«La tua azienda chiuderà…»: frase poco elegante ma non punibile

Cadono le accuse nei confronti di un uomo che ha augurato il fallimento a un imprenditore. Impossibile, secondo i Giudici, parlare di una reale minaccia.

Poco elegante, senza dubbio, augurare il fallimento a un imprenditore. Ma l’auspicio negativo pronunciato a voce alta non è certo paragonabile a una minaccia Cassazione, sentenza n. 54879/2017, Sezione Quinta Penale, depositata il 6 dicembre 2017 . Malaugurio. Scenario della vicenda è un Tribunale. A margine dell’udienza di una causa civile viene pronunciata la frase incriminata L'azienda chiuderà e tu finirai a guardare pecore ti finirà male, vedrai . Destinatario è un imprenditore, che prende malissimo quelle parole e le considera una vera e propria minaccia, oltre che un malaugurio. I Giudici non sono però dello stesso parere, e fanno cadere le accuse nei confronti della persona che ha augurato il fallimento all’imprenditore. In particolare, prima in Appello e poi in Cassazione viene osservato che la formula impersonale utilizzata evoca un male futuro, la cui realizzazione non dipende dalla volontà della persona che ha auspicato la chiusura dell’azienda. In sostanza, secondo i Giudici, ci si trova a un mero auspicio , non punibile in ambito penale.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 28 novembre – 6 dicembre 2017, n. 54879 Presidente Palla – Relatore Morosini Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Con la sentenza impugnata il Tribunale di Enna, in riforma della sentenza di condanna pronunciata in primo grado, assolveva l'imputato dal reato di minaccia a lui ascritto, perché il fatto non sussiste. 2. Avverso la sentenza ricorre la parte civile, per il tramite del difensore, articolando un solo motivo, con il quale deduce violazione di legge e vizio di motivazione. Secondo il ricorrente la motivazione sarebbe apodittica e avulsa dalle risultanze dibattimentali, non si sarebbe tenuto conto del fatto che sia il teste Lo Gi. sia il teste Ci. avrebbero, concordemente, confermato le minacce rivolte dall'imputato all'indirizzo della persona offesa, in loro presenza, all'esito di un'udienza civile. Il giudice inoltre avrebbe omesso di motivare sulla inattendibilità della persona offesa e dei testi Lo Gi. e Ci., avrebbe inoltre errato Dell'escludere la valenza minatoria delle frasi profferite dall'imputato, senza tenere conto che, ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 612 cod. pen., è sufficiente l'ingiustizia del danno, senza necessità che si realizzi l'effettiva intimidazione della vittima. 3. Il ricorso è infondato. 4. Il vizio di motivazione non sussiste. Diversamente da quanto affermato dal ricorrente, il Tribunale valuta le deposizioni dei testi Lo Gi. e Ci Nega efficacia probante alla dichiarazione della prima testimone, che ricordava soltanto un tono genericamente minaccioso pagina 4 della sentenza . Assegna, invece, rilevanza alla seconda. In sentenza viene riprodotta testualmente la frase che l'imputato avrebbe pronunciato all'indirizzo della persona offesa, nei termini riferiti dal teste Ci. la Centroform chiuderà e tu finirai a guardare pecore . ti finirà male, vedrai . Al contrario di quanto sostenuto in ricorso, il giudice di merito conferisce particolare attendibilità a questo testimone, dato che l'avvocato Ci. rappresentava la persona offesa nella causa civile, all'esito della quale era scoppiato il diverbio in rassegna. Ebbene, secondo la valutazione del giudice di merito, tale frase non integra, sotto il profilo oggettivo, il reato di minaccia di cui all'art. 612 cod. pen., poiché la formula impersonale, utilizzata dall'imputato, evoca un male futuro, la cui realizzazione non dipende dalla volontà dell'agente. La sentenza impugnata tiene conto delle prove richiamate in ricorso, ma giunge a esito opposto rispetto a quello propugnato dal ricorrente. Le conclusioni, cui perviene il giudice di merito, sono sorrette da una motivazione coerente e lineare. Le critiche svolte dal ricorrente non fanno emergere profili di illogicità, finendo per risolversi in prospettazioni di interpretazioni alternative del materiale probatorio non proponibili in questa sede. 5. Le ulteriori doglianze sono inconferenti rispetto alla ratio decidendi. La sussistenza del reato è stata esclusa non perché non sia stato accertato uno stato di intimidazione né perché sia stata esclusa la ingiustizia del male, ma perché si è ritenuto che le frasi pronunciate fossero niente più che un auspicio o una previsione dell'imputato che l'attività della persona offesa non sarebbe andata a buon fine pagina 5 della sentenza impugnata . Tale valutazione, non criticata dal ricorrente, è corretta alla luce della giurisprudenza della Corte di legittimità, secondo cui non può parlarsi di minaccia quando il male non sia prospettato come dipendente dalla volontà dell'agente Sez. 5, n. 35763 del 20/09/2006, Ro., in motivazione . 6. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.