Taroccato il ticket per il parcheggio: il bluff non riuscito vale una condanna

Fatale il controllo effettuato dal vigile urbano, che ha poi chiesto l’intervento della polizia giudiziaria. Nessuna via di fuga per l’automobilista.

Bluff non riuscito. Evidente che il ticket per la sosta sia taroccato. Così si spiega la chiamata del vigile urbano alla polizia giudiziaria. Inevitabile perciò la condanna per l’automobilista, ritenuto colpevole di falsità materiale commessa da privato” Cassazione, sentenza n. 48107/17, sez. V Penale, depositata oggi . Ticket. L’episodio si svolge a Milano. Decisivo è l’occhio esperto dell’esponente della Polizia municipale è lui a segnalare lo strano ticket ‘gratta e sosta’ , chiedendo l’intervento della polizia giudiziaria. Per l’uomo che ha piazzato il biglietto falso sul cruscotto della propria vettura non ci sono vie di fuga deve affrontare un processo con l’accusa di falsità materiale . E l’esito non è a lui favorevole sia in Tribunale che in Corte d’appello viene ritenuto colpevole. La situazione non cambia neanche in Cassazione, dove l’automobilista vede respinte le obiezioni proposte e confermata la condanna. I Giudici escludono innanzitutto l’ipotesi della grossolanità del ticket su questo fronte viene ricordato come in Appello sia stata sottolineata la necessità per il vigile urbano di chiamare la polizia giudiziaria per avere conferma della alterazione del tagliando per la sosta . Evidente, invece, è, sempre secondo i giudici, la natura certificativa e autorizzativa del ticket per il parcheggio . Rapporto. Irrilevante poi è considerato il richiamo fatto dal difensore dell’automobilista alla forma iuris del soggetto emittente l’autorizzazione al parcheggio , poiché ciò che conta, osservano i giudici, è il profilo oggettivo dello svolgimento di funzioni di carattere amministrativo di gestione del suolo pubblico da parte del soggetto a ciò autorizzato dall’ente territoriale . E in questa ottica non può essere ignorato il fatto che lo svolgimento della funzione da parte della società privata – la ‘Azienda Trasporti Milano spa’ – avviene sempre sulla base di un rapporto concessorio o comunque autorizzatorio intercorrente tra l’ente territoriale il Comune di Milano, in questo caso e la società , rapporto con cui si trasferisce lo svolgimento delle necessarie funzioni amministrative al soggetto imprenditoriale che gestisce il relativo servizio di utilizzazione del suolo pubblico e di parcheggio cittadino .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 22 settembre – 18 ottobre 2017, n. 48107 Presidente Settembre – Relatore Amatore Ritenuto in fatto 1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Milano ha confermato la condanna del predetto imputato per il reato di cui agli artt. 477 e 482 cod. pen., condanna già applicata in primo grado dal Tribunale di Milano. Avverso la predetta sentenza ricorre l'imputato, per mezzo del suo difensore, affidando la sua impugnativa a due motivi di doglianza. 1.1 Denunzia il ricorrente, con il primo motivo, violazione di legge in relazione all'art. 49, comma 2, cod. pen Si evidenzia che, in realtà, la Corte milanese aveva errato nel ritenere infondato il rilievo di grossolanità del falso contestato giacché la situazione di evidente alterazione del c.d. ticket gratta e sosta era stata evidenziata anche nella comunicazione della notizia di reato ove si parlava di tagliandi palesemente alterati e comunque non era rilevante la circostanza, invece argomentativamente valorizzata nella motivazione impugnata, della ritenuta necessità di chiamare da parte del vigile urbano la polizia giudiziaria per avere conferma della intervenuta alterazione dei tagliandi. 1.2 Con il secondo motivo si evidenzia, comunque, l'irrilevanza penale della condotta, atteso che i tagliandi contraffatti erano stati emessi non già dal Comune di Milano ma dalla A.T.M. Azienda Trasporti Milano che giuridicamente è una società per azioni e dunque gli stessi erano rappresentativi di un rapporto obbligatorio di diritto privato e non erano pertanto riconducibili al concetto di autorizzazione amministrativa, come invece impropriamente ritenuto dalla Corte meneghina che non aveva centrato la quest'io iuris proposta con il relativo motivo di gravame. Considerato in diritto 2. Il ricorso è infondato. 2.1 II primo motivo di doglianza è addirittura inammissibile, per come formulato. Ed invero, la Corte di merito aveva già adeguatamente e correttamente risposto alle doglianze sollevate nel gravame ed oggi qui riproposte pedissequamente in sede di ricorso per cassazione, senza tuttavia un'adeguata allegazione in punto di censura della motivazione resa dal giudice di appello. Sul punto, è utile precisare che il motivo di ricorso si considera affetto da aspecificità allorquando è fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerarsi non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell'art. 591 comma 1 lett. c , all'inammissibilità Sez. 4, 29/03/2000, n. 5191, Ba., Rv. 216473 Sez. 1, 30/09/2004, n. 39598, Bu., Rv. 230634 Sez. 4, 03/07/2007, n. 34270, Sc., Rv. 236945 Sez. 3, 06/07/2007, n. 35492, Tasca, Rv. 237596 . Orbene, osserva la Corte come il profilo relativo alla denunziata ed asserita grossolanità del falso era stata superata argomentativamente dal giudice del gravame in modo corretto e condivisibile, e ciò nonostante l'odierno ricorrente ha riproposto le medesime doglianze sollevate con l'atto di appello, senza confrontarsi con la motivazione resa sul punto dal giudice di secondo grado. 2.2 II secondo motivo è invece infondato. Giova ricordare che la giurisprudenza di questa Corte ha affermato, in subiecta materia, il principio al quale anche questo Collegio intende fornire continuità applicativa, condividendone la ratio decidendi secondo cui configura il reato di falsità materiale commessa dal privato artt. 477 e 482 cod. pen. l'alterazione della scadenza dell'orario di parcheggio sullo scontrino rilasciato dal parchimetro nelle aree adibite alla sosta per le autovetture del Comune, atteso che lo scontrino riveste la caratteristiche tipiche del certificato amministrativo attestante l'avvenuto pagamento della somma prescritta per la sosta , e dell''autorizzazione amministrativa autorizzando, per l'orario indicato a sostare nell'area pubblica Sez. 5, n. 4108 del 08/10/1996 - dep. 07/01/1997, P.M. in proc. Pa., Rv. 20663401 . Stante la sopra richiamata natura certificativa ed autorizzativa del tagliando del parcheggio, nessun dubbio può residuare in realtà sulla configurabilità nel caso di specie del reato oggi contestato all'imputato. Del pari, risulta infondata la ulteriore censura riguardante l'asserita inconfigurabilità del reato di cui al combinato disposto degli artt. 477 e 482 cod. pen. per la natura privatistica del soggetto imprenditoriale emittente il predetto tagliando, atteso che, per un verso, non risulta rilevante per i fini qui di discussione la forma iuris del soggetto emittente la descritta autorizzazione al parcheggio essendo invece rilevante, per contro, il profilo oggettivo dello svolgimento di funzioni di carattere amministrativo di gestione del suolo pubblico da parte del soggetto a ciò autorizzato dall'ente territoriale e che, per altro verso, lo svolgimento della funzione da ultimo menzionata da parte della società privata in questo caso, una S.p.a. avviene sempre sulla base di un rapporto concessorio o comunque autorizzatorio intercorrente tra l'ente territoriale in questo caso, il comune di Milano e la detta società, rapporto attraverso il quale si trasferisce lo svolgimento delle necessarie funzioni amministrative al soggetto imprenditoriale che gestisce il relativo servizio di utilizzazione del suolo pubblico e di parcheggio cittadino. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.