Non può considerarsi soggetto passivo di un pregiudizio chi avrebbe potuto evitarlo

In materia di equa riparazione per ingiusta detenzione, il giudice di merito può negare il diritto al risarcimento per la detenzione sofferta qualora vengano individuati elementi concreti che rivelino, in maniera eclatante il dolo o la colpa del richiedente che, col suo comportamento negligente o imprudente, abbia dato causa alla custodia cautelare o abbia concorso a darvi causa, con obbligo di precisa e dettagliata motivazione - non fondata su mere supposizioni – che renda atto di ogni elemento eloquente circa la condotta tenuta prima e dopo la perdita della libertà personale.

I Giudici della Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 29089/2017, depositata il 12 giugno u.s., si pronunciano in tema di ingiusta detenzione, focalizzando l’attenzione sul profilo dell’individuazione della colpa grave in capo al richiedente. La quaestio. La Corte d’appello di Napoli con la ordinanza oggetto di impugnazione rigettava la domanda con la quale un assessore, che aveva subito gli arresti domiciliari perché indagato dei reati di associazione per delinquere finalizzata a fatti corruttivi, chiedeva la riparazione per l’ingiusta detenzione sofferta a seguito della sentenza di assoluzione pronunciata dal Giudice dell’Udienza Preliminare di Napoli con sentenza del 19 marzo 2010 emessa a seguito di giudizio abbreviato, divenuta definitiva nel 2014. Avverso siffatto provvedimento ricorre per cassazione l’istante a mezzo del proprio difensore di fiducia, articolando una serie di motivi, riunibili in via unitaria nella denuncia di vizio di motivazione e violazione di legge in relazione alla ritenuta colpa grave in capo all’assessore come motivo di diniego all’avanzata proposta di equa riparazione per ingiusta detenzione. Principio di auto responsabilità. Gli Ermellini della Quarta Sezione, in via preliminare, richiamano i principi, ormai consolidati, pronunciati dalle Sezioni Unite in questa materia, a tenore dei quali nel nostro sistema giuridico vige un generale principio di auto responsabilità in capo a tutti i consociati, secondo cui non può considerarsi vittima” colui che il pregiudizio avrebbe potuto evitarlo. Da ciò consegue che il diritto all’equa riparazione è esplicitamente subordinato alla condizione di inesistenza di una condotta dolosa o gravemente colposa causativa o con causativa della custodia cautelare. Dunque, ogni qual volta il soggetto richiedente abbia dato luogo o concorso a creare le premesse per l’adozione di un provvedimento restrittivo della propria libertà personale l’equa riparazione non può essere riconosciuta. Tale valutazione deve essere svolta dal giudice della riparazione che, a tal fine, deve servirsi di ogni elemento probatorio utile alla individuazione di eventuali comportamenti dolosi o colposi del richiedente, soprattutto in un’ottica ex ante di particolare rilevanza, infatti, è investito il panorama d’indagine inizialmente a disposizione del giudice della cautela per l’applicazione e poi per il mantenimento della misura restrittiva emessa, certamente diverso rispetto ad un quadro più completo di cui dispone il giudicante in sede di definizione del giudizio. Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ritiene che il Collegio territoriale abbia fatto buon governo dei principi espressi dalle Sezioni Unite in punto di diniego all’equa riparazione e, per tali motivi, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 2 maggio – 12 giugno 2017, n. 29089 Presidente Bianchi – Relatore Gianniti Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Napoli con la ordinanza impugnata ha rigettato la domanda con la quale G.G. aveva richiesto riparazione per la detenzione sofferta, agli arresti domiciliari, dal 17/12/2008 al 6/3/2009, in forza di vari provvedimenti restrittivi ordinanze del 16/12/2008 e del 7/1/2009 del Gip , in quanto ritenuto gravemente indiziato, nella sua qualità di assessore all’educazione, trasparenza, legalità pubblica, istruzione, edilizia scolastica, diritto allo studio, tutela del cittadino dal racket e dall’usura del comune di Napoli, dei delitti di cui - all’art. 416 c.p. capo A - agli artt. 110, 81 cpv, 535, commi 1 e 2 capo D per aver turbato la gara relativa all’appalto pubblico integrato per la manutenzione e refezione scolastica delle scuole cittadine della durata triennale e per l’importo complessivo di circa Euro 20.000.000,00 - di cui agli artt. 110, 81 cpv., 319, 319 bis e 321 c.p. capo G perché compiva atti contrari ai doveri d’ufficio, consentendo, da un lato, alle imprese riconducibili all’imprenditore R.A. l’aggiudicazione degli appalti pubblici banditi dal comune di Napoli, ricevendo, d’altro lato, o comunque accettando la promessa da questi altre utilità valutabili in termini economici, quali l’assunzione di manodopera da lui segnalata, il versamento di contributi alla fondazione a voce d’e creature riconducibile al suo amico don M.L. , l’agevolazione nell’acquisto di appartamenti gestiti dalla R. immobiliare, la sponsorizzazione del G. presso i vertici nazionali dei partiti politici - imputazioni per le quali era stato assolto dal Giudice dell’Udienza Preliminare di Napoli con sentenza 19/3/2010 emessa ad esito di giudizio abbreviato confermata dalla Corte di appello di Napoli con sentenza 12/4/2013 e quindi passata in giudicato il 9/7/2014, allorquando la Sesta Sezione Penale di questa Corte con sentenza n. 40306 ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal Procuratore Generale, annullando invece senza rinvio nei confronti del R. e di altri in relazione ad alcune imputazioni . 2. Avverso la suddetta ordinanza, tramite difensore di fiducia, propone ricorso il G. , nel quale, pur procedendo ad una illustrazione in maniera unitaria , denuncia vizio di motivazione e violazione di legge in punto di - ritenuta diversità tra il materiale esaminato dal giudice della cautela ed il materiale su cui si sono fondate le tre sentenze di assoluzione - omessa motivazione in ordine all’eventuale incidenza causale, rispetto alle successivamente intervenute pronunce assolutorie nel merito, dell’interrogatorio, al quale lui si era sottoposto in data 20/12/2008, e della consulenza tecnica amministrativa a firma del Prof. C.A. , in relazione all’ipotesi di reato ex art. 353 c.p. , che era stata depositata dal suo difensore, prima della emissione della seconda ordinanza cautelare e della decisione del Tribunale del riesame in altri termini, nulla sarebbe stato detto circa il fatto che entrambi i giudici di merito avevano o no fondato l’affermazione della sua penale responsabilità esclusivamente sulla valutazione delle fonti probatorie già in possesso dei giudici della cautela - ritenuta colpa grave in un caso in cui il giudice di merito aveva emesso la sentenza assolutoria sulla base degli stessi elementi a disposizione del Gip e del Tribunale del riesame al contrario, secondo il ricorrente - ogniqualvolta vi sia coincidenza tra il materiale indiziario, posto dal giudice della cautela a fondamento dell’ordinanza restrittiva, ed il materiale probatorio, posto dai giudici di merito a fondamento di sentenza assolutoria - dovrebbe essere riconosciuta in ogni caso l’ingiusta detenzione - ritenuto nesso causale tra la sua condotta e l’applicazione ed il mantenimento della misura, essendo stati ritenuti in sede di merito tutti i reati a lui contestati giuridicamente inconfigurabili al riguardo, il ricorrente rileva in particolare che tutte le conversazioni oggetto di captazione si inserivano in una fase politico-programmatica, caratterizzata non soltanto dall’assenza di qualsivoglia segreto penalmente rilevante, ma anche dalla massima trasparenza e pubblicità ragion per cui le conversazioni telefoniche, da lui intrattenute con il R. , rientravano nel fisiologico esercizio di un pubblico potere che, nella fase ideativa, può interloquire e confrontarsi con soggetti imprenditoriali esperti sul punto tanto più che non era affatto risultato escluso che lui si confrontasse anche con altri soggetti - attribuito rilievo, ai fini del riconoscimento della colpa grave, di affermazione in sentenza emessa questa Corte nel presente procedimento , avente ad oggetto esclusivamente l’ipotesi di rivelazione del segreto d’ufficio fattispecie per la quale non era stata applicata alcuna misura cautelare al contrario, secondo il ricorrente, la Sesta Sezione Penale di questa Corte, nella citata sentenza, aveva sottolineato che ci si trovava in fase antecedente all’apertura della gara, circostanza di per sé ostativa alla stessa ipotizzabilità dell’esistenza di un atto coperto da segreto e comunque, a tutto voler concedere, avrebbe a lui attribuito, incidenter tantum, una violazione del dovere di imparzialità esclusivamente in relazione ad una presunta ed insussistente ipotesi di rivelazione di segreto d’ufficio che non aveva mai costituito titolo custodiale - ritenuta sua partecipazione alla vicenda c.d. Globale Service, di cui al capo B , senza considerare che lui era stato imputato esclusivamente per l’ipotesi di turbativa di cui al capo D appalto integrato per la refezione scolastica , ma non era stato mai imputato per la presunta turbativa d’asta afferente la manutenzione delle strade - ritenuta utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche al riguardo il ricorrente fa presente che la Sesta Sezione Penale di questa Corte, nella pronuncia sopra richiamata, pur ritenendo assorbita l’eccezione di inutilizzabilità delle conversazioni intercettate alla luce della riconosciuta giuridica insussistenza di tutti i reati contestati, aveva evidenziato che pp. 33-36 a mancavano agli atti i decreti autorizzativi emessi nella prima fase dell’indagine allorquando il procedimento pendeva davanti alla Procura di Santa Maria Capua Vetere in relazione a presunti illeciti rapporti di taluni componenti dell’amministrazione comunale di OMISSIS con imprenditori a vario titolo interessati al rilascio di concessioni ed autorizzazioni in materia urbanistica b le motivazioni con cui entrambi i giudici di merito avevano rigettato l’eccezione di inutilizzabilità sollevata dal suo difensore non erano ancorate a specifici elementi di fatto ed erano generiche in punto di verifica della connessione tra i due procedimenti aggiunge che - poiché l’art. 270 c.p.p. prevede un divieto generalizzato di utilizzazione delle intercettazioni telefoniche disposte in procedimenti diversi salvo che le stesse risultino indispensabili per l’accertamento dei reati per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza - le conversazioni telefoniche intercettate sulle quali si erano fondate le accuse a suo carico, essendo state intercettate allorquando il procedimento pendeva davanti alla Procura di Santa Maria Capua Vetere, non sarebbero utilizzabili nel presente procedimento che non ha avuto ad oggetto reati per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza . In definitiva, secondo il ricorrente, così come era avvenuto per il coimputato P. al quale era stato riconosciuto l’indennizzo di Euro 10 mila per gli arresti domiciliari che aveva ingiustamente subito dal 17/12/2008 al 21/1/2009 , non dovrebbe potersi ravvisare nessuna sua condotta colposa concorrente tutta la sua vicenda cautelare avrebbe avuto causa esclusiva negli errori di diritto compiuti dai giudici cautelari, con la conseguenza che - in conformità delle conclusioni rassegnate dal Procuratore Generale che aveva chiesto di procedere alla determinazione dell’indennizzo, tenendo conto non solo del criterio aritmetico, ma anche del danno in concreto sofferto nel corso dell’udienza svoltasi davanti al Giudice di riparazione - la sua domanda di riparazione dovrebbe trovare accoglimento. 3. In vista dell’odierna udienza, il difensore del ricorrente deposita nota nella quale dichiara di aderire all’astensione dalle udienze penali, proclamata dalle Camere penali trattasi di dichiarazione irrilevante nel caso di specie, trattandosi di rito camerale non partecipato . Considerato in diritto 1. I motivi di ricorso - che, per il loro contenuto, vengono qui trattati in maniera unitaria come peraltro effettuato dallo stesso ricorrente - non sono fondati. 2. Può essere utile ricordare che le Sezioni Unite cfr. sent. n. 34559 del 26/06/2002, De Benedictis, Rv. 222263 hanno avuto modo di statuire che In tema di equa riparazione per ingiusta detenzione il giudice di merito, per valutare se colui che la ha patita vi abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve, in modo autonomo e completo, apprezzare tutti gli elementi probatori a sua disposizione con particolare riferimento alla sussistenza, da parte di quest’ultimo, di un comportamento, che riveli eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo adeguata e congrua motivazione del convincimento conseguito, che è incensurabile in sede di legittimità, quando presenti i suddetti caratteri. Nell’eseguire tale accertamento il giudice deve fondare la deliberazione conclusiva su fatti concreti e precisi e non su mere supposizioni, esaminando la condotta tenuta dal richiedente sia prima sia dopo la perdita della libertà personale, a prescindere dalla conoscenza da parte di quest’ultimo dell’inizio dell’attività d’indagine, al fine di stabilire, con valutazione ex ante, non se detta condotta abbia integrato estremi di reato ma soltanto se sia stata il presupposto, che abbia ingenerato, pur se in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di causa ad effetto . In altra più recente sentenza, le Sezioni Unite, nell’esaminare l’istituto della riparazione per ingiusta detenzione, hanno pure evidenziato che risulta legittima una disciplina normativa che preveda, come per l’appunto il vigente art. 314 cod. proc. pen., l’esclusione dal beneficio in esame di chi, avendo contribuito con la sua condotta a causare la restrizione, non possa esserne considerato propriamente vittima sent. n. 32383 del 27/05/2010, D’Ambrosio, Rv. 247663 . Nel nostro sistema giuridico, dunque, vige un generale principio di autoresponsabilità in capo a tutti i consociati desumibile dagli artt. 1227 e 2056 c.c. in base al quale non può considerarsi soggetto passivo di un pregiudizio colui che avrebbe potuto evitarlo. Proprio alla luce di tale principio il riconoscimento del diritto all’equa riparazione è esplicitamente subordinato alla condizione della inesistenza di una condotta dolosa o gravemente colposa causativa o concausativa della custodia cautelare la domanda di riparazione, cioè, non può essere accolta in tutti quei casi in cui un soggetto, per dolo o colpa grave, ha egli stesso creato - ovvero ha contribuito a creare - le premesse per l’adozione ed il mantenimento della misura cautelare o nella specie precautelare , dovendosi escludere la presenza nel nostro ordinamento di meccanismi di indennizzo a fronte di pregiudizi che si è concorso a porre in essere. 3. Sviluppando i principi affermati dalle Sezioni Unite, questa Sezione ha da tempo avuto modo di precisare che - il Giudice della riparazione - basandosi su fatti concreti - deve valutare non se la condotta integri il reato, ma solo se sia stato il presupposto che ha ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurazione come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di causa ad effetto . Gli elementi di vantazione, quindi, non devono essere diversi, mentre è differente l’oggetto di verifica non più la responsabilità dell’imputato ragion per cui la sua assoluzione non è di per se rilevante ma se la sua condotta - seppur in presenza dell’errore altrui - sia stato presupposto della falsa apparenza di integrazione dell’illecito penale, e sia legata in rapporto di causa - effetto con la detenzione sent. n. 2895 del 13/02/2005, 2006, Mazzei, Rv. 232884 - condotte sinergicamente rilevanti, rispetto alla cautela sofferta, possono essere di tipo extraprocessuale grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l’adozione del provvedimento restrittivo o di tipo processuale autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi che non siano state escluse dal giudice della cognizione. A tal fine, nei reati contestati in concorso, va apprezzata la condotta che si sia sostanziata nella consapevolezza dell’attività criminale altrui e, nondimeno, nel porre in essere una attività che si presti sul piano logico ad essere contigua a quella criminale sent. n. 4159 del 09/12/2008, 2009, Lafranceschina, Rv. 242760 e la colpa grave, ostativa alla riparazione, non deve necessariamente consistere in una condotta che sia idonea ad indurre in errore l’AG specificatamente in relazione al reato per il quale si è patita la detenzione, sempre che la trasgressione sia stata giuridicamente idonea a sostenere una misura cautelare detentiva Sez. 4, sent. n. 37401 del 29/05/2014, Agostino, Rv. 260306 - il sindacato del giudice di legittimità sull’ordinanza che definisce il procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione è limitato alla correttezza del procedimento logico giuridico con cui il giudice è pervenuto ad accertare o negare i presupposti per l’ottenimento del beneficio indicato. Resta invece nelle esclusive attribuzioni del giudice di merito, che è tenuto a motivare adeguatamente e logicamente il suo convincimento, la valutazione sull’esistenza e la gravità della colpa o sull’esistenza del dolo sent. n. 15143 del 19/02/2003, Macrì, Rv. 224576 . 4. Occorre in questa sede ribadirsi che il giudizio penale ed il giudizio per l’equa riparazione sono giudizi tra di loro autonomi, che impegnano piani di indagine differenti quello della sentenza assolutoria di merito, nel quale il giudice penale deve valutare la sussistenza o meno di una ipotesi di reato e la sua riconducibilità all’imputato e quello della riconsiderazione delle vicende processuali al fine del riconoscimento del diritto all’equa riparazione, nel quale il giudice, ponendosi in una prospettiva ex ante, deve indicare gli elementi della condotta che hanno dato origine all’apparenza di illecito penale, ponendosi come causa o come concausa della detenzione e che possono portare a conclusioni del differenti assoluzione nel processo, ma rigetto della richiesta riparatoria sulla base dello stesso materiale probatorio acquisito agli atti sottoposto nei due giudizi ad un vaglio caratterizzato dall’utilizzo di parametri di valutazione differenti . In particolare, è consentita al giudice della riparazione la rivalutazione di qualsiasi elemento di indagine - la cui esistenza e non - si noti - il cui valore indiziario o probante non sia stata inequivocabilmente esclusa dalle successive acquisizioni dibattimentali - in quanto idoneo a determinare, in ragione di una grave negligenza od imprudenza dell’imputato, l’adozione o il mantenimento della misura custodiale, traendo in inganno l’Autorità giudiziaria. Il giudice della riparazione, nel valutare il comportamento tenuto dall’istante, ad esito di una procedura che presenta connotazioni di natura civilistica, deve far riferimento nella sua ordinanza al materiale acquisito al processo di cognizione, e, in particolare, all’ordinanza cautelare, che gli consente di rapportare il comportamento tenuto dall’imputato poi assolto con sentenza definitiva alla situazione esistente nel momento in cui il provvedimento custodiale veniva adottato o mantenuto così operando, effettuerà le valutazioni di sua competenza sulla base dello stesso materiale avuto a disposizione dal giudice, che ha emesso o mantenuto la misura cautelare. 5. Orbene, l’ordinanza impugnata si colloca coerentemente e puntualmente nell’alveo del richiamato quadro interpretativo, tracciato dalla giurisprudenza di legittimità, in ordine alla valutazione dei fattori colposi ostativi al riconoscimento dell’indennizzo, in tema di riparazione per ingiusta detenzione, in riferimento all’ipotesi di cui all’art. 314, comma 1, cod. proc. pen 5.1. Invero, la Corte di appello di Napoli, quale Giudice della riparazione, nella ordinanza impugnata - dopo aver ricordato la ratio dell’istituto della riparazione per ingiusta detenzione e dopo averne ripercorso i principali tratti caratterizzanti - ha dato atto p. 4 che entrambi i giudici di merito avevano assolto il G. da ogni imputazione allo stesso ascritta. In particolare a avevano ritenuto non configurabili tutte le fattispecie di cui all’art. 535 c.p. turbata libertà degli incanti, nel caso di specie, capo D in assenza dell’avvio della procedura di gara che si sarebbe avuta solo con la pubblicazione del bando di gara cfr. pagina 158 e seguenti della sentenza di primo grado e pagina 50 della sentenza della Corte di Appello di Napoli b avevano ritenuto l’insussistenza in fatto della corruzione di cui al capo I per la mancata individuazione degli atti contrari ai doveri di ufficio compiuti dal G. c avevano infine ritenuto l’insussistenza dell’ipotesi associativa di cui al capo A in considerazione non solo della ritenuta insussistenza dei reati scopo, ma anche del fatto che dall’espletata attività captativa era risultato che il R. agiva uti singuli . Dato atto di ciò, il Giudice della riparazione - nel sottolineare che dalla trama motivazionale di entrambe le sentenze di merito era emerso p. 7 un contesto in cui il R. .nella sua attività di lobbing, esercita va su tutti coloro che può - nessuno escluso -, ed attingendo a tutte le sue conoscenze, la propria pressione alfine di conseguire gli interessi del gruppo imprenditoriale a lui facente capo . cfr. pagina 224 della sentenza assolutoria del 19/3/2010 identicamente riportata nella sentenza della Corte di Appello di Napoli alla pagina 128 - ha ritenuto la sussistenza di una condotta gravemente colposa dell’istante ostativa al riconoscimento dell’invocato indennizzo sulla base dei seguenti elementi - dalla lettura delle conversazioni intercettate tra l’assessore G. e R.A. , imprenditore operante nel settore immobiliare interessato al pubblicando bando di gara nell’ambito del progetto denominato OMISSIS tra le quali quella di cui al progressivo 276 del 12/3/2017 e quella di cui al progressivo 605 del 21/3/2007 , risultava che il G. aveva tenuto una condotta imprudente, negligente e scorretta in ragione dell’incarico ricoperto in seno alla Giunta comunale , in quanto violativa del dovere di imparzialità - siffatta stigmatizzazione del comportamento tenuto dall’istante era stata cristallizzata alla pagina 29 della sentenza della Corte di Cassazione del 9 luglio 2014 che rendeva definitiva l’assoluzione del G. laddove - sia pure nella disamina del ricorso in relazione alla contestata rivelazione di segreto d’ufficio, che non aveva costituito titolo custodiale ma, come sopra rilevato, il rimprovero per colpa, che importa la negazione del diritto all’indennizzo riparatorio, non richiede la prevedibilità della custodia cautelare per il reato per il quale è stata effettivamente disposta - era stata indicata come violazione del dovere di imparzialità, derivante dalle informazioni privilegiate assicurate, la condotta che emergeva dal contenuto delle telefonate intercettate nelle quali il G. dava conto della sua attività amministrativa, delle difficoltà incontrate e delle possibilità di successo dell’attività assicurata in favore dell’imprenditore R. - dall’intero e complesso processo come ricostruito nella sentenza irrevocabile era emerso che il R. era seriamente interessato ad aggiudicarsi il OMISSIS , appalto novennale per la manutenzione ordinaria e straordinaria delle principali strade di Napoli, che il Comune di Napoli intendeva varare come progetto - le conversazioni intercettate avevano dimostrato che, tra i vari soggetti contattati dal R. , vi era anche il G. , che con lo stesso aveva anche una conoscenza pregressa cfr. pagina 5 e seguenti del verbale stenotipico di interrogatorio ex art. 294 c.p.p. del 20/12/2008 , ma che nel contempo ricopriva un consapevole ruolo istituzionale all’interno della Giunta del comune di Napoli - era indubbio che il G. , consapevole dei propri compiti istituzionalmente all’interno della vicenda OMISSIS , tanto agognata dal R. , si era prestato e comunque aveva mostrato al R. di prestarsi , sia pure in una fase prodromica rispetto alla gara, non solo di fornire informazioni sicuramente riservate ma anche di indirizzare la procedura in modo favorevole al R. , unico imprenditore cui prestava la propria consulenza cfr. pagina 12 del verbale stenotipico di interrogatorio ex art. 294 c.p.p. del 20/12/2008 - la violazione da parte del G. del dovere di imparzialità stava per l’appunto nell’aver aggiornato costantemente il R. , portatore di un evidente interesse individuale nella vicenda, nel corso della fase prodromica alla emanazione del bando di gara, e nell’aver accolto le indicazioni funzionali al detto bando di gara che questi forniva, sostenendole e rappresentandole anche nelle sedi politiche, manifestando agli occhi degli organi investigativi una non sana commistione tra amministratore e imprenditore sul quale le scelte amministrative sarebbero ricadute - la consapevolezza da parte del G. della negligenza dei rapporti intrattenuti nella specifica vicenda era ravvisabile nella cautela adottata non solo nel corso delle intercettazioni con il R. ma anche nel manifestare il rapporto di confidenza con il R. parlando con altri assessori e politici coinvolti nella medesima vicenda il riferimento è alla conversazione n. 1174 del 10/4/2007 - era dunque evidente che il G. aveva tenuto una incontrovertibile oltre che incontestata condotta extraprocessuale gravemente imprudente e negligente che aveva dato la stura all’adozione ed al successivo mantenimento del provvedimento restrittivo generatore dell’istanza. 5.2. Secondo il Giudice della riparazione - anche alla luce del principio di diritto affermato da questa stessa Sezione cfr. sent. n. 18152 del 9/02/2010, Motisi , in base al quale, per la valutazione della condotta tenuta dall’instante ai fini dell’equo indennizzo, può essere tenuto conto anche di comportamenti deontologicamente scorretti, quando questi, uniti ad altri elementi, configurino una situazione obiettiva idonea ad evocare, secondo un canone di normalità, una fattispecie di reato ciò in quanto la violazione di regole deontologiche, proprie ad una data professione, qualificano di colpa la condotta dell’agente - la suddetta stigmatizzata condotta costituisce all’evidenza un’imprudente creazione di un momento di ambigua commistione tra amministratori pubblici e imprenditori privati che, nel rilevato contesto, era stata idonea a contribuire all’errore del Giudice della cautela che si trovava di fronte a una situazione rivelatasi solo apparente a seguito degli ulteriori accertamenti - obiettivamente richiedente l’intervento in funzione preventiva e repressiva - il G. , pubblico ufficiale - in quanto amministratore locale, essendo assessore del comune di Napoli - aveva posto in essere sicuramente un comportamento negligente, imprudente e violativo della regola di imparzialità, concertando attività preparatoria da compiere in prima persona in ordine alla specifica e delicatissima gara che egli avrebbe dovuto concorrere a predisporre del OMISSIS ” e mostrando di intervenire nel modo desiderato dal R. modo che combaciava con quanto lui riteneva essere corretto detto comportamento era stato sicuramente improvvido, imprudente, incauto, potenzialmente foriero di aspettative illegittime da parte dello stesso amministrato e dotato di consistente oggettiva ambiguità, idonea a ingenerare interpretazioni erronee da parte dell’Autorità, come per l’appunto era occorso nel caso di specie tanto più che il suddetto comportamento si era inserito nel sopra richiamato e stigmatizzato contesto . In altri termini, secondo il giudice della riparazione, la condotta dell’istante è stata gravemente negligente, imprudente e violativa di norme deontologiche, al punto da concorrere sinergicamente nella formazione dell’errore che ha dato origine alla detenzione e al suo mantenimento. A conclusione delle indagini l’iniziale quadro indiziario era stato considerato inadeguato a sostenere l’accusa in giudizio per l’istante, ma ciò non incideva sulla valutazione di notevole gravità del grado di colpa nella condotta dell’istante che si era posta quale concausa dell’errore del Giudice della cautela. 5.3. L’iter argomentativo seguito dalla Corte territoriale resiste, allora, alle censure dedotte con il ricorso in esame, atteso che il giudice della riparazione ha effettuato del tutto correttamente la autonoma valutazione del comportamento posto in essere dal richiedente, secondo una valutazione ex ante , cioè a dire in riferimento agli elementi conosciuti dal giudice della cautela al momento dell’emissione dell’ordinanza custodiale e sino al momento della remissione in libertà ed ha ritenuto che tale comportamento, qualificato da grave imprudenza, avesse ingenerato la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale - ancorché in presenza di un errore da parte dell’A.G. procedente - così da dare luogo alla misura custodiale con rapporto di causa ad effetto ed escludere il diritto del ricorrente alla riparazione. In definitiva, la motivazione della Corte, in quanto logicamente coerente e non contradittoria, non può essere disattesa da questa Corte, alla luce dei limiti del proprio generale sindacato di legittimità. D’altra parte, quanto alla eccepita utilizzabilità del materiale probatorio, va ricordato che, come già precisato da questa stessa Sezione sent. n. 11428 del 21/02/2012, Nocerino, Rv. 252735 la procedura riparatoria presenta connotazioni di natura civilistica, e che, quindi, nel suo ambito non operano automaticamente i divieti, previsti dal codice di rito esclusivamente per la fase processuale penale dibattimentale, ben potendo invece trovare ingresso nell’alveo di una causa con impronta civilistica, quali fonti di prova inquadrabili nella categoria delineata dall’art. 2712 c.c., anche atti penalmente inutilizzabili. Tale possibilità incontra limite soltanto nel caso di inutilizzabilità patologica di atti probatori assunti in violazione di espressi divieti di legge art. 291 c.p.p. , nonché nel caso in cui gli elementi di prova, che sono stati acquisiti nella fase delle indagini e che sono utilizzati nel procedimento riparatorio, siano stati inequivocabilmente esclusi dalle successive acquisizioni dibattimentali. Ma nessuno dei suddetti due limiti ricorrono nel caso di specie, con la conseguenza che le conversazioni intercettate già ritenute utilizzabili da entrambi i giudici di merito in sede penale sono state comunque legittimamente utilizzate dal Giudice della riparazione per valutare la sussistenza della condotta ostativa al riconoscimento dell’indennizzo. Infine, nessuna rilevanza può essere attribuita alla circostanza che la Corte territoriale abbia accolto la domanda di riparazione presentata dal P. , già coimputato dell’odierno richiedente, non essendo per nulla in sé contraddittorio che ostativa al riconoscimento dell’indennizzo sia stata ravvisata la condotta dell’uno e non anche la condotta dell’altro interessato. 6. Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali, oltre che alla rifusione delle spese di giudizio, sostenute dal costituito Ministero, spese che si liquidano nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese in favore del Ministero resistente, che liquida in complessive Euro 1000,00.