Semi di cannabis proposti in vendita online: è istigazione a delinquere

Confermato il sequestro preventivo della merce. Per i Giudici è evidente come il venditore abbia spinto gli acquirenti a coltivare sostanze stupefacenti. Significativa anche la disponibilità di consigli per la crescita delle piantine.

Pubblicizzata su Facebook la vendita di semi di cannabis. Scelta commercialmente giusta, ma sanzionabile a livello penale. Per i Giudici ci si trova di fronte a un chiaro esempio di istigazione a delinquere. Confermato perciò il sequestro preventivo del prodotto, cioè oltre 91mila semi Cassazione, sentenza n. 196/18, sez. VI Penale, depositata l’8 gennaio 2018 . Istigazione alla coltivazione di sostanze stupefacenti. Terreno di scontro è proprio il decreto con cui è stato autorizzato il sequestro, che ha riguardato non solo la merce acquistabile on line ma anche attrezzature per la coltivazione della canapa e alcuni depliants . Il venditore, un giovane campano, contesta l’addebito, ossia il reato di istigazione a delinquere , sostenendo in Cassazione che la vendita di semi di cannabis era attività del tutto lecita e priva di controindicazioni di carattere penale e quindi poteva costituire legittimo oggetto di pubblicizzazione attraverso depliants e Facebook . A margine, poi, egli aggiunge che la platea di potenziali acquirenti era composta da persone già aduse al consumo di stupefacenti . Ogni obiezione si rivela però inutile. Per i Giudici del Palazzaccio, difatti, se non si può parlare di istigazione all’uso di stupefacenti , sicuramente è ipotizzabile il reato di istigazione alla coltivazione di sostanze stupefacenti , senza dimenticare l’utilizzo del web – Facebook, per la precisione – per pubblicizzare l’offerta di semi di cannabis. E rilevante, infine, è ritenuto anche il fatto che agli acquirenti erano fornite specifiche indicazioni circa le modalità con cui avrebbero dovuto essere coltivate le piantine . Legittimo, di conseguenza, il sequestro preventivo degli oltre 91mila semi.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 5 dicembre 2017 – 8 gennaio 2018, n. 196 Presidente Rotundo – Relatore Gianesini Ritenuto in fatto e considerato in diritto - ritenuto che il Difensore di Ga. RU. ha proposto ricorso per Cassazione contro l'ordinanza con la quale il Tribunale di AVELLINO, in sede di riesame, ha confermato il decreto di sequestro preventivo di semi di oltre 91.000 semi di cannabis, attrezzature per la coltivazione della canapa e depliants meglio descritti nel verbale di sequestro in atti - ritenuto che il ricorrente ha dedotto un unico motivo di ricorso, per mancanza di motivazione ex art. 606, comma 1 lett. e cod. proc. pen. - ritenuto in particolare che il ricorrente ha censurato il ragionamento attraverso il quale il Tribunale era giunto ad affermare la qualificabilità della condotta in termini di violazione dell'art. 414, terzo comma cod. pen., dato che la vendita di semi di cannabis era attività del tutto lecita e priva di controindicazioni di carattere penale e poteva quindi costituire legittimo oggetto di pubblicizzazione attraverso depliants e Facebook - ritenuto ancora che il ricorrente ha sottolineato che la condotta dell'indagato era strutturalmente inidonea a costituire una istigazione punibile dato che l'azione stessa si rivolgeva a persone già aduse al consumo di stupefacenti e non poteva poi trovare applicazione nemmeno la fattispecie di cui all'art. 82 D.P.R. 309/90 a beneficio, semmai, di quella meramente amministrativa di cui all'art. 84 - considerato che la Corte ha correttamente escluso che nel caso in esame ricorresse la fattispecie di cui all'art. 82 D.P.R. 309/90, sulla base di quanto affermato da Cass. Sez. Unite 18/10/2012 n. 47604, Ba., Rv 253550 secondo la quale l'offerta in vendita di semi di piante dalle quali è ricavabile una sostanza drogante, accompagnata da precise indicazioni botaniche sulla coltivazione delle stesse, non integra il reato di cui all'art. 82 D.P.R. n. 309 del 1990 - considerato ancora che la Corte ha adeguatamente dato ragione della qualificazione del fatto nei termini di istigazione ex art. 414 cod. pen. sussistendo poi il requisito della pubblicità della condotta dato che la stessa è stata tenuta con il mezzo della stampa o altro mezzo di propaganda e cioè attraverso strumenti informatici di comunicazione e diffusione quali Faceboock - considerato ancora che la Corte ha individuato il reato istigato in quello di coltivazione di sostanze stupefacenti, sempre punibile a prescindere dalla destinazione della droga coltivata, e ha giustificato il carattere di concreta idoneità della condotta di istigazione con il richiamo alle modalità con la quale la stessa si è realizzata, dato che la detenzione dei sei era accompagnata da specifiche indicazioni circa le modalità con le quali le piantine ottenute con gli stessi avrebbero dovuto essere coltivate - considerato conclusivamente che il ricorso va dichiarato inammissibile in quanto proposto per motivi manifestamente infondati, con le conseguenze di cui all'art. 616 cod. proc. pen. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.