Comprata, venduta e trattata da schiava: dodici anni e mezzo al suo aguzzino

Terribile incubo per una giovane ragazza moldava. Alla liberazione si aggiunge ora la condanna per l’albanese che l’ha acquistata e portata in Italia per farla prostituire. Evidente la colpevolezza dell’uomo.

L’ha comprata e venduta, come fosse un oggetto. L’ha violentata. L’ha costretta a prostituirsi, obbligandola a versare a lui tutti i soldi percepiti. Ora l’aguzzino di una ragazzina moldava, che ha vissuto un incubo durato anni, fa finalmente i conti con la giustizia è ritenuto responsabile di riduzione in schiavitù” e deve scontare 12 anni e 6 mesi di reclusione Cassazione, sentenza n. 30635, sez. I Penale, depositata oggi . Schiavitù. La terribile vicenda è stata ricostruita in modo dettagliato. Grazie al lavoro degli inquirenti è stato possibile appurare che l’uomo sotto accusa, un albanese, ha favorito l’ingresso illegale in Italia di una minorenne moldava, da lui comprata all’estero e poi ridotta in schiavitù e costretta a subire atti sessuali da parte di clienti occasionali . Peraltro, è emerso che egli ha anche violentato la ragazza, prima di venderla a due uomini che l’hanno continuata a trattare come una schiava. Difficile immaginare l’incubo vissuto dalla donna. Molto più facile, invece, arrivare a ritenere l’albanese un vero e proprio aguzzino. Consequenziale perciò la decisione con cui in secondo grado egli viene condannato a dodici anni e sei mesi di reclusione e 35mila euro di multa . Gestione. Ora la sanzione viene confermata e resa definitiva dai Giudici della Cassazione. Respinte, difatti, tutte le obiezioni proposte dal legale del cittadino albanese. In primo luogo viene ritenuta irrilevante la presunta incertezza circa le generalità dell’uomo. Ciò perché è certa la sua identità fisica , annotano i magistrati. Su questo fronte viene richiamato un dato significativo in una delle schede telefoniche in possesso della donna era memorizzato il nominativo di ‘padrone’, nominativo cui era abbinato un numero telefonico intestato all’albanese . Per quanto concerne invece l’età della ragazza, essa era sicuramente conosciuta dallo straniero. A questo proposito, il fatto che la prostituzione della donna moldava fosse gestita da un uomo italiano non cambia il quadro complessivo della vicenda, poiché, osservano i giudici, quell’uomo era guidato dall’albanese, che aveva preferito defilarsi, almeno in apparenza, perché aveva già subito un controllo da parte delle forze dell’ordine . Nessun dubbio, quindi, sul fatto che l’albanese abbia costantemente utilizzato la giovane moldava come un oggetto da cui trarre soldi.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 14 febbraio – 19 giugno 2017, n. 30635 Presidente Mazzei – Relatore Cairo Ritenuto in fatto 1. La Corte d'assise d'appello di Bari, con sentenza in data 3/11/2015, confermava la decisione emessa dalla Corte d'assise della medesima località con cui Vo. Ar. era stato ritenuto colpevole per - aver compiuto attività dirette a favorire l'ingresso illegale in Italia della cittadina moldava Po. Ox. - ridotto in schiavitù la medesima cittadina moldava che aveva comprato all'estero -costretto la Po. a subire atti sessuali da parte di clienti occasionali e da parte del medesimo imputato - favorito e sfruttato la sua prostituzione - ceduto la cittadina Moldava indicata a Se. Ar. e Ha. Da. che la acquistavano e la mantenevano nella medesima condizione di schiavitù - contraffatto ed alterato un passaporto vero appartenente a tale Pa. Ve Ciò posto la Corte d'assise condannava l'imputato alla pena di anni dodici mesi sei di reclusione ed Euro 35.000 di multa, previa unificazione delle condotte ex art 81 cpv. cod. pen., unificati i fatti di cui ai capi C e D nell'unico delitto di cui all'art. 600 bis cod. pen., aggravato ai sensi dell'art. 600 sexies comma 3 cod. pen. La Corte territoriale premetteva che l'imputato, rimasto contumace nel giudizio di primo grado, perché latitante, era stato assistito da un difensore d'ufficio. Non aveva proposto appello e la sentenza era divenuta irrevocabile il 18 aprile 2005. Con istanza del 20 giugno 2014 il Vo. aveva chiesto di essere restituito nei termini per proporre appello, assumendo di non aver mai avuto conoscenza della pendenza a suo carico del processo e di aver avuto contezza della condanna solo nel maggio 2014, allorquando era stato richiesto un certificato penale. La Corte d'assise d'appello lo aveva restituito nei termini per impugnare e si era, dunque, svolto il giudizio d'appello avverso la decisione di condanna. 1.1. I fatti erano stati ricostruiti richiamando le dichiarazioni della persona offesa Po. Ox. e le attività di riscontro che erano state eseguite. La ragazza, all'epoca minore d'età, aveva lasciato la terra d'origine, in cui viveva, in condizioni di povertà estrema, unitamente ai genitori. La madre, gravemente malata, non aveva possibilità di lavorare e il padre svolgeva un'attività che gli permetteva un guadagno assolutamente insufficiente, per i bisogni del nucleo familiare. Ella aveva utilizzato un documento che attestava falsamente la maggiore età ventisei anni . Era stata più volte venduta ed acquistata da diversi soggetti, fino a giungere in Italia ove era stata avviata all'attività di prostituzione. Ciò era accaduto contro il suo volere ed era stata sfruttata anche dall'odierno imputato, noto con il nome padrone Ar. , che aveva riscosso integralmente i proventi dell'attività di prostituzione. Più volte la Po. aveva subito violenza sessuale, sia dall'Ar. che dal suo collaboratore, cui l'aveva affidata e che ne aveva gestito gli utili derivanti dall'esercizio della prostituzione nel periodo in cui il medesimo Ar. Vo. era stato espulso ed era temporaneamente rientrato in Albania. All'esito di una serie di contatti presi con la polizia giudiziaria, la ragazza era riuscita a fuggire consegnandosi agli inquirenti, che avevano provveduto ad assicurarle ospitalità presso una struttura di protezione Re. Pa. , da cui, con diverse iniziative, lo stesso imputato aveva tentato inutilmente di farla prelevare. 2. Ricorre per cassazione Vo. Ar., a mezzo del difensore di fiducia, e deduce i seguenti motivi di ricorso. 2.1. Lamenta la violazione della legge penale in relazione all'identificazione dell'imputato. Nel processo l'identificazione non era mai avvenuta in maniera corretta né l'ordinanza cautelare era mai stata notificata. Colui che la persona offesa aveva indicato come padrone Ar. non sarebbe potuto essere l'imputato. Il soggetto con quell'appellativo era stato espulso dalla Questura di Bari nel novembre 2010. Del resto, la persona offesa non aveva mai operato un riconoscimento del Vo., contrariamente a quanto accaduto per gli altri soggetti. Lo stesso giudice del merito aveva indicato che era certa la sola identità fisica, ma che non era, in definitiva, certa quella anagrafica. Il passaporto recava tracce di manipolazione. Già questo sarebbe bastato a ritenere certo che vi fosse una discrasia tra identità fisica ed anagrafica del soggetto e ad annullare la sentenza. La persona offesa non aveva offerto elementi validi per identificare l'imputato e si era limitata a parlare di padrone Ar. , così offrendo un nome decisamente comune in Albania e non valido per l'esatta individualizzazione. 2.2. Lamenta il ricorrente, altresì, la violazione della legge penale in merito alla conoscenza dell'età della persona offesa e contesta l'applicazione delle relative aggravanti. La sentenza di merito era incorsa in una semplificazione nel ritenere provata la conoscenza dell'età della persona offesa. Era stata la stessa Po. ad affermare di essersi allontanata da casa utilizzando un documento di identità falso che attestava la sua maggiore età, là dove ella aveva ancora 17 anni. La Corte di merito era, ciò nonostante, giunta a ritenere che l'imputato conoscesse la minore età della ragazza moldava. La conclusione era stata inferita dalla circostanza che il Ca. Se., stretto collaboratore del Vo. Ar., ne era a conoscenza. Per la natura dei rapporti tra il primo e l'imputato si sarebbe dovuto necessariamente postulare che anche costui ne avesse contezza. A giudizio del ricorrente si trattava di un argomento non corretto e nulla autorizzava a trasferire la conoscenza del Ca. su quel dato al medesimo Vo Lo stesso Ca. mai aveva affermato che il complice albanese avesse conoscenza dell'età della giovane ragazza. Osserva in diritto 1. Il ricorso è manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile. 1.1. Il primo motivo, con cui si censura la mancanza di certezza sull'identità dell'imputato pone questioni che afferiscono essenzialmente alla rivalutazione del dato istruttorio sul punto, operazione già compiuta dal giudice del merito con un ragionamento immune dalle censure rivolte. Lo stesso ricorrente, d'altro canto, dà conto che nella specifica vicenda processuale non vi fosse dubbio alcuno sulla identità fisica del Vo. e che, al più, la questione controversa incideva sull'identità anagrafica. Si tratta di un elemento che, tuttavia, non avrebbe messo in discussione né la procedibilità dell'azione, né il particolare relativo alla riferibilità dei fatti all'imputato stesso, secondo il preciso e chiaro racconto che ne aveva operato, appunto, Po. Ox odierna persona offesa. Questa Corte ha avuto modo di chiarire che l'incertezza circa le generalità dell'imputato, della cui identità fisica si abbia però certezza, non legittima né la pronuncia di assoluzione per non aver commesso il fatto , né la dichiarazione di non doversi procedere per essere rimasti ignoti gli autori del reato , trattandosi di formule che presuppongono un'assoluta incertezza sulla identità fisica dell'imputato e non una semplice incertezza circa le sue generalità Sez. 5,sentenza n. 45513 del 22/04/2014 c.c. dep. 04/11/2014 P.G. in proc. Am., Rv. 261674 Sez. 5, sentenza n. 17044 del 08/02/2013 Ud. dep. 12/04/2013 , Go., Rv. 256601 . 1.2. Nel merito la Corte territoriale ha escluso ogni ipotesi di dubbio sull'identità fisica dell'imputato. Ha spiegato che la fotografia a cui aveva fatto riferimento la difesa non era neppure documentato che ritraesse il Vo. Ar La persona offesa aveva, infatti, indicato che costui recava una vistosa cicatrice sulla guancia. D'altro canto, si è spiegato come in una delle schede in possesso della medesima Po. era memorizzato il nominativo di padrone Ar. , nominativo cui era abbinato un numero telefonico intestato all'odierno imputato. La stessa persona offesa nel suo racconto aveva rappresentato di essere stata ricevuta in Italia dai fratelli del Vo. stesso e di essere stata segregata nelle rispettive abitazioni, di Palo del Colle e di Modugno. Ancora, nel periodo in cui la donna si era sottratta all'attività di prostituzione e al suo sfruttamento lo stesso Ar. aveva tentato di allontanarla dal centro in cui era ospitata. Le aveva intimato, invero, di recarsi a Roma presso un albergo ove si era trattenuta in passato con l'Ar. stesso, per consegnarsi ad un amico di costui, il Landi. Proprio in due alberghi della capitale l'Acropoli ed il Concorde erano state acquisite le schede della presenza del medesimo Vo. Ar., che ivi aveva alloggiato unitamente alla persona offesa. Lo stesso Vo. Ar. era stato identificato, durante un controllo da parte delle forze dell'ordine, in compagnia del Ca., a bordo del veicolo di quest'ultimo. Successivamente la vettura era stata coinvolta in un incidente stradale all'esito del quale la Po. era stata ricoverata in ospedale. Ebbene, alla luce di quanto premesso la sentenza impugnata si è correttamente confrontata con il tema indicato dell'identificazione del Vo. e, attraverso il motivo di ricorso, come anticipato, si tende ad ottenere una diversa ricostruzione e valutazione degli elementi di fatto che hanno indotto la Corte territoriale a ritenere esattamente provata l'identità fisica dell'imputato. 2. Quanto alle censure sviluppate sul punto della minore età della persona offesa si deve osservare che, contrariamente a quanto dedotto, la Corte territoriale ha richiamato gli elementi che si ritraevano dal rapporto che l'imputato intratteneva con Ca. Se Costui era stato, infatti, incaricato dal primo di gestire l'attività della Po. e lo aveva fatto perché il Vo. Ar., avendo già subito un controllo da parte delle forze dell'ordine, temeva che si potesse esporre eccessivamente. La Corte territoriale, con motivazione immune da ogni censura, ha spiegato che il Ca. aveva conoscenza dell'età della ragazza, che al Ca. stesso era stata affidata dal Vo. Ar. allorquando per una specifica congiuntura era stato costretto a fare momentaneo ritorno in Albania. Non si è trattato, dunque, di una semplificazione o di un argomento teso a trasferire sull'imputato la conoscenza del dato che aveva il Ca., quanto piuttosto dell'elaborazione di un argomento logico in virtù del quale la Corte territoriale, per una serie di particolari in fatto, ha inferito la conclusione che le conoscenze del Ca. non potessero che derivare dal rapporto che aveva con il Vo. e dalla cointeressenza esistente tra i due soggetti, proprio nello sfruttamento della Po Il giudizio di fatto espresso, anche sul prezzo pagato per l'acquisto della ragazza, involge valutazioni sul risultato della prova ed attiene al puro merito, aspetti non devolvibili con il ricorso per cassazione, a fronte di una motivazione immune dai vizi censurati. 3. Alla luce di quanto premesso il ricorso va dichiarato inammissibile. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1500 alla cassa delle ammende non ricorrendo ipotesi di esonero. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di millecinquecento Euro alla cassa delle ammende. In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi di Po. Ox. e solo essi.