazione, ma comunque concettualmente incompatibile con l’evidenziata derubricazione. Si impone l’annullamento della decisione, nei confronti dell’ H. , limitatamente alle statuizioni civili, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello il ricorso dell’H. stesso va nel resto rigettato il giudice del rinvio provvederà alla regolamentazione delle spese tra le parti anche per il presente grado di giudizio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di H.C. limitatamente alle statuizioni civili e rinvia sul punto al giudice civile competente per valore in grado di appello cui rimette il regolamento delle spese tra le parti anche per questo giudizio di legittimità rigetta nel resto il ricorso dell’H. . Rigetta i ricorsi delle parti civili V.L. , V.A. e V.G. e condanna gli stessi al pagamento delle spese processuali.