Il padre che non versa il mantenimento alle figlie deve risarcire anche la parte civile

Affermata la responsabilità penale per il reato contestato, il giudice di merito deve quantificare il danno cagionato alla parte civile costituita restando comunque estranea alla sua cognizione la regolazione dei rapporti privatistici tra quest’ultima e l’imputato.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 40541/17 depositata il 6 settembre. Il caso. Un uomo veniva condannato per aver omesso il versamento dell’assegno di mantenimento a favore delle figlie minorenni, nonché per il risarcimento del danno subito dalla parte civile costituita. La Corte d’Appello riformava solo parzialmente la sentenza di prime cure. Risarcimento. Dinanzi alla Corte di Cassazione l’imputato si duole per mancanza di motivazione sul risarcimento del danno alla parte civile avendo quest’ultima già percepito una somma corrispondente dalla Provincia quale forma di assistenza pubblica. Il Collegio sottolinea come lo stato di bisogno e l’obbligo del genitore di contribuire al mantenimento dei figli minori non vengono meno laddove gli aventi diritto siano assistiti economicamente da terzi, anche con elargizioni di pubblica assistenza. Il giudice ha dunque correttamente quantificato il danno conseguente al reato accertato, restando esclusa dall’ambito di cognizione penalistico la regolazione dei rapporti civilistici tra la parte civile, l’imputato e l’ente pubblico che ha elargito la pubblica assistenza. Per questi motivi, la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, ordinanza 25 luglio – 6 settembre 2017, n. 40541 Presidente Carcano – Relatore Costanzo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza n. 1040/2014, il Tribunale di Trento ha condannato D.R.B.L. ex artt. 81, 570, commi 1 e 2 n. 2, cod. pen. per avere reiteratamente omesso di versare a F.F. quanto stabilito dal Tribunale per i minorenni di Trento come contributo per il mantenimento delle loro figlie minorenni così sottraendosi agli obblighi di assistenza inerenti alla qualità di genitore e facendo mancare i mezzi di sussistenza alle figlie. Inoltre, condannato al risarcimento del danno nei confronti della parte civile costituita, liquidandolo in Euro 4022. In parziale riforma, la sentenza n. 59/2016 della Corte di appello di Trento ha assolto l’imputato dal reato ex art. 570, comma 1, cod. pen. perché il fatto non sussiste e ridotto la pena. 2. Nel ricorso di D.R.B. si chiede l’annullamento della sentenza deducendo mancanza di motivazione circa il risarcimento del danno alla parte civile quantificato in Euro 4022,00, oltre interessi legali dal giudice di primo grado trattandosi di somma corrispondente a 10 mensilità dal settembre 2012 al luglio 2013 che la parte civile ha già percepito dalla Provincia autonoma di Trento e per la quale il ricorrente è ora debitore nei confronti della stessa Provincia. La Corte di appello ha preso atto di quanto eccepito dall’imputato come risulta dalla documentazione in atti , ma ha osservato che non è questa la sede per l’esatta quantificazione e attribuzione di quanto ricevuto dalla p.c dalla PAT e che sarà comunque onere della signora F. distogliere a favore della PAT le somme già percepite, trattenendo il resto, onde evitare eventuali azioni recuperatorie . Considerato in diritto Lo stato di bisogno e l’obbligo del genitore di contribuire al mantenimento dei figli minori non vengono meno se gli aventi diritto sono assistiti economicamente da terzi, anche con eventuali elargizioni a carico della pubblica assistenza Sez. 6, n. 46060 del 22/10/2014, Rv. 260823 Sez. 6, n. 2736 del 13/11/2008, dep. 2009, Rv. 242854 . Ne deriva che nella quantificazione del risarcimento del danno conseguente al reato di cui all’art. 570, comma 2 n. 2, cod. pen. il giudice penale deve limitarsi a quantificare la misura del danno, mentre la regolazione dei rapporti civilistici fra la parte civile, l’imputato e l’ente pubblico che ha elargito la pubblica assistenza il quale, peraltro, non essendo parte nel processo penale non potrebbe interloquire sulla regolazione dei rapporti economici che lo interessano dovrà avvenire in altra sede extraprocessuale o, in mancanza di un accordo fra le parti, processuale civile , come indicato dalla Corte di appello. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1500 in favore della cassa delle ammende.