Magistrato indagato per corruzione: la mia carriera per... delle stoviglie!

La sospensione del magistrato dalla sua funzione non assume rilevanza in riferimento alla sussistenza delle esigenze cautelari. Tale misura, infatti, costituisce un provvedimento disciplinare, che segue un procedimento autonomo.

E' quanto affermato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 49200/2017, depositata il 26 ottobre. Il caso. Il GIP competente sottoponeva agli arresti domiciliari 3 indagati per gli illeciti di cui agli artt. 318 corruzione per l'esercizio della funzione e 319- ter corruzione in atti giudiziari c.p La prima imputazione veniva contestata a 2 degli indagati, un magistrato ed un pregiudicato, rilevando come il pubblico ufficiale avesse ricevuto delle utilità stoviglie, utilizzo gratuito di un immobile e intermediazione per acquisto di un'autovettura dal pregiudicato. Il secondo reato, invece, veniva rimproverato al magistrato con riferimento ad altre utilità ricevute da diverso soggetto personal computer, prestito di un furgone, recupero di refurtiva . La contropartita delle due condotte contestate, consisteva rispettivamente nel porre il magistrato al servizio del pregiudicato e nel favorire l'altro soggetto in alcuni procedimenti penali uno dei quali si era concluso con l'assoluzione dello stesso . Il Tribunale del riesame confermava la statuizione del GIP e la Corte di Cassazione annullava con rinvio l'ordinanza del Tribunale del riesame. Il Tribunale competente, in sede di rinvio, annullava l'ordinanza genetica in relazione alla prima imputazione e alla posizione del magistrato e ravvisava, in relazione alla seconda imputazione, il pericolo di reiterazione del reato da parte del giudice. Il Procuratore della Repubblica eccepiva la mancanza e la contraddittorietà della motivazione in relazione alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. Allo stesso modo, il Giudice indagato ricorreva per cassazione, lamentando l'affermazione del pericolo di reiterazione del reato nonostante egli fosse stato sospeso dall'esercizio delle funzioni e il suo vizio di motivazione. Gravi indizi di colpevolezza. Gli Ermellini hanno ritenuto infondato il ricorso del Procuratore. In relazione ai gravi indizi di colpevolezza concernenti l'illecito di corruzione in atti giudiziari, la Corte ha ribadito che il Tribunale si è correttamente conformato al principio di diritto emanato dalla Corte in sede di rinvio, secondo cui le condotte del giudice non potevano considerarsi atti giudiziari da intendersi come atti funzionali ad un procedimento giudiziario . L'operatività del patto corruttivo ipotizzato ex art. 319- ter c.p. si realizza con la trattazione di plurimi procedimenti che coinvolgono già il corruttore. Sospensione dalla funzione ed esigenze cautelari. Il Collegio ha ritenuto parimenti infondato il ricorso del Giudice. Corretta è stata l'affermazione del Tribunale, secondo cui la sospensione del Giudice non assume rilevanza in riferimento alla sussistenza delle esigenze cautelari. Essa, infatti, è un provvedimento disciplinare, che segue un iter autonomo art. 21 d.lgs. n. 109/2006 . La Corte ha, poi, evidenziato come il Giudice di merito abbia esaminato tutte le condotte agevolatrici tenute dal magistrato e ne abbia affermata la gravità, con una valutazione non criticabile. A chiosa della sentenza, i Giudici del Palazzaccio hanno ribadito che, in materia di ricorso avverso il provvedimento di applicazione della misura cautelare nel frattempo divenuta inefficace o revocata per ritenere ancora sussistente l'interesse del ricorrente a perseverare nell'impugnazione, il fatto deve essere oggetto di specifica deduzione deve, pertanto, essere provato il pregiudizio che conseguirebbe dal suo mancato riconoscimento. Per le ragioni sopra esposte, la Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 5 – 26 ottobre 2017, n. 49200 Presidente Diotallevi – Relatore Sgadari Ritenuto in fatto 1.G.U. , C.V. e S.M. erano stati sottoposti alla misura cautelare degli arresti domiciliari con ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma in ordine a due ipotesi di reato di cui agli artt. 318 e 319-ter cod. pen Quanto alla prima violazione - contestata al capo A della imputazione provvisoria al G. ed al C. - il Giudice per le indagini preliminari aveva ritenuto sussistente la gravità indiziaria in ordine al fatto che il dottor C.V. , magistrato in servizio con funzioni di Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Tempio Pausania, avesse ricevuto da G.U. , soggetto pregiudicato, utilità consistite in stoviglie da utilizzare in un ristorante riconducibile ad una società della quale egli C. era socio, nell’utilizzo gratuito di un immobile del G. sito in , nonché nell’intermediazione da parte del G. per l’acquisto di un’autovettura Smart. In ordine alla seconda violazione, contestata al capo B , il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma aveva ritenuto che altre utilità il C. avesse ricevuto da S.M. , consistenti in un personal computer, nel prestito di un furgone e nel recupero parziale di refurtiva proveniente da un furto subito dal magistrato presso la sua abitazione. Il tutto, al fine di porre la sua funzione al servizio del G. ed al fine di favorire lo S. in procedimenti penali ed anche per averlo assolto da uno di essi. 2. Il Tribunale del riesame di Roma aveva confermato il provvedimento coercitivo. 3. La Corte di cassazione, adita su ricorso degli indagati G. e C. , con sentenza del 22 marzo 2017, annullava l’ordinanza del Tribunale del riesame, rinviando al medesimo Tribunale per nuovo esame quanto alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine alla contestazione di cui al capo A ed in ordine alle esigenze cautelari per la posizione di entrambi i ricorrenti, anche con riguardo al capo B , la cui piattaforma indiziaria invece confermava. La stessa Corte Suprema, con separato provvedimento, rigettava il ricorso di S.M. , indagato in ordine al solo capo B . 4. Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Roma, in sede di rinvio dalla Cassazione, ha dichiarato, in primo luogo, inammissibile la richiesta di riesame di G.U. , dal momento che l’indagato era stato nelle more scarcerato e non aveva personalmente manifestato specifici elementi volti a giustificare il permanere di un suo concreto interesse a coltivare l’impugnazione. In secondo luogo, ha annullato l’ordinanza genetica con riferimento alla posizione di C.V. ed in relazione al capo A dell’imputazione provvisoria. Adeguandosi al principio di diritto fissato dalla sentenza di annullamento di questa Corte, il Tribunale ha escluso che fosse emerso alcun interessamento trasversale del magistrato presso altri colleghi, prima che fossero adottati provvedimenti riguardanti il G. , né era possibile evincere che G. avesse motivo di temere il coinvolgimento a breve in altri procedimenti penali, rientranti nella sfera di competenza del Tribunale di Tempio Pausania , sicché non era configurabile un pactum sceleris coinvolgente l’esercizio delle funzioni da parte del C. . In terzo luogo, il Tribunale ha ravvisato, in ordine al capo B ed al medesimo indagato C.V. , la sussistenza del pericolo di reiterazione del reato, sostituendo la misura degli arresti domiciliari con quella della sospensione dall’esercizio delle funzioni giudiziarie per 12 mesi. 4. Avverso tale provvedimento e per il suo annullamento ricorrono in questa sede il Procuratore della Repubblica di Roma, C.V. e G.U. . 4.1. Il Procuratore della Repubblica di Roma deduce mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione quanto alla ritenuta insussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine al capo A . Si duole del fatto che il Tribunale avrebbe frettolosamente liquidato le emergenze processuali, che dimostrerebbero come il G. fosse soggetto con interessi illeciti radicati in e come, quindi, il C. , se costui avesse subito altri procedimenti penali, avrebbe certamente conosciuto della posizione del suo favorito o come Giudice per le indagini preliminari o come GUP, due soli essendo i giudici cui erano attribuite tali funzioni all’interno del Tribunale di Tempio Pausania competente per territorio. Inoltre, il Tribunale non avrebbe valorizzato alcune condotte compiute dall’indagato, dimostrative del fatto che egli avesse asservito le funzioni giudiziarie ricoperte alle pretese del G. . In particolare - interessandosi della sorte della misura cautelare disposta contro il medesimo - dando informazioni sul prossimo trasferimento di un giudice che si sarebbe occupato del procedimento a carico del G. al fine di suggerire strategie difensive a costui - contattando una collega nel tentativo di alleggerire la posizione di A.C. , amico comune del C. e del G. - intervenendo presso i carabinieri di omissis in occasione del controllo effettuato nei confronti di una società della quale egli era socio insieme ad A. - offrendosi di intervenire presso le forze di polizia dello scalo aeroportuale di , laddove il G.U. fosse stato sottoposto a controllo e trattenuto per la possibile violazione del divieto di dimora - rivelando ad A. il contenuto di atti giudiziari prima che essi fossero conosciuti dal destinatario. 4.2. C.V. , a mezzo del suo difensore, deduce 1 violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo alla sussistenza dell’esigenza cautelare del pericolo di reiterazione nel reato, ritenuta nonostante il ricorrente fosse stato già sottoposto alla sospensione delle funzioni con provvedimento del CSM, che non è soggetto a revoca automatica per effetto della cessazione della misura se non quando vengano a mancare i gravi indizi di colpevolezza 2 violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla ritenuta sussistenza dei requisiti di concretezza ed attualità del pericolo di reiterazione nel reato, specie ove si fosse considerato che le uniche condotte sensibili, che il ricorrente assume essere state sporadiche ed occasionali, sarebbero state quelle relative al capo B , una volta venuta meno la sussistenza indiziaria del reato contestato al capo A 3 vizio di motivazione in ordine alla valorizzazione delle specifiche condotte ritenute rilevanti ai fini di giustificare la sussistenza del pericolo di reiterazione nel reato. 4.3. G.U. , a mezzo dei suoi difensori e con unico atto deduce violazione di legge quanto alla ritenuta insussistenza di deduzioni specifiche con riguardo al permanere dell’interesse all’impugnazione, da ricondurre alla possibilità di agire per la riparazione per l’ingiusta detenzione subita. Si dà atto che nell’interesse dei ricorrenti G. e C. sono state depositate memorie difensive. Considerato in diritto 1. Il ricorso del Procuratore della Repubblica di Roma è infondato. 1.1. Il Tribunale, a proposito dei gravi indizi di colpevolezza relativi alla corruzione in atti giudiziari di cui al capo A della imputazione provvisoria, si è correttamente conformato al principio di diritto, qui non più sindacabile, riveniente dalla sentenza di annullamento con rinvio disposto da questa Corte con sentenza del 22 marzo 2017, secondo cui cfr. fgg. 15 e 16 della citata sentenza le condotte commesse dal dottor C. , al di là del loro rilievo sul piano deontologico, non rientravano nell’alveo degli atti giudiziari, cioè di atti funzionali ad un procedimento giudiziario, in quanto espressivi di un potere idoneo ad incidere sul funzionamento dell’ufficio giudiziario o sull’esito del procedimento . Nel non riconoscere un ambito sufficientemente circoscritto, nei termini appena detti, al rapporto tra il C. ed il favorito G. , questa Corte aveva ancora precisato, in quella stessa decisione, che l’operatività dell’ipotizzato patto corruttivo, ex art. 319-ter cod. pen., può ravvisarsi nello sviluppo di un rilevante processo o nella trattazione di plurimi processi cui il privato corruttore è già sottoposto, ovvero nel coinvolgimento in futuri procedimenti di cui sia peraltro concretamente prospettabile l’inizio . 1.2. La Corte di cassazione ha, poi, escluso, così come aveva fatto il Tribunale, che a tale alveo potessero ricondursi le condotte del C. volte a favorire il G. , quali quella di informarsi in ordine alla misura cautelare allo stesso applicata, ovvero inserirsi nelle sue strategie difensive attraverso colloqui anche con il suo difensore. Le altre condotte citate dal Pubblico Ministero nel suo ricorso, per un verso, esulano dal capo di imputazione quelle dirette a favorire l’A. o lo stesso C. in quanto socio di costui per altro verso, non rientrano nel perimetro tracciato dalla Corte di cassazione, risolvendosi anche in ragionamenti meramente ipotetici a proposito della possibilità di futuri processi a carico del G. fermo restando che non può essere rimesso in discussione in questa sede il principio di diritto prima indicato, attraverso una interpretazione giuridica volta ad ampliare l’ambito delle condotte rientranti nella fattispecie incriminatrice. 2.2. Anche il ricorso di C.V. è infondato. 1. Quanto al primo motivo, il Tribunale ha correttamente ritenuto irrilevante, ai fini della valutazione circa la sussistenza delle esigenze cautelari relative al capo B , la circostanza che il ricorrente potesse incorrere nella sospensione dalle funzioni disposta dal C.S.M Si tratta, infatti, di ambito disciplinare che nulla ha a che vedere con la decisione adottata in sede penale e che segue un percorso autonomo, secondo quanto stabilito dall’art. 21 del D.Lgs. 23 febbraio 2006 n. 109, potendo essere mantenuta, la sospensione disposta dal C.S.M., anche in caso di cessazione o revoca della misura non per mancanza di gravi indizi di colpevolezza, a dimostrazione della autonomia dei procedimenti e delle valutazioni proprie di ciascuno di essi. La motivazione sulla sussistenza del pericolo di reiterazione nel reato adottata dal Tribunale - al di là del richiamo alla normativa appena richiamata che riguarda l’ambito disciplinare - è idonea a far ritenere infondata la censura difensiva sul punto, dal momento che, ai fgg. 12 e 13 dell’ordinanza impugnata, sono state espresse valutazioni molto penetranti sulla capacità del ricorrente, grazie anche ai suoi legami con soggetti pregiudicati, di commettere condotte illecite non strettamente legate all’esercizio della sua funzione, rispetto alle quali ultime poteva ritenersi bastevole la misura disposta dal C.S.M. a tutelare l’esigenza cautelare in discorso. 2. Nel provvedimento impugnato, infatti - così passando all’esame del secondo e del terzo motivo - il Tribunale ha valorizzato anche tutte le numerose e reiterate condotte agevolatrici nei confronti dello S.M. , sulla cui valenza dimostrativa ai fini della prova della gravità indiziaria della contestazione di cui al capo B non può più discutersi in questa sede, essendosi formato il giudicato cautelare sul punto, a seguito della sentenza di questa Corte richiamata a proposito del ricorso del Pubblico Ministero prima trattato. Il Tribunale, con valutazione immune da vizi logico-giuridici rilevabili in questa sede, ha sottolineato la gravità, il numero e la recente datazione delle condotte commesse dal C. , ritenendole espressione di pervicacia nel delinquere, scongiurabile solo attraverso la disposta misura, tenendo anche in conto che il rapporto con il favorito risulta essere intercorso con continuità a partire dal 2014 e fino al 2016. Sotto questo profilo, le deduzioni del ricorrente, anche quelle contenute nel terzo motivo di ricorso, si rivelano di puro merito e pretenderebbero una rilettura globale delle emergenze processuali che in questa sede è preclusa. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del C. al pagamento delle spese processuali. 3. Il ricorso di G.U. è manifestamente infondato. Non risulta, infatti, che il ricorrente, al di là della proposizione della impugnazione, abbia specificato le concrete ragioni per le quali dovesse ravvisarsi un interesse a coltivare il gravame anche dopo la revoca della misura cautelare intervenuta nelle more. In proposito, la giurisprudenza di questa Corte è oramai univoca nel considerare che in tema di ricorso avverso il provvedimento applicativo di una misura cautelare custodiale nelle more revocata o divenuta inefficace, perché possa ritenersi comunque sussistente l’interesse del ricorrente a coltivare l’impugnazione in riferimento a una futura utilizzazione dell’eventuale pronuncia favorevole ai fini del riconoscimento della riparazione per ingiusta detenzione, è necessario che la circostanza formi oggetto di specifica e motivata deduzione, idonea a evidenziare in termini concreti il pregiudizio che deriverebbe dal mancato conseguimento della stessa,formulata personalmente dall’interessato o dal suo difensore munito di procura speciale, cosa non avvenuta nella specie, così come correttamente sottolineato a fg. 2 dell’ordinanza impugnata cfr. Sez. U, n. 7931 del 2010, dep. 2011, Testini . Pertanto, anche sotto il profilo formale il ricorso si rivela inammissibile. Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna di G.U. al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro millecinquecento alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso di G.U. , che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 favore della Cassa delle Ammende. Rigetta i ricorsi del Procuratore della Repubblica di Roma e di C.V. e condanna quest’ultimo al pagamento delle spese processuali.