Il quadro clinico poco chiaro può escludere l’imperizia dei sanitari

L’equivocità diagnostica poteva essere sciolta solo con un intervento chirurgico? Le lesioni potrebbero non essere frutto di imperizia

Il caso. Due sanitari venivano prima condannati per il reato di lesioni colpose ai danni di un paziente e poi, in secondo grado, assolti, perché, visto il complesso quadro diagnostico, era da escludersi la ricorrenza di profili di colpa professionale per imperizia a carico dei 2 imputati. La questione arriva davanti alla Cassazione dopo che il paziente aveva proposto impugnazione ai fini civili. Equivocità diagnostica I Giudici di legittimità, tuttavia, con la sentenza n. 29053/2017 depositata il 12 giugno, rigettano in toto il ricorso proposto, confermando la correttezza della decisione dei Giudici di appello. Questi ultimi, infatti, hanno sottolineato come la valutazione dell’equipe sanitaria era intervenuta in uno spettro di equivocità diagnostica che avrebbe dovuto essere sciolta . nonostante gli 8 giorni di degenza. Inoltre, gli stessi Giudici, al contrario di quanto sostenuto dalla parte ricorrente in Cassazione, hanno fornito adeguato riscontro alla consulenza tecnica, escludendo l’imperizia dei sanitari, i quali – si legge nel dispositivo - hanno effettuato una scelta chirurgica proprio perché dagli esami compiuti durante 8 giorni di degenza del paziente nel reparto di chirurgia d’urgenza non era stata affatto esclusa con certezza una neoplasia .

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 22 febbraio – 12 giugno 2017, n. 29053 Presidente Bianchi – Relatore Bellini Ritenuto in fatto 1.La Corte di Appello di Salerno con la sentenza impugnata, in riforma della decisione del Tribunale di Salerno, assolveva A.P. e S.P. dal reato di lesioni colpose ascritte ai danni del paziente G.U. perché il fatto non sussiste. 1.2 Ai suddetti sanitari era contestato, quali componenti dell’equipe chirurgica presso l’Ospedale omissis , di avere eseguito una laparotomia sul paziente al fine di trattare una sospetta neoplasia intestinale, provocando una cicatrice xilo pubica cheloide della lunghezza di circa 35 cm, sebbene la evidenza diagnostica e le condizioni del paziente non giustificassero un tale trattamento, il quale invero si era rivelato inutile. 1.3 I giudici di primo grado, ai fini della pronuncia di condanna aveva valorizzato gli esiti della perizia fatta eseguire, dalla quale erano emersi profili di colpa professionale per non avere i suddetti sanitari indagato ulteriormente con strumentazione diagnostica sulla natura della ipotizzata patologia del colon, in presenza di elementi diagnostici non univoci e comunque inidonei a giustificare l’opzione chirurgica, tenuto conto che non si verteva in ipotesi di urgenza terapeutica. 1.4 I giudici di appello al contrario evidenziavano che gli accertamenti fatti eseguire durante la degenza non avevano fornito evidenze tali da escludere la indicazione per l’opzione chirurgica nella prospettiva di una neoplasia intestinale. Tale poi non si era rivelata solo all’esito della laparotomia, potendosi ragionevolmente essere verificata una invaginazione delle pieghe del colon, ma una siffatta diagnosi non poteva essere formulata prima dell’intervento, anche in ragione della presenza di una occlusione intestinale che impegnava oltre i tre quarti dell’intestino. Sulla base di tale equivoco e complesso quadro diagnostico il giudice territoriale in grado di appello escludeva la ricorrenza di profili di colpa professionale per imperizia a carico dei sanitari. 2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto impugnazione ai fini civili la difesa della parte civile G.U. , avanzando un unico articolato motivo di ricorso con il quale si duole di carenza e illogicità manifesta di motivazione e travisamento della prova in relazione alle conclusioni cui era pervenuto il giudice di appello, in totale contrasto con gli esiti della perizia, della totale non pertinenza delle argomentazioni addotte, ove giustificava la necessità del trattamento in ragione di una occlusione che impegnava l’intestino. Pone poi in rilevo che mancava una indicazione terapeutica del trattamento di laparotomia, sia per assenza di univoche emergenze diagnostiche, che comunque escludevano la presenza di una massa neoplasica, sia in ragione delle condizioni generali del paziente che non giustificavano un trattamento di urgenza, mentre consigliavano un ulteriore approfondimento diagnostico. Considerato in diritto 1. Il giudice di appello ha fatto corretto uso dei principi che regolano l’accertamento della responsabilità sanitaria nel processo penale, argomentando, con ragionato e non contraddittorio articolato motivazionale, oltre le valutazioni dei consulenti tecnici, che pure avevano ravvisato profili di responsabilità a carico dei sanitari. 2. Invero se è certo che l’intervento in laparotomia si rivelò sostanzialmente inutile nella prospettiva, paventata dai sanitari, di formazione tumorale nel colon del paziente, di talché allo stesso derivò la lesione rappresentata dalla ferita conseguente all’intervento con esito cicatriziale e conseguenze dolorabilità e indebolimento dell’area addominale, i giudici di appello, con motivazione assolutamente integra sotto il profilo logico giuridico, hanno adeguatamente enucleato la ricorrenza della indicazione terapeutica. Essi hanno posto in luce un quadro contraddittorio, lungamente esplorato, che vedeva la presenza, all’indagine in colonscopia, di una voluminosa neo formazione polipoidea pluricolata con apici ulcerati, la cui definizione organica ed istologica non aveva trovato specifica risposta, a fronte di un paziente che lamentava dolore all’ipocondrio destro e una forte occlusione intestinale. 2. Con apparato argomentativo coerente con l’esito dei numerosi accertamenti diagnostici eseguiti i giudici appello hanno evidenziato che il giudizio di eccesso di cure , formulato da parte dei consulenti del pubblico ministero costituiva, in ragione delle stesse argomentazioni utilizzate per sostenerlo, una valutazione postuma di non appropriatezza dell’opera dei sanitari, fondata sostanzialmente sul dato, ricavato per lo più dall’esito del trattamento in laparotomia, che nessuna formazione era presente in sede e che si era trattato verosimilmente di una invaginazione del colon. Peraltro hanno sottolineato i giudici di appello che la valutazione dell’equipe sanitaria era intervenuta in uno spettro di equivocità diagnostica che avrebbe dovuto comunque essere sciolta, tenendo conto del fenomeno occlusivo e della presenza di una voluminosa massa, riscontrata già in sede di pronto soccorso, risultata poi in sede di colonscopia, una formazione strozzata ed ulcerata che aveva le sembianze di massa tumorale che ben avrebbe giustificato un tempestivo intervento in laparotomia. 3. Non è pertanto vero che, come sostenuto dal ricorrente, i giudici di appello non hanno considerato le indicazioni provenienti dalla consulenza tecnica ma al contrario, fornendo adeguato riscontro alle stesse, hanno escluso la ricorrenza di imperizia a carico dei sanitari i quali hanno effettuato una scelta chirurgica proprio perché dagli esami compiuti durante otto giorni di degenza del paziente nel reparto di chirurgia d’urgenza non era stata affatto esclusa con certezza una neoplasia . Sotto questo ultimo profilo pertanto il ricorso, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto, e pertanto immune da vizi di legittimità, atteso che la stessa fornisce adeguata spiegazione delle ragioni per cui sono stati esclusi profili di colpa per imperizia nei confronti di entrambi i sanitari. 4. Il ricorso va pertanto rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.