Incontestabile l’accusa di falso e appropriazione indebita per la commercialista disonesta

Una commercialista poco professionale”, un falso prospetto di Dichiarazione regolare ed un assegno intestato ad Equitalia che finisce nelle sue tasche. Impensabile per lei sfuggire alla condanna.

Sul caso si è pronunciata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 43102/17 depositata il 20 settembre. La vicenda. La Corte d’Appello di Torino confermava la sentenza di prime cure con cui una commercialista era stata ritenuta responsabile per i reati di falso ed appropriazione indebita in quanto aveva formato un falso prospetto di Dichiarazione regolare” nei confronti di un cliente facendo apparire il documento come proveniente dall’Agenzia delle Entrate, si era poi appropriata della documentazione contabile di un altro cliente e di un assegno intestato ad Equitalia ed a lei consegnato da un terzo cliente per ripianare un debito tributario. Ricostruzione inammissibile. La commercialista tenta la strada del ricorso di legittimità ma senza successo. La Corte di Cassazione rileva infatti l’inammissibilità del ricorso che si limita a proporre una rivalutazione del compendio probatorio, per sua natura precluso al sindacato della Corte. La sentenza impugnata ha infatti fornito una congrua motivazione in ordine alla ricostruzione dei fatti e alla responsabilità della ricorrente, corroborata anche dalle dichiarazioni di un funzionario dell’Agenzia delle Entrate, oltre che ovviamente dei clienti che avevano fatto affidamento sulla professionalità della commercialista.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 18 luglio – 20 settembre 2017, n. 43102 Presidente Nappi – Relatore Riccardi Ritenuto in fatto Con sentenza del 17/10/2016 la Corte di Appello di Torino confermava la sentenza del Tribunale di Torino del 31/05/2013, che aveva affermato la responsabilità penale di F.A.M. in relazione ai reati di cui agli artt. 476, comma 1, 482, e 646 cod. pen. In particolare, la condanna riguardava la formazione, da parte della commercialista F. , di un falso prospetto di dichiarazione regolare nei confronti del cliente N.G.G. , apparentemente emesso dall’Agenzia delle Entrate di Torino il 20/03/2010, e riferibile alla dichiarazione dei redditi del 2007 capo 1 l’appropriazione indebita aggravata della documentazione contabile del cliente S.S. capo 3 l’appropriazione indebita aggravata della somma di Euro 1.820,46 ai danni del cliente B.A. , che l’aveva consegnata alla professionista mediante assegno circolare intestato ad Equitalia per ripianare un debito tributario, ed era stata invece utilizzata dalla commercialista per un versamento in favore di altro cliente capo 5 . 2. Avverso tale provvedimento ricorre per cassazione F.A.M. , deducendo i seguenti motivi di ricorso, qui enunciati, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., nei limiti strettamente necessari per la motivazione. 2.1. Vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per il falso prospetto lamenta la mancanza di motivazione della sentenza della Corte di Appello, in quanto fondata su un rinvio per relationem alla decisione di primo grado, senza alcuna valutazione delle specifiche doglianze proposte con l’atto di appello sostiene il ricorrente che la responsabilità dell’imputata non potesse essere fondata solo sulle dichiarazioni del funzionario dell’Agenzia delle Entrate e sulla lettura dei dati riportati nel programma informatico Serpico tali dati erano interni al sistema in uso all’Agenzia ed il debito di imposta non risultava da una cartella di pagamento inoltre, l’attestazione di regolarità della dichiarazione dei redditi derivava dalla circostanza che in precedenza il contribuente aveva regolarizzato la propria posizione in relazione ad un avviso bonario notificatogli, sicché il dato ricavato dal teste L. non era aggiornato la sentenza impugnata non avrebbe motivato sulle ragioni per le quali la prova contraria dedotta non era attendibile anche laddove il documento fosse stato davvero falso, non sarebbe emersa la prova della falsificazione da parte dell’imputata, in quanto il prospetto era stato formato dopo la cessione del ramo di azienda, con la quale la commercialista aveva ceduto i propri clienti la motivazione della sentenza sarebbe illogica, perché afferma la responsabilità penale sulla base della responsabilità civile per l’omessa comunicazione della cessione ai clienti. 2.2. Vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per l’appropriazione indebita della documentazione nel ribadire le doglianze per la motivazione per relationem della sentenza della Corte di Appello, lamenta l’omessa motivazione sulle censure concernenti la sussistenza del dolo specifico del reato. 2.3. Vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per l’appropriazione indebita della somma di denaro del cliente B. lamenta l’omessa motivazione in relazione alla censura concernente l’intervenuta cessione del ramo d’azienda, nonché in ordine alla mancanza di prova della consegna dell’assegno all’imputata, poiché le indagini non avevano accertato la persona che aveva negoziato il titolo. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile, non soltanto perché i tre motivi proposti, che meritano una valutazione congiunta, ripropongono le medesime censure proposte con l’atto di appello, e motivatamente respinte dalla Corte territoriale, senza alcun confronto argomentativo con la sentenza impugnata ex plurimis, Sez. 3, n. 31939 del 16/04/2015, Falasca Zamponi, Rv. 264185 Sez. 6, n. 13449 del 12/02/2014, Kasem, Rv. 259456 , ma anche perché sono manifestamente infondati, e perché propongono motivi diversi da quelli consentiti dalla legge art. 606, comma 3, cod. proc. pen. , risolvendosi in doglianze eminentemente di fatto, riservate al merito della decisione. 1.1. Va innanzitutto evidenziata l’inammissibilità delle doglianze relative alla valutazione probatoria degli elementi indiziari concernenti la formazione del falso prospetto e l’appropriazione indebita della documentazione contabile di un cliente e della somma di denaro consegnata, mediante assegno, da un altro cliente dell’imputata, in quanto sollecitano, ictu oculi, una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimità infatti, pur essendo formalmente riferite a vizi riconducibili alle categorie della violazione di legge e del vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., sono in realtà dirette a richiedere a questa Corte un sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dal Tribunale Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, Fachinì, Rv. 203767 Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944 Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794 . In particolare, con le censure proposte il ricorrente non lamenta una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica - unici vizi della motivazione proponibili ai sensi dell’art. 606, lett. e , cod. proc. pen. -, ma una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente sbagliata. Il controllo di legittimità, tuttavia, concerne il rapporto tra motivazione e decisione, non già il rapporto tra prova e decisione sicché il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non già nei confronti della valutazione probatoria sottesa, che, in quanto riservata al giudice di merito, è estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di Cassazione. Ebbene, le censure proposte concernono la ritenuta erroneità e/o parzialità della valutazione probatoria formulata dal giudice di merito, e prospettano una lettura alternativa del compendio probatorio, ribadendo, peraltro, doglianze già proposte e disattese, con diffusa motivazione, dal provvedimento impugnato. 1.2. Tanto premesso, esclusa l’ammissibilità di una rivalutazione del compendio probatorio, va ribadito che la sentenza impugnata ha fornito logica e coerente motivazione in ordine alla ricostruzione dei fatti, con argomentazioni prive di illogicità tantomeno manifeste e di contraddittorietà. In particolare, esclusa la rilevanza esimente della dedotta cessione del ramo di azienda, in quanto non comunicata ai clienti vittime della commercialista, e in quanto, trattandosi di contratto d’opera professionale, basato sull’intuitus personae, doveva essere oggetto di una espressa rinuncia al mandato, di carattere recettizio, la sentenza impugnata ha confermato l’affermazione di responsabilità penale in relazione al reato di falso, disattendendo le censure proposte con l’atto di appello, ritenendo sul punto attendibili non soltanto le dichiarazioni della persona offesa, ma anche le dichiarazioni del funzionario dell’Agenzia delle Entrate, L.R. , che aveva escluso l’esistenza di qualsivoglia discrasia, per un preteso ritardo nell’aggiornamento, tra i dati indicati nel falso prospetto e quelli contenuti nel sistema informatico. Anche in ordine all’appropriazione indebita della documentazione contabile del cliente S. , la doglianza è generica, trattandosi di deduzione assertiva, e priva di qualsivoglia confronto argomentativo con la sentenza impugnata, che, al contrario, ha ribadito la valutazione di inattendibilità della versione resa dall’imputata, secondo cui il ritardo nella restituzione sarebbe stato causato da inerzia del cliente versione giudicata inattendibile, con apprezzamento di fatto immune da censure di illogicità, e dunque insindacabile in sede di legittimità, in quanto, secondo quanto ammesso dalla stessa imputata, il cliente aveva rappresentato l’urgenza di ottenere la documentazione contabile, e, del resto, questi non ne era ancora rientrato in possesso. Infine, con riferimento all’appropriazione indebita della somma di denaro, la sentenza impugnata ha confermato l’affermazione di responsabilità sulla base della valutazione di attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa - che aveva riferito della richiesta, da parte della commercialista, del rilascio di un assegno per il preciso importo contestato peraltro, divergente rispetto al debito tributario della vittima , e della consegna alla professionista -, riscontrate dalla matrice dell’assegno e dall’incasso della somma, da parte dell’Agenzia delle Entrate, in relazione ad un diverso contribuente rispetto al B. . 2. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e la corresponsione di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, somma che si ritiene equo determinare in Euro 2.000,00 infatti, l’art. 616 cod. proc. pen. non distingue tra le varie cause di inammissibilità, con la conseguenza che la condanna al pagamento della sanzione pecuniaria in esso prevista deve essere inflitta sia nel caso di inammissibilità dichiarata ex art. 606 cod. proc. pen., comma 3, sia nelle ipotesi di inammissibilità pronunciata ex art. 591 cod. proc. pen P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 a favore della Cassa delle ammende.