Quando il diritto di critica contro l’avvocato è legittimo

L’esposto al COA con cui venga segnalato un comportamento sospetto da parte di uno degli iscritti, si sottrae alla censura della diffamazione laddove rispetti i requisiti del diritto di critica.

Questo, in sostanza, il dictum della sentenza della Corte di Cassazione n. 40965/17 depositata l’8 settembre. Il caso. La pronuncia in oggetto nasce dalla sentenza con cui il Giudice di Pace di Pordenone dichiarava colpevoli di diffamazione due coniugi che, in un esposto inviato al locale Consiglio dell’Ordine forense, avevano posto in dubbio l’onestà personale e professionale di un avvocato accusandola di essersi avvalsa, a favore di una sua assistita, di informazioni apprese nell’ambito del loro rapporto di amicizia, accusa che era risultata non corrispondente al vero. La sentenza viene impugnata con ricorso per cassazione. Diritto di critica. In particolare, dagli atti di causa risultava che i due coniugi avevano censurato, tramite segnalazione al COA, la condotta della legale poichè, dopo averli assistiti in diversi procedimenti, aveva assunto la difesa della precedente moglie dell’uomo nella causa di divorzio. Nella redazione degli atti di quest’ultimo giudizio, l’avvocato aveva utilizzato informazioni acquisite nell’ambito del rapporto amicale nato tra i tre, informazioni gravemente lesive della dignità e dell’onorabilità del ricorrente descritto come un evasore fiscale, circostanza di cui però non sussisteva alcuna prova ed invocata dall’avvocato per ottenere un maggior assegno divorzile a favore della sua assistita. Sulla base di tale ricostruzione, il Collegio ritiene che il contenuto dell’esposto al COA non poteva essere considerato diffamatorio in quanto rientrante nei confini del diritto di critica legittimamente esercitato nei limiti dei requisiti della continenza, non offensività e verità. Considerando che la sentenza impugnata trascura totalmente l’analisi dell’esercizio del diritto di critica, la Corte giunge alla conclusione dell’annullamento della stessa perché il fatto non sussiste.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 18 luglio – 8 settembre 2017, n. 40965 Presidente Nappi – Relatore Stanislao Ritenuto in fatto 1 - Con sentenza del 22 giugno 2016, il Giudice di pace di Pordenone dichiarava S.C. colpevole del delitto di diffamazione consumato ai danni dell’Avvocato C.M. affermando, in un esposto inviato al Consiglio dell’ordine degli avvocati di omissi s , che la C. aveva utilizzato, come legale di P.R. nella causa di divorzio dal marito N.R. , notizie rilevanti per le ragioni della sua assistita e relative alla situazione personale ed economica di N.R. di cui era venuta a conoscenza grazie all’amicizia personale ed al rapporto professionale che, in epoca antecedente, l’avevano legata al N. ed alla S. la nuova compagna del N. . Il delitto era stato ascritto alla S. in concorso con il N. prosciolto a seguito del suo decesso con il quale, dopo la causa di divorzio si era maritata, avendo entrambi sottoscritto l’esposto inviato al Consiglio dell’ordine. Il giudice di pace aveva ritenuto la responsabilità dell’imputata perché i due avevano posto in dubbio l’onestà personale e professionale della C. accusandola di essersi avvalsa, a favore della sua assistita, di notizie apprese per ragioni personali. Non era emerso che l’accusa rispondesse al vero poiché i rapporti fra il legale ed i due esponenti si erano limitati, per quanto attiene alla S. , al patrocinio della medesima, anni prima, in un procedimento che non aveva alcuna attinenza con la causa di divorzio. 2 - Propone ricorso l’imputata, a mezzo del suo difensore, deducendo, con l’unico motivo, la violazione di legge ed il difetto di motivazione. Nella premessa lamenta che l’accusa mossa alla ricorrente era del tutto generica e non aveva tenuto conto del fatto che l’esposto era stato presentato, dal N. , in ragione dell’utilizzo di notizie riservate che la C. aveva appreso nel corso del rapporto amicale seguito ad alcuni incarichi professionali, nella causa di divorzio fra N. e la sua ex moglie, fino ad averlo accusato di essere un evasore fiscale, di avere occultato le sue disponibilità finanziarie all’estero, di servirsi di intestatari fittizi dei propri beni fra i quali la S. stessa. Il procedimento disciplinare era stato poi archiviato per prescrizione. Ciò premesso, lamenta che il giudice non aveva tenuto conto di tutta la documentazione che provava come la persona offesa avesse patrocinato in più cause la S. ed il N. che non si fosse tenuto conto che la S. aveva sottoscritto l’esposto redatto dal N. senza rendersi esatto conto del suo esatto contenuto che l’esposto era stata una risposta all’accusa di essere, il N. , un evasore fiscale, senza che ve ne fosse alcuna prova e che sussistesse pertanto l’esimente prevista dall’art. 598 cod. pen. che, comunque, N. , con l’esposto, aveva esercitato il legittimo diritto di critica di un legale che, dopo averlo patrocinato, aveva assistito la sua controparte utilizzando notizie apprese per motivi amicali, nella assoluta convinzione che ciò rientrasse nel suo diritto. Considerato in diritto Il ricorso proposto nell’interesse di S.C. è fondato. 1 - N.R. e S.C. , ed in particolare il primo, con un esposto al Consiglio dell’Ordine di appartenenza, avevano censurato la condotta del loro legale in precedenti procedimenti, Avv. C.M. , per essere costei diventata, dopo averli difesi circostanza che il legale non negava affermando solo che erano trascorsi cinque anni da quando li aveva patrocinati così da soddisfare la condizione posta dal codice deontologico per assumere la difesa di eventuali controparti , il patrono della precedente moglie del N. , P.R. , nella causa di divorzio. Lamentava il N. che alcuni accenni contenuti negli atti del processo civile, redatti dalla C. , erano gravemente lesivi della sua dignità e della sua onorabilità posto che era stato indicato come un soggetto che aveva costituito irregolari disponibilità finanziarie all’estero e si era servito di prestanome per le società a lui riconducibili. Circostanze prive di alcun supporto probatorio e presumibilmente derivanti dalle conversazioni tenute in occasione della pregressa frequentazione personale e professionale. 2 - Da ciò derivava l’esposto, compilato dal N. e sottoscritto dalla S. , in cui si chiedeva al Consiglio dell’ordine di appartenenza se tutto ciò non costituisse un illecito professionale. Il procedimento veniva archiviato per prescrizione, senza che l’organo professionale si pronunciasse sul merito. 3 - Tutto ciò premesso, questa Corte ritiene che, nel caso di specie, il contenuto dell’esposto non possa considerarsi diffamatorio, costituendo invece il legittimo diritto di critica esercitato dal N. e dalla S. in un ben preciso contesto. N. , infatti, trovandosi accusato di fatti di possibile rilievo civile e fiscale oltre che, eventualmente, penale e, assumendo che tali notizie il legale di controparte le avesse potute dedurre dalla pregressa frequentazione anche personale, si era limitato a chiedere al Consiglio dell’ordine se tale comportamento potesse considerarsi corretto, evidentemente affidando tale giudizio proprio all’organo preposto. Nell’esporre le circostanze di fatto che aveva ritenuto di rilievo, N. , e la S. , aveva usato un linguaggio contenuto, non di per sé offensivo tanto che nel capo di imputazione non si riporta nessuna delle espressioni usate , aveva svolto critiche pertinenti indirizzandole all’organo competente, aveva riferito il vero quando aveva affermato che l’Avv. C. , come lei stessa non aveva negato, l’aveva in anni precedenti difeso. Gli argomenti utilizzati dalla C. nella difesa della sua controparte erano stati poi tali che, legittimamente, potevano indurlo ad una critica dell’operato del legale particolarmente polemica. 4 - Un argomento, quello del legittimo diritto di critica, che nella sentenza impugnata è del tutto dimenticato e che determina, sussistendo tale causa di giustificazione, l’annullamento della medesima, senza rinvio, non potendosi prospettare alcun ulteriore approfondimento istruttorio della vicenda, utile ai fini del decidere. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.