L’invio di una fotocopia contraffatta non integra il reato di falsità materiale

L’esibizione di una fotocopia falsa di un documento, esistente o meno in forma originale, volta a procurare un vantaggio all’agente, non configura il delitto di falsità materiale ex art. 476 c.p

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 2297/18, depositata il 19 gennaio. Il caso. La Corte d’Appello di Trieste confermava la responsabilità penale riconosciuta dal Giudice di prime cure nei confronti dell’imputato per aver questi inviato tramite fax un certificato falso di pagamento di una fattura, apparentemente emessa dal Comune di Campoformido, al fine di ottenere un finanziamento bancario. Avverso la sentenza della Corte distrettuale l’imputato ricorre per cassazione denunciando l’insussistenza del reato di falsità materiale ex artt. 476 ss. c.p., in quanto la fotocopia di un documento non sarebbe idonea ad integrare tale illecito penalmente rilevante. La falsa fotocopia di un documento. Il Supremo Collegio riconosce che secondo l’orientamento prevalente non integra il delitto di falsità materiale la condotta di colui che esibisca la falsa fotocopia di un documento esistente o meno in originale al fine di conseguire un qualche vantaggio, qualora si tratti di fotocopia esibita ed usata come tale dall’imputato . Infatti, la disciplina sulla falsità materiale è volta a reprimere la contraffazione o l’alterazione dei soli documenti originali, non anche la condotta di colui che utilizzi le riproduzioni di un documento, quando, per le modalità e le circostanze dell’uso, sia chiaro che si tratti di una fotocopia comunque realizzata dallo stesso . Nel caso di specie, la Suprema Corte afferma che sono configurabili reati diversi quali la truffa, ma non anche i reati previsti dagli artt. 476 ss. c.p. . La Corte dunque annulla la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 10 novembre 2017 – 19 gennaio 2018, n. 2297 Presidente Lapalorcia – Relatore Settembre Ritenuto in fatto 1. La Corte d’appello di Trieste ha, con la sentenza impugnata, confermato il giudizio di responsabilità formulato dal giudice di prima cura a carico di D.G. per il reato di cui agli artt. 476-489 cod. pen. e, in parziale riforma della sentenza impugnata, ha, su appello dell’imputato, ridotto la pena a lui irrogata. D. è accusato di avere, al fine di ottenere un finanziamento di 60.000 Euro, inviato - tramite fax - alla BCC di omissis un falso certificato di pagamento, apparentemente emesso dal comune di omissis , attestante il pagamento di una fattura di Euro 71.324,14. 2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato, lamentando quanto segue. 2.1. Secondo gli ultimi approdi della giurisprudenza di legittimità la fotocopia di un documento non integra il reato di falso quando, nell’intenzione dell’agente e nella valenza oggettiva, l’atto sia presentato come fotocopia. 2.2. La Corte d’appello non ha valutato la plausibile tesi alternativa, proposta dalla difesa, secondo cui altri potrebbero aver inviato alla banca la fotocopia del certificato, stante il fatto che l’imputato non aveva la rappresentanza legale della società a nome della quale l’atto fu inviato. Incongruamente la Corte d’appello ha inteso superare l’obiezione, asserendo che la firma apposta sulla richiesta di anticipazione bancaria, a cui fu allegato il falso certificato di pagamento, corrisponde ictu oculi a quella dell’imputato, trattandosi di circostanza accertata - in assenza di perizia - in maniera atecnica e soggettiva . 2.3. I giudici hanno errato nella qualificazione giuridica del fatto, in quanto il certificato di pagamento previsto dall’art. 195 del d.p.r. 207/2010 - a differenza dal mandato di pagamento - riproduce lo stato dei fatti come rappresentato dal direttore dei lavori , sicché ha funzione certificativa. Di conseguenza, è errata la qualificazione di atto pubblico ad essa attribuita dai giudici di merito. Considerato in diritto È fondato il primo motivo di ricorso, che ha carattere assorbente rispetto agli altri. Secondo la prevalente giurisprudenza di questa Corte - a cui il Collegio aderisce - non integra il delitto di falsità materiale la condotta di colui che esibisca la falsa fotocopia di un documento esistente o meno in originale al fine di conseguire un qualche vantaggio, qualora si tratti di fotocopia esibita ed usata come tale dall’imputato Cass., sez. 5, n. 8870 del 9/10/2014, rv 263422 sez. 2, n. 42065 del 3/11/2010 sez. 5, n. 7385 del 14/12/2007 . In questo caso, infatti, la fotocopia è priva dei requisiti di forma e di sostanza capaci di farla sembrare un provvedimento originale o la copia conforme di esso ed è da escludere che sia comunque documentativa dell’esistenza di un atto corrispondente. Le norme sulla falsità materiale colpiscono, infatti, la contraffazione o l’alterazione dei documenti originali e sono dirette a reprimere la condotta di colui che ne crei l’apparenza non anche la condotta di colui che utilizzi le riproduzioni di un documento, quando, per le modalità e le circostanze dell’uso, sia chiaro che si tratti di una copia comunque realizzata dello stesso. In quest’ultimo caso potranno ravvisarsi, a seconda dei casi, reati diversi per esempio, il reato di truffa , ma non anche i reati previsti dagli artt. 476 e segg. cod. pen Nella specie, l’imputato inviò un fax alla BCC di omissis , con cui fece figurare l’avvenuta emissione, a suo favore, di un certificato di pagamento in realtà mai emesso pose in essere, quindi, un artifizio per ingannare la banca, ma non contraffece alcun atto o certificato pubblico. La sentenza va quindi annullata perché il fatto non sussiste. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.