Linee guida osservate correttamente e colpa lieve…”salvano” il medico

Secondo quanto disposto dalla legge Balduzzi, in tema di responsabilità medica, le linee guida operano come direttiva scientifica per colui che esercita le professioni sanitarie costituendo una sorta di scudo avverso tutte quelle istanze punitive che non siano rivolte ad errori gravi.

Così ha deciso la Cassazione con la sentenza n. 38534/17, depositata il 2 agosto. Il caso. La Corte d’Appello confermava la sentenza di primo grado condannando un medico e un anestesista per il reato di cui agl’artt. 113 e 589 c.p. per aver in cooperazione colposa tra loro cagionato la morte di una paziente, sottoposta ad intervento di artrodesi e liberazione del canale vertebrale lombare, per grave shock emorragico da massiva perdita ematica. Avverso tale pronuncia gli imputati ricorrono in Cassazione. La legge Balduzzi. Nel caso di specie la Corte rileva che, erroneamente, non sia stata applicata la legge n. 189/12 c.d. Balduzzi, la quale esonera il terapeuta dalla responsabilità in caso di colpa lieve, quando egli si sia attenuto alle linee guida o affidabili pratiche terapeutiche. La norma è volta a tutelare il sanitario, data la complessità e la difficoltà che lo svolgimento della professione comportata, nei casi in cui la colpa rilevata sia lieve. In questi casi l’individuazione della colpa tramite la valutazione ex ante della condotta terapeutica, dovrà rapportarsi anche alle difficoltà delle valutazioni che si è trovato a compiere il professionista, per concludere che il sanitario complessivamente avveduto ed informato, attento alle linee guida, non sarà rimproverabile quando l’errore sia lieve, ma solo quando esso si appalesi rimarchevole . Ne deriva che seguendo quanto disposto dalla nuova normativa le linee guida operano come direttiva scientifica per colui che esercita le professioni sanitarie costituendo una sorta di scudo, a pare della Corte, avverso tutte quelle istanze punitive che non siano rivolte ad errori gravi. Nel caso di specie la Cassazione non rileva la presenza di colpa grave, ne del fatto che i sanitari si siano attenuti alle linee guida, ma neppure il contrario, per questi motivi annulla la sentenza impugnata e la rinvia alla Corte d’Appello.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 13 gennaio – 2 agosto 2017, n. 38534 Presidente Blaiotta – Relatore Ciampi Ritenuto in fatto 1. Con l’impugnata sentenza la Corte d’Appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Firenze in data 17 luglio 2013, appellata dagli imputati, riconosciuta l’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen., riduceva la pena inflitta ad anni uno di reclusione ciascuno, confermando nel resto. Gli odierni ricorrenti erano stati tratti a giudizio per rispondere del reato di cui agli artt. 113 e 589 cod. pen., perché, in cooperazione colposa tra loro, il G. quale medico chirurgo, la I. quale anestesista presso la casa di cura omissis , cagionavano per colpa consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia ed inosservanza delle regole della scienza medica la morte di Gi.Ma. di anni 74, sottoposta ad intervento di artrodesi e liberazione del canale vertebrale lombare, per grave shock emorragico da massiva perdita ematica. In particolare per aver omesso il G. , nonostante il previsto elevato rischio di emorragia legata al tipo di intervento, di interrompere l’intervento stesso a seguito di una massiva emorragia, peraltro già manifestatasi con grosse perdite ematiche poco dopo l’inizio dell’operazione, al fine di ricollocare la paziente in posizione supina e porre in essere le misure del caso, che venivano in parte tardivamente adottate soltanto al termine dell’intervento avvenuto alle 18,30 in condizione di shock emorragico già da tempo instaurato e quindi irreversibile. Quanto alla I. per aver omesso di effettuare prima dell’intervento l’incannulazione di una vena centrale per poi iniziare l’intervento con il monitoraggio cruento della P.A. mediante incannulazione di una vena periferica e per aver inoltre omesso nel corso dell’intervento di monitorare la diuresi e la temperatura corporea, di eseguire esami di laboratorio più precoci, di predisporre le adeguate riserve ematiche per la trasfusione e altresì ometteva, pur in presenza di una massiva emorragia, peraltro già manifestatasi con grosse perdite ematiche all’inizio dell’intervento, di farlo interrompere, per mettere la paziente in posizione supina, incannulare una vena centrale. misura adottata soltanto alle ore 21,30 -22,00 in condizioni di shock emorragico irreversibile , ricorrere ad infusioni quantitativamente adeguate, richiedere e utilizzare tempestivamente quantità idonee di sangue, di plasma e di albumina in misura proporzionata alle perdite e provvedere alla somministrazione precoce di dopamina e/o dobutamina e/o adrenalina per sostenere la funzione inotropa ed aumentare la frequenza cardiaca. 3. Ricorrono per cassazione 3.1 I.L. , a mezzo del difensore di fiducia, lamentando violazione di legge e carenza e/o vizio di logicità della motivazione in ordine alle censure dell’atto di appello, errata interpretazione o travisamento delle risultanze istruttorie, anche di natura tecnica, relative alla sussistenza del nesso di causa tra condotta omissiva ed evento. Sostiene in particolare che la Corte territoriale si sarebbe acriticamente appiattita sulle conclusioni dei consulenti del PM non sarebbe stata appurata la causa effettiva dell’emorragia né sarebbe chiaro lo sviluppo degli accadimenti non sarebbe stata inoltre accertata la natura delle dotazioni tecniche della struttura. Con un secondo motivo lamenta l’erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 589 cod. pen. in relazione all’art. 3, comma 1 legge 8 novembre 2012 n. 189 e la mancata valutazione in ordine alla lievità della colpa. 3.2. G.J.M. , personalmente denunciando con un primo motivo violazione dell’art. 606 I comma lett. b cod. proc. pen. in relazione all’art. 603 stesso codice di rito per non aver la corte d’Appello di Firenze disposto una perizia nei termini richiesti in sede di gravame. Con un secondo motivo lamenta violazione dell’art. 606, comma I, lett. b ed e per violazione ed erronea applicazione dell’art. 603 c.p.p. e per mancanza e/o contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui la Corte territoriale ha rigettato l’acquisizione della relazione del dott. R. e nella parte in cui non ha motivato circa le deduzioni svolte ex art. 585, IV comma c.p.p. dalla difesa dell’imputato. Con un terzo motivo si denuncia vizio di motivazione per non aver valutato correttamente l’istruttoria dibattimentale con un quarto motivo si lamenta l’erronea applicazione dell’art. 113 cod. pen., essendo il monitoraggio dei parametri vitali e le conseguenti decisioni da assumere in caso di mancato aggravamento demandate alla anestesista dott.ssa I. con un quinto ed ultimo motivo si duole della mancata concessione delle attenuanti generiche. 4. È stata presentata memoria difensiva con motivi nuovi da parte del difensore di fiducia del G. . Considerato in diritto 5. Il Tribunale di Firenze ha affermato la responsabilità degli odierni ricorrenti in ordine al reato di omicidio colposo in danno di Gi.Ma. , ritenendone dimostrati gli addebiti nei termini descritti nel capo di imputazione riportato in narrativa. La pronunzia è stata sostanzialmente confermata dalla Corte d’appello di Firenze, che ha ritenuto che tutti i motivi dedotti nei rispettivi atti di gravame fossero stati già puntualmente considerati ed efficacemente superati dal primo giudice. In particolare la sentenza impugnata ha ritenuto che già nelle prime fasi dell’operazione si fossero verificate quelle condizioni di emergenza che imponevano l’adozione delle misure salvavita dell’interruzione dell’intervento e del ribaltamento della paziente in posizione supina, spostamento che avveniva invece solo alla fine dell’intervento, quando lo stato di shock era ormai divenuto irreversibile. Quanto alla posizione della I. , la Corte territoriale ha ritenuto in particolare che la stessa non si fosse tempestivamente attivata per stabilizzare la paziente, ristabilendo i valori pressori e cardiaci con immediate e quantitativamente adeguate infusioni di liquidi ematici ed elettrolitici e somministrazione di dopamina e/o dobutamina e/o adrenalina. Ha precisato altresì che la I. era al corrente della peculiarità dell’operazione in quanto la Gi. era già stata operata in passato alla colonna vertebrale e, pertanto, sussisteva il concreto rischio del verificarsi di fenomeni emorragici. Entrambi gli imputati con i rispettivi ricorsi ripercorre diffusamente gli apprezzamenti tecnici compiuti nel corso dei giudizi di merito pervenendo a porre ad alcune censure. In breve, la prima attiene al fatto che nessuna dimostrazione sia stata data in ordine all’esistenza di una condotta colposa, cioè concretamente rimproverabile. Dalla verificazione dell’evento si era fatta in sostanza discendere automaticamente la responsabilità, senza dimostrazione dell’esistenza di colpa. Sarebbero state inoltre completamente trascurate le considerazioni afferenti la peculiarità dell’intervento chirurgico cui era stata sottoposta la Gi. che presentava una non trascurabile percentuale di complicanze e che non poteva considerarsi un intervento di routine. Oggetto di censura è pure il diniego dell’applicazione della innovazione normativa introdotta con la c.d. L. Balduzzi. I ricorsi appaiono fondati. In primo luogo appare del tutto carente la motivazione della gravata sentenza in ordine al ritenuto nesso causale in particolare non appare in alcun modo effettuata l’esplicazione del cd. giudizio controfattuale e la individuazione del momento dal quale doveva essere calcolato il tempo utile ad un eventuale intervento salvifico, nonché delle ragioni per le quali la sentenza impugnata ha ritenuto che questo avrebbe avuto valenza impeditiva rispetto all’evento luttuoso. Sul punto a ben vedere, infatti, la Corte distrettuale, lungi dall’affrontare espressamente la problematica si limita a confermare peraltro indirettamente quanto a riguardo affermato dal giudice di primo grado e riportato nella gravata sentenza pag. 4 secondo cui se i due sanitari avessero tenuto in sala operatoria, la condotta corretta, quale delineata dai consulenti del PM, vi sarebbero state elevatissime probabilità di sopravvivenza della paziente, essendo disponibili strumenti idonei a contrastare l’insorgere ed il consolidarsi dello stato emorragico. Occorre in questa sede ribadire che la valutazione controfattuale, demandata al giudice di merito, deve avvenire rispetto al singolo comportamento storico , alla singola situazione storica , alla singola conseguenza storica Sez. 4, sent. n. 30469 del 13/06/2014, PG, PC in proc. Jann ed altri, Rv. 262239 . I termini di fatto ai quali deve riferirsi il giudice penale, nel verificare la sussistenza di elementi indicativi della riferibilità causale dell’evento alla condotta attiva od omissiva posta in essere dall’agente, sono necessariamente quelli riportati nel capo di imputazione è il capo di imputazione, infatti, che delinea e delimita la specifica sequenza fenomenologica, nell’ambito della quale si assume che la condotta attesa abbia determinato la verificazione dell’evento dannoso, come realizzatosi. D’altronde, questa Sezione ha ripetutamente affermato che il giudice di merito deve analizzare la condotta attiva od omissiva colposa addebitata al sanitario, per effettuare il giudizio controfattuale e verificare se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta, rispetto agli specifici termini di fatto della vicenda, l’evento lesivo sarebbe stato evitato al di là di ogni ragionevole dubbio cfr., ad es., sent. n. 43459 del 04/10/2012, Rv. 255008 . E più di recente questa Sezione cfr. sent. n. 30469 del 13/06/2014, citata ha affermato il principio secondo il quale nei reati omissivi impropri, la valutazione concernente la riferibilità causale dell’evento lesivo alla condotta omissiva che si attendeva dal soggetto agente, deve avvenire rispetto alla sequenza fenomenologica descritta nel capo d’imputazione, di talché, nelle ipotesi di omicidio o lesioni colpose in campo medico, il ragionamento controfattuale deve essere svolto dal giudice di merito in riferimento alla specifica attività diagnostica, terapeutica, di vigilanza e salvaguardia dei parametri vitali del paziente o altro che era specificamente richiesta al sanitario e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare l’evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilità razionale . Tali principi hanno ricevuto peraltro ulteriore conferma nel noto arresto giurisprudenziale delle Sezioni Unite, che, riprendendo sul punto Sezioni Unite Franzese del 2002, hanno ribadito che, nel reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalità tra omissione ed evento deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, aggiungendo che esso deve, a sua volta, essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto cfr. Sez. U. n. 38343 del 24/04/2014, Rv. 261103, Espenhanhn . Nella fattispecie in esame - come già rilevato - tale apprezzamento non è stato correttamente compiuto. Ulteriore profilo di criticità della impugnata sentenza risiede nell’omesso esame del novum normativo costituito dalla L. n. 189 del 2012 che esonera da responsabilità il terapeuta, in caso di colpa lieve, quando egli si sia attenuto ad accreditate linee guida o ad affidabili pratiche terapeutiche. Il tema è stato già diffusamente esaminato da questa Corte Sez. 4, Cantore, 29/01/2013, Rv. 255105 . Si è affermato a riguardo che il professionista che inquadri correttamente il caso nelle sue linee generali con riguardo ad una patologia e che, tuttavia, non persegua correttamente l’adeguamento delle direttive allo specifico contesto, o non scorga la necessità di disattendere del tutto le istruzioni usuali per perseguire una diversa strategia che governi efficacemente i rischi connessi al quadro d’insieme, sarà censurabile, in ambito penale, solo quando l’acritica applicazione della strategia ordinaria riveli un errore non lieve. Evidentemente il legislatore ha ritenuto di dover avere speciale riguardo per la complessità e difficoltà dell’ars medica che, non di rado, si trova di fronte a casi peculiari e complessi nei quali interagiscono a volte imponderabilmente diversi rischi o, comunque, specifiche rilevanti contingenze. In tali casi la valutazione ex ante della condotta terapeutica, tipica del giudizio sulla colpa, dovrà essere rapportata alla difficoltà delle valutazioni richieste al professionista il sanitario complessivamente avveduto ed informato, attento alle linee guida, non sarà rimproverabile quando l’errore sia lieve, ma solo quando esso si appalesi rimarchevole. Alla stregua della nuova legge, quindi, le linee guida accreditate operano come direttiva scientifica per l’esercente le professioni sanitarie e la loro osservanza costituisce uno scudo protettivo contro istanze punitive che non trovino la loro giustificazione nella necessità di sanzionare penalmente errori gravi commessi nel processo di adeguamento del sapere codificato alle peculiarità contingenti. Nel caso di specie nessun elemento viene indicato per ritenere che si sia in presenza di colpa grave, né emerge se gli odierni ricorrenti si siano attenuto alle accreditate linee guida nell’esecuzione dell’intervento, l’entità di un eventuale distaccamento dalle stesse, anche in relazione alle peculiarità del caso concreto che presentava notevoli criticità cfr. pag. 2 della impugnata sentenza . 6. Alla stregua delle considerazioni che precedono si impone l’annullamento della impugnata sentenza con rinvio alla Corte d’Appello di Firenze. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Firenze.