La confisca per equivalente a carico del legale rappresentante della società imputato per omesso versamento IVA

Quando non sia possibile disporre il sequestro diretto del profitto del reato nei confronti della società, si deve procedere alla confisca per equivalente dei confronti della persona fisica quale autore del reato tributario commesso a vantaggio della persona giuridica.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 28708/17 depositata il 9 giugno. Il caso. La Corte d’appello di Genova, in parziale riforma della sentenza di prime cure, condannava l’imputato per il reato di omesso versamento IVA con confisca per equivalente dell’ammontare del tributo evaso. La sentenza viene impugnata per cassazione dall’imputato, dolendosi, per quanto qui d’interesse, della violazione di legge in relazione alla confisca per equivalente disposta a suo carico in qualità di legale rappresentante della società a vantaggio della quale è stato commesso il reato. Confisca. Sul tema le Sezioni Unite Cass. n. 10561/14 hanno già avuto modo di affermare che è consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro, beni fungibili o beni direttamente riconducibili al profitto del reato tributario commesso dagli organi della stessa persona giuridica, quando tale profitto sia nella materiale disponibilità di quest’ultima. Dunque, nel caso in cui sia possibile il sequestro diretto del profitto del reato tributario in capo alla società, è precluso il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti della persona fisica che abbia posto in essere la condotta quale organo della società. A contrario, quando il sequestro diretto del profitto del reato non sia possibile nei confronti della società, è possibile procedere alla confisca per equivalente dei confronti dell’autore del reato tributario commesso a vantaggio della persona giuridica. La giurisprudenza ha peraltro precisato che l’impossibilità di procedere al sequestro diretto del profitto del reato può essere anche transitoria, non essendo necessaria la ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto del reato in capo alla società. Applicando tali principi al caso di specie, la S.C. afferma che, non essendo possibile la confisca diretta del profitto del reato per l’intervenuto fallimento della società, correttamente il giudice di merito ha disposto la condisca per equivalente nei confronti del ricorrente, quale persona fisica autrice del reato. Per questi motivi, il ricorso viene rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 12 aprile – 9 giugno 2017, n. 28708 Presidente Savani – Relatore Gai Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 29 febbraio 2015, la Corte d’appello di Genova, in parziale riforma della sentenza del locale Tribunale che aveva condannato T.L. per il reato di cui all’art. 10- ter d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, esclusa la recidiva e con le già concesse circostanze attenuanti generiche, ha ridotto la pena inflitta in mesi cinque di reclusione, concedendo il beneficio della sospensione condizionale della pena, con conferma nel resto della sentenza impugnata in punto pene accessorie e confisca per equivalente fino all’ammontare del tributo evaso per Euro 808.838,00. 2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso T.L. , a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen. 2.1. Con il primo motivo denuncia la violazione di legge in relazione all’art. 521 cod.proc.pen. per essere stato condannato, il T. , per un fatto radicalmente diverso da quello oggetto di contestazione, essendo l’omesso versamento iva contestato nella qualità di legale rappresentante, mentre la sentenza era intervenuta nei confronti del predetto nella qualità di amministratore delegato. 2.2. Con il secondo motivo denuncia la violazione di legge in relazione all’art. 125 comma 3 cod.pen. stante la mancanza e manifesta illogicità della motivazione. Argomenta il difensore del ricorrente che il T. avrebbe dovuto essere assolto per avere agito in stato di forza maggiore o per mancanza di dolo o perché la carica sociale rivestita non consentiva l’attribuzione della condotta a lui ascritta. Sotto il primo profilo, la crisi di liquidità, che aveva investito la società, non aveva consentito il versamento dell’iva, situazione che escluderebbe il reato per forza maggiore. In ogni caso, non potrebbe ravvisarsi il dolo perché il T. , che aveva rappresentato al consiglio di amministrazione l’assenza delle risorse per far fronte al debito, null’altro avrebbe potuto fare tenuto conto che egli non poteva compiere atti che comportavano una spesa eccedente a Euro 25.000. In tale situazione alcun rimprovero a titolo di dolo sarebbe sostenibile, e la motivazione, sul punto sarebbe manifestamente illogica. 2.3. Con il terzo motivo denuncia la violazione di legge in relazione all’art. 125 comma 3 cod.proc.pen., art. 170 cod. civ. e la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla disposta confisca per equivalente. Argomenta in primo luogo il ricorrente che sarebbe illegittima la confisca nei confronti della persona fisica per reati tributari commessi a vantaggio di una società di capitali. Inoltre la confisca nei confronti del T. sarebbe vietata dalla disposizione dell’art. 170 cod. civ. avendo, il ricorrente, costituito un fondo patrimoniale nel quale, in epoca precedente alla commissione del reato, aveva conferito la casa di abitazione. Con memoria, depositata in data 7 marzo 2017, il difensore del ricorrente ha presentato motivi nuovi in relazione alla confisca per equivalente. Argomenta, il ricorrente, che l’art. 170 cod. civ. prevedrebbe l’impossibilità di esecuzione sui beni costituenti il fondo patrimoniale da parte dei creditori non essendovi, nel caso in esame, alcuna relazione tra l’obbligazione tributaria ed i bisogni della famiglia. Inoltre l’espropriazione del bene sarebbe impedita dall’applicazione dell’art. 76 del d.P.R. 602 del 1973, come modificato dalla legge 9 agosto 2013 n. 98, secondo cui l’agente della riscossione non dà corso all’espropriazione se l’unico bene immobile di proprietà del debitore, con esclusione delle abitazione di lusso, è adibito ad uso abitativo lo stesso ricorrente vi risiede anagraficamente . 3. Il Procuratore Generale ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto 4. Il ricorso è infondato. 5. Infondato è il primo motivo di ricorso con cui il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 521 cod.proc.pen. sulla correlazione tra accusa e sentenza e la nullità della sentenza. In via generale va ricordato che, poiché il principio di correlazione tra sentenza ed accusa è posto a tutela del diritto di difesa, per il suo rispetto occorre verificare che l’imputato possa avere chiara cognizione, ai fini della sua difesa, di ciò che gli viene contestato Sez. 6, n. 40283 del 28/09/2012, Diaji, Rv. 253776 Sez. 5, n. 38588 del 16/09/2008, Fornaro, Rv. 242027 . Inoltre, come è stato affermato dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte, Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051 Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205619 per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta sì da pervenire ad un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione con conseguente reale pregiudizio dei diritti della difesa. Ne consegue che l’indagine deve essere volta ad accertare la violazione del principio suddetto e non può esaurirsi nel raffronto tra contestazione e sentenza, poiché si verte in materia di garanzia dei diritti di difesa. Inoltre poiché il fatto va definito come l’accadimento di ordine naturale, che viene trasfuso nell’imputazione che ne descrive le circostanze soggettive ed oggettive, di luogo e di tempo, poste in correlazione fra loro, da cui vengono tratti gli elementi caratterizzanti la sua qualificazione giuridica, la violazione del principio di correlazione si realizza e si manifesta solo attraverso un’alterazione radicale della fattispecie ritenuta in sentenza nel senso di una radicale trasformazione della fattispecie concreta rispetto a quella contestata. Solo qualora non si rivenga nella fattispecie ritenuta in sentenza un nucleo comune, identificativo della condotta capace di determinare uno stravolgimento dei termini dell’accusa, si da determinare un reale pregiudizio della difesa, si determina la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza e la conseguente nullità della sentenza Sez. 3, Sentenza n. 31849 del 16/04/2014, Bruzzese, Rv. 260331 Sez. 2, n. 34969 del 10/5/2013, Caterino e altri, Rv. 257782 Sez. 6, n. 6346 del 9/11/2012, Domizi e altri, Rv. 254888 Sez. 3, n. 41478 del 4/10/2012, Stagnoli, Rv. 253871 Sez. 3, n. 36817 del 14/6/2011, T. D. M., Rv. 251081 Sez. U, n. 36551 del 15/7/2010, Carelli, Rv. 248051 . 5.1. Nel caso in esame era contestata l’omissione del versamento dell’iva nella qualità di legale rappresentante, mentre la sentenza attribuisce la responsabilità del reato omissivo al T. quale amministratore delegato. Al riguardo, rileva, in primis, il Collegio, che non possa configurarsi una radicale modifica del fatto contestato, ma neppure ritenere che si sia verificato un reale pregiudizio per la difesa. Dalla stessa sentenza impugnata risulta che il T. si era difeso sull’attribuzione del fatto quale amministratore delegato. Egli si era difeso sul punto specifico, argomentando che i poteri a lui delegati dal consiglio di amministrazione non ricomprendevano impegni di spesa oltre Euro 25.000 e che, ai fini dell’esclusione del dolo, egli aveva rappresentato al consiglio stesso la crisi di liquidità in cui versava la società oggetto del secondo motivo di ricorso in cassazione , non contestando, così, di essere il soggetto tenuto all’adempimento dell’obbligazione tributaria. Dunque, il T. si è pienamente difeso sul punto e alcuna violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza può essere ravvisata. 6. Il secondo motivo di ricorso è meramente ripetitivo delle stesse questioni già devolute in appello, con riguardo alla rilevanza della situazione di crisi economica e finanziaria ai fini di esclusione dell’elemento soggettivo del reato, puntualmente esaminate e disattese dal giudice dell’impugnazione con motivazione del tutto coerente e adeguata. La sentenza impugnata rileva, in primo luogo, come l’affermazione della crisi di liquidità, che avrebbe impedito l’adempimento del debito tributario, sia rimasta sostanzialmente indimostrata pag. 2 e che, comunque, avrebbe richiesto una prova rigorosa da parte dell’imputato, tanto più quando si tratti di somme ricevute che devono essere accantonate in vista del versamento, concludendo che la mancanza di liquidità, alla data della scadenza dell’obbligazione era frutto dell’impiego in altri settori delle risorse e di evenienze sfavorevoli dell’attività imprenditoriali non imprevedibili pag. 2 . La Corte d’appello ha fatto corretto applicazione dello ius receptum di questa Corte e lo ha argomentato in modo congruo e privo di illogicità. Secondo il costante orientamento della Corte di cassazione, l’imputato ben può invocare la situazione di crisi economica che determina l’impossibilità di adempimento dell’obbligazione, quale causa di esclusione della responsabilità penale, purché assolva agli oneri di allegazione riguardanti sia il profilo della non imputabilità a lui medesimo della crisi economica, sia l’aspetto della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità tramite il ricorso a misure idonee da valutarsi in concreto Sez. 3, n. 20266 dell’8/4/2014, Zanchi, Rv. 259190 . In altri termini l’indagato deve allegare la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di una improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e a lui non imputabili Sez. 3, n. 5467 del 5/12/2013, Mercutello, Rv. 258055 . Nel caso di cui si ci occupa, in cui all’imputato è contestato l’omesso versamento dell’iva, l’onere probatorio è ancor più rigoroso poiché il tributo da versare l’iva è costituito da una somma che il contribuente ha comunque ricevuto dalla controparte dell’operazione commerciale, e che avrebbe dovuto accantonare in vista della scadenza del debito erariale. Tale onere allegativo non è stato offerto e la sentenza lo ha congruamente argomentato. Anche l’ulteriore profilo devoluto, a fini dell’esclusione del dolo, è infondato. Dalla lettura della sentenza emerge che dalla lettura del verbale del consiglio di amministrazione del 24/07/2010, risultava che tra i compiti del ricorrente, amministratore delegato della società, vi era quello del pagamento dei debiti tributari e che la soglia dei Euro 25.000 di impegno era da riferire unicamente alla conclusione dei contratti. 7. Parimenti infondato è il terzo motivo di ricorso con cui il ricorrente deduce la violazione di legge in relazione alla disposta confisca per equivalente nei confronti del legale rappresentante della società a vantaggio della quale è stato commesso il reato tributario. Contrariamente all’assunto difensivo è ammessa la confisca, ex art. 322 ter cod.pen., nei confronti dell’autore del reato tributario commesso a vantaggio dell’ente. Come è noto le Sezioni Unite di questa Corte Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Gubert hanno affermato che è consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto del reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto o beni direttamente riconducibili al profitto sia nella disponibilità della persona giuridica. In siffatto caso, ossia solo quando sia possibile nei confronti della società il sequestro cd. diretto del profitto del reato tributario, non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro commessi a vantaggio della società, che non è terza estranea al reato. Quando il sequestro cd. diretto del profitto del reato tributario non è possibile nei confronti della società e non è di conseguenza consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di una persona giuridica qualora non sia stato reperito il profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa, salvo che la persona giuridica sia uno schermo fittizio Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Gubert, Rv. 258646 , può procedersi alla confisca per equivalente nei confronti dell’autore del reato tributario commesso a vantaggio dell’ente. Le citate Sezioni Unite hanno precisato che l’impossibilità del sequestro del profitto del reato sequestro c.d. diretto può essere anche solo transitoria, senza che sia necessaria la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto di reato. Dunque, solo in presenza di impossibilità della confisca cd diretta del reato nell’accezione sopra indicata , sarà possibile far ricorso, ex art. 322 ter cod.proc.pen., alla confisca per equivalente nei confronti dell’autore delle violazioni tributarie. Ciò posto, la sentenza impugnata ha dato atto che non era possibile la confisca diretta del profitto stante l’intervenuto fallimento della società, sicché correttamente ha confermato la disposta confisca per equivalente nei confronti della persona fisica autore del reato tributario. 8. Infine, questa corte ha ripetutamente affermato che anche i beni che costituiscono il fondo patrimoniale possono essere oggetto di sequestro e di confisca e ciò sul rilievo che continuano ad essere nella disponibilità dell’autore del reato che li ha, con il conferimento nel fondo patrimoniale, destinati alla famiglia. Il vincolo di destinazione ex art. 170 cod. civ. non fa perdere la disponibilità dei beni in capo all’autore del reato Sez. 3, n. 40362 del 06/07/2016, D’Agostino, Rv. 268586 . Quanto all’applicazione dell’art. 76 del d.P.R. 602 del 1973, come modificato dalla disposizione di cui all’art. 52, comma primo, lettera g , del D.L. 21 giugno 2013, n. 69 convertito, con modificazioni, in legge 9 agosto 2013, n. 98 che vieta all’agente della riscossione, in specifiche ipotesi e condizioni, di procedere all’espropriazione della prima casa del debitore, deve osservarsi che, nel caso in esame, manca il presupposto applicativo ovvero che l’immobile ove risiede l’imputato sia l’unico bene su cui eseguire il provvedimento di confisca, sicché la doglianza finisce per essere caratterizzata da genericità. In ogni caso, deve rammentarsi che questa Corte in una recente pronuncia Sez. 3, n. 7359 del 04/02/2014, Foini, Rv. 261500 , ha affermato che la disposizione di cui all’art. 52, comma primo, lettera g , del D.L. 21 giugno 2013, n. 69 convertito, con modificazioni, in legge 9 agosto 2013, n. 98 , che preclude all’agente della riscossione, in specifiche ipotesi e condizioni, di procedere all’espropriazione della prima casa del debitore, non trova applicazione nell’ambito del processo penale e, pertanto, non impedisce il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, dell’abitazione dell’indagato . 9. Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.