Acquistava annunci pubblicitari per due ‘lucciole’: condannato

Evidente per i Giudici il fatto che l’uomo abbia favorito e sfruttato le due donne, che erano ospitate nell’appartamento che lui aveva loro sublocato. Nessun dubbio sulla consapevolezza della loro presenza e della loro attività.

Ha sublocato l’appartamento a due straniere e, contemporaneamente, si è adoperato affinché venissero pubblicati alcuni annunci pubblicitari che promuovevano i ‘servigi’ offerti dalle due donne. Inevitabile la condanna per favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione” Cassazione, sentenza n. 52639/17, sez. III Penale, depositata oggi . Messaggio. Nessun dubbio per i Giudici, sia in Tribunale che in Corte d’Appello l’uomo sotto accusa, di origini siciliane ma operativo nel milanese, va condannato a 30 mesi di reclusione e 400 euro di multa . Inequivocabili le sue condotte, consistite nel sublocare un appartamento a due ‘lucciole’ e nel renderne nota la presenza con annunci pubblicitari ad hoc . Nessuna via di scampo per l’uomo neanche in Cassazione. Anche per i Giudici del Palazzaccio, difatti, è assolutamente legittima la condanna. Decisiva è ritenuta innanzitutto la constatazione che egli, non rivestendo certamente il ruolo di gestore di siti internet o, comunque, di soggetto incaricato di raccolte pubblicitarie , ha provveduto ad acquistare spazi pubblicitari al fine di ottenere la pubblicazione del messaggio che dava conto dell’attività di meretricio delle due donne , che, viene aggiunto, si prostituivano nell’appartamento a lui locato e poi a loro sublocato . Impossibile, quindi, sostenere la tesi di una presunta inconsapevolezza dell’uomo sulla presenza di entrambe le giovani asiatiche nell’alloggio e sulle prestazioni da loro offerte ai clienti.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 26 settembre – 20 novembre 2017, n. 52639 Presidente Di Nicola – Relatore Cerroni Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 18 febbraio 2016 la Corte di Appello di Milano ha confermato la sentenza del 14 aprile 2015 del Tribunale di Lodi, in forza della quale Ma. Po. era stato condannato alla pena di anni due mesi sei di reclusione ed Euro 400 di multa per il reato di cui agli artt. 81 capoverso cod. pen., 3, n. 5 e 8 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, con l'aggravante di cui all'art. 4 della medesima legge, oltre alle sanzioni interdittive e con le attenuanti generiche equivalenti rispetto all'aggravante contestata ed alla recidiva. 2. Avverso il predetto provvedimento l'imputato, a mezzo del difensore, ha proposto ricorso per cassazione con tre articolati motivi d'impugnazione. 2.1. Col primo motivo il ricorrente ha dedotto violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla fattispecie di cui all'art. 3 della legge 75 cit In particolare, il ricorrente ha osservato che la mera pubblicazione di annunci pubblicitari di prostitute sul sito web doveva interpretarsi come servizio reso a favore della persona che esercita il meretricio e non della prostituzione, attesa tra l'altro l'assenza di condotte tali da favorire il contatto tra prostituta e cliente. Non vi era poi la prova che l'uso della fotocopia del documento necessario per concludere il contratto di annunci pubblicitari fosse stato autorizzato dal titolare, mentre la sola sottoscrizione del contratto di locazione dell'immobile non rappresentava di per sé condotta di favoreggiamento della prostituzione nel difetto della consapevolezza che ivi si sarebbe svolta attività di meretricio. 2.2. Col secondo motivo di censura è stata dedotta la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. c ed e cod. proc. pen. in relazione agli artt. 520, 521, 522 e 527 cod. proc. pen., atteso che il Tribunale aveva ritenuto sussistente in fatto l'aggravante di cui all'art. 4 della legge 75 cit., senza che al riguardo ve ne fosse traccia nel capo d'imputazione, né vi era stata contestazione nel corso dell'istruttoria dibattimentale. In specie non vi era comunque prova della consapevolezza da parte dell'imputato dell'esistenza di più persone all'interno dell'appartamento. 2.3. Col terzo motivo infine il ricorrente ha lamentato il diniego di concessione delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza, dal momento che i fatti di cui al casellario giudiziale erano risalenti nel tempo ed avevano avuto ad oggetto reati di natura quasi bagattellare. 3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell'inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto 4. Il ricorso è inammissibile. In via del tutto preliminare, peraltro, la Corte osserva che l'esame dei motivi di ricorso può essere effettuato prendendo in considerazione sia la motivazione della sentenza impugnata sia quella della sentenza di primo grado, e ciò in quanto i giudici di merito hanno adottato decisioni e percorsi motivazionali comuni, che possono essere valutati congiuntamente ai fini di una efficace ricostruzione della vicenda processuale e di una migliore comprensione delle censure del ricorrente. E' infatti appena il caso di ricordare che qualora il giudice d'appello abbia accertato e valutato, come in specie, il materiale probatorio con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado, le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscono una sola entità logico-giuridica, alla quale occorre far riferimento per giudicare della congruità della motivazione, integrando e completando quella adottata dal primo giudice le eventuali carenze di quella d'appello Sez. 1, n. 1309 del 22/11/1993, dep. 1994, Scardaccione, Rv. 197250 . Invero, allorché le sentenze di primo e secondo grado concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo ex plurimis, Sez. 1, n. 8868 del 26/06/2000, Sangiorgi, Rv. 216906 . 4.1. Del tutto infondato, ciò posto, si presenta anzitutto il primo motivo di impugnazione. Al riguardo, infatti, è stato ripetutamente osservato, anche dalla Corte territoriale, che non integra il reato di favoreggiamento della prostituzione la condotta di chi, nella gestione di un sito internet , pubblichi su di esso gli annunci pubblicitari, quand'anche corredati delle foto, a lui inviati dalle prostitute senza svolgere alcuna attività di collaborazione organizzativa, come ad esempio la predisposizione di servizi fotografici nuovi Sez. 3, n. 4443 del 12/01/2012, M., Rv. 251971 Sez. 3, n. 20384 del 29/01/2013, Bo. e altro, Rv. 255426 Sez. 3, n. 48981 del 21/10/2014, Pi., Rv. 261209 . Ma, se non vi è motivo di revocare in dubbio il principio richiamato, la posizione del ricorrente è all'evidenza del tutto diversa, dal momento che egli, non rivestendo certamente il ruolo di gestore di siti internet ovvero comunque di soggetto incaricato di raccolte pubblicitarie, si è limitato ad acquistare spazi pubblicitari al fine di ottenere la pubblicazione del messaggio che dava conto dell'attività di meretricio delle due donne. In proposito del tutto condivisibile si presenta, quindi, la motivazione addotta in diritto dalla Corte territoriale. 4.1.1. Il ricorrente altresì appare porre in contestazione la circostanza di avere provveduto a richiedere la pubblicazione delle inserzioni, lasciando intendere un uso in qualche misura indebito della copia del proprio documento di identità. Trattasi peraltro di questione di fatto mai dedotta in precedenza, per cui ogni accertamento al riguardo è da considerarsi definitivamente precluso. 4.1.2. Allo stesso tempo, manifestamente infondata la questione in diritto formulata e sicuramente inammissibile il rilievo in fatto v. supra , non vi è pertanto questione - difettando qualsivoglia impugnazione in proposito - in ordine alla circostanza dell'acquisto, da parte del Po., di spazi pubblicitari per le due donne cinesi che si prostituivano nell'appartamento locato all'odierno ricorrente e poi sublocato. 4.2. Alla luce anche delle considerazioni appena svolte, il fatto dell'acquisto di spazi pubblicitari per l'attività delle due donne circostanza ribadita dal Tribunale e non specificamente contestata induce a ritenere la piena consapevolezza dell'odierno ricorrente quanto alla presenza di entrambe le giovani asiatiche nell'alloggio. Né ha mai ricevuto conferma istruttoria, come osservato correttamente dai giudici di merito, quanto infine allegato dall'odierno ricorrente in ordine ad una sua relazione sentimentale con una delle donne, si che l'attività illecita compiuta si sarebbe risolta solamente in un favore reso alla fidanzata. Ciò posto, ed in relazione al secondo motivo di impugnazione, è insegnamento consolidato che, ai fini della contestazione dell'accusa, ciò che rileva è la compiuta descrizione del fatto e non anche l'indicazione degli articoli di legge che si assumono violati Sez. 3, n. 22434 del 19/02/2013, Na., Rv. 255772 . Infatti si deve avere riguardo alla specificazione del fatto più che all'indicazione delle norme di legge violate, per cui ove il fatto sia precisato in modo puntuale, la mancata individuazione degli articoli di legge violati è irrilevante e non determina nullità, salvo che non si traduca in una compressione dell'esercizio del diritto di difesa Sez. 3, n. 5469 del 05/12/2013, dep. 2014, Russo, Rv. 258920 . In specie, del tutto correttamente è stata così ritenuta l'aggravante di cui all'art. 4 n. 7 della legge 75 del 1958 se il fatto è commesso ai danni di più persone , dal momento che nel capo d'imputazione era specificato che il Po., nella sua qualità di locatario dell'appartamento sito in Lodi .lo locava a sua volta a Wa. Li. e Do. Cu. Ya., esercenti ivi attività di prostituzione .che egli altresì favoreggiava e sfruttava .acquistando spazi pubblicitari .tesi ad offrire prestazioni sessuali a pagamento delle due donne cinesi . Al di là della specifica contestazione, non può sorgere ragionevole dubbio in ordine al fatto che vi è ampia ed analitica descrizione della condotta, anche in relazione alla presenza di più persone, siccome ascritta all'odierno ricorrente. Il quale d'altronde non ha allegato in proposito alcuna specifica lesione alla propria attività difensiva. 4.3. Parimenti del tutto infondata si presenta l'ultima ragione di censura. In primo luogo la Corte territoriale ha esattamente osservato che l'odierno ricorrente non aveva mosso colà obiezioni all'applicazione della recidiva, si che ogni questione si presenta in questa sede preclusa. Per quanto infine concerne il contestato giudizio di mera equivalenza tra attenuanti generiche da un lato ed aggravante e recidiva contestate dall'altro, le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione Sez. 2, n. 31543 del 08/06/2017, Pe., Rv. 270450 . Invero, in tema di concorso di circostanze, il giudizio di comparazione risulta sufficientemente motivato quando il giudice, nell'esercizio del potere discrezionale previsto dall'art. 69 cod. pen., scelga la soluzione dell'equivalenza, anziché della prevalenza delle attenuanti, ritenendola quella più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto Sez. 2, n. 31531 del 16/05/2017, Pistilli, Rv. 270481 . Al riguardo, tenuto conto dell'apprezzamento istituzionalmente riservato al giudice del merito, tutt'altro che arbitrarie ed illogiche appaiono le considerazioni svolte dalla Corte territoriale, la quale ha dato conto - ai fini della valutazione di equivalenza - del variegato ventaglio illecito maturato dall'odierno ricorrente nell'arco di un trentennio nonché dell'assenza di comportamenti positivamente apprezzabili, a fronte di una condotta reiteratasi nel tempo e di ben difficile natura occasionale. 5. I motivi d'impugnazione appaiono pertanto manifestamente infondati, si che va dichiarata senz'altro l'inammissibilità del ricorso. Tenuto infine conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.