Moglie ‘lucciola’, il marito si occupa degli annunci hot su un quotidiano: condannato

L’uomo è ritenuto responsabile del reato di favoreggiamento della prostituzione”. Decisivo il ruolo da lui svolto per la pubblicizzazione dell’attività della consorte.

Annunci hot su un quotidiano. Pubblicizzata così l’attività di una ‘lucciola’. Ad occuparsi dei contatti con la testata è il marito consequenziale la sua condanna per favoreggiamento della prostituzione Cassazione, sez. III Penale,sentenza n. 39461/17, depositata oggi . Annunci. La donna, di origini rumene, ha sempre utilizzato come ‘sede’ la casa in cui vive col marito, anch’egli rumeno. In sostanza, quando ella cominciava ad accogliere i clienti, il coniuge si allontanava per recarsi a lavoro. A fronte di tale vicenda, sia i giudici del Tribunale che quelli della Corte d’appello ritengono l’uomo colpevole senza dubbio di favoreggiamento rispetto all’attività di prostituta svolta dalla consorte. A inchiodarlo il ruolo svolto da lui svolto, ossia essersi occupato della pubblicazione su un quotidiano di annunci pubblicitari contenenti le offerte di prestazioni sessuali della moglie. Questa visione viene condivisa dalla Cassazione. Decisivo il richiamo al principio secondo cui il reato di favoreggiamento si perfeziona con qualunque attività idonea a procurare più facili condizioni per l’attività di prostituzione . In questa ottica i magistrati evidenziano in particolare che il marito si allontanava dall’abitazione comune quando la moglie doveva ricevere i clienti e, come detto, si adoperava per la pubblicizzazione degli annunci riguardanti tale attività . Logico parlare di favoreggiamento , impossibile invece parlare di mera tolleranza .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 7 luglio – 28 agosto 2017, n. 39461 Presidente Amoresano – Relatore Gai Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 20 giugno 2016, la Corte d'appello di Genova, in parziale riforma della sentenza del locale Tribunale, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche in misura prevalente alla contestata aggravante di cui all'art. 4 n. 3 della legge n. 75 del 1958, ha ridotto la pena inflitta a Va. Be., per il reato di favoreggiamento della prostituzione della moglie Va. Ma. Da., svolta presso l'abitazione di costoro mediante pubblicizzazione, sul quotidiano II Secolo XIX, di annunci pubblicitari contenenti le offerte di prestazioni sessuali. 2. Avverso la sentenza di condanna ha presentato ricorso l'imputato, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l'annullamento deducendo, con un unico motivo di ricorso, la violazione di legge penale in relazione alla corretta applicazione del reato di cui all'art. 3 n. 8 della legge n. 75 del 1958. La Corte d'appello avrebbe erroneamente ritenuto configurabile il reato di favoreggiamento della prostituzione in assenza di un contributo effettivo del ricorrente a facilitare l'altrui prostituzione. In particolare, nella condotta dell'imputato mancherebbe l'aspetto volitivo del reato in quanto la donna si prostituiva quando il marito usciva di casa per recarsi al lavoro. La corte territoriale avrebbe, poi, disatteso il portato della giurisprudenza di legittimità che richiede, per l'affermazione della responsabilità dell'autore dell'inserzione pubblicitaria di annunci di offerte di prestazioni sessuali, un quid pluris che non si sussisterebbe nel caso in esame. 3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile. Considerato in diritto 4. Il ricorso è inammissibile per la proposizione di un motivo manifestamente infondato e, anche, in parte diretto a ottenere da questa Corte una rivalutazione del merito della responsabilità penale, segnatamente delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, vizio non riconducibile alle categorie di cui all'art. 606 cod. proc. pen 4.1. Non appare riconducibile al vizio di cui all'art. 606 cod.proc.pen. la prima parte della censura che è semplicemente diretta ad una richiesta di diversa interpretazione delle dichiarazioni della persona offesa sul ruolo del marito e tendente a rimettere in discussione, quanto accertato in via di fatto, che il marito si allontanava di casa quando la donna riceveva i clienti rivalutazione preclusa in sede di legittimità. Peraltro, la tesi alternativa propugnata dell'involontarietà trova smentita nella circostanza che l'imputato si era recato presso la testata giornalistica di Genova per l'inserzioni di annunci con cui pubblicizzava prestazione sessuali. 5. Quanto alla violazione di legge, il motivo appare manifestamente infondato per essersi attenuta, la Corte d'appello, all'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità secondo cui il reato di favoreggiamento della prostituzione si perfeziona con qualunque attività idonea a procurare più facili condizioni per l'attività di prostituzione e sia posta in essere con la consapevolezza di facilitare la stessa, senza che abbia rilievo il movente e/o il fine della condotta Sez. 3, n. 23679 del 01/03/2016, Ka., Rv. 267674 Sez. 3, n. 17856 del 03/03/2009, La Sp., Rv. 243753 . La Corte d'appello, in continuità con la sentenza del Tribunale, ha ravvisato il reato di favoreggiamento della prostituzione nella condotta dell'imputato-marito della persona offesa che si allontanava dall'abitazione comune quando la moglie doveva ricevere i clienti e si adoperava per la pubblicizzazione degli annunci riguardanti tale attività e così ne facilitava lo svolgimento, motivazione adeguata, corretta sul piano del diritto, non potendosi ravvisare il diverso reato di tolleranza abituale in presenza della commissione di ulteriori fatti qualificati dalla specifica direzione agevolatrice dell'attività di prostituzione inserzioni pubblicitarie Sez. 3, n. 2870 del 05/11/2013, Salemi, Rv. 258639 . Infine, non è pertinente il richiamo della giurisprudenza di legittimità in tema di esclusione della punibilità dell'autore dell'inserzione e del gestore del sito che pubblica le inserzioni pubblicitarie, situazione in fatto all'evidenza diversa e la relativa giurisprudenza non è invocabile nel caso in esame. 6. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell'art. 616 cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso il 07/07/2017