La legge Gelli-Bianco, in sede penale, si applica solo ai fatti commessi in epoca successiva alla riforma

Tenuto conto che l’art. 3 del c.d. decreto Balduzzi è stato abrogato e che l’interpretazione della norma aveva portato a ritenere che in contesti regolati da linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica si fosse verificata la decriminalizzazione delle condotte connotate da colpa lieve, la più severa normativa n. 24/2017 che nulla prevede in tal senso ai sensi dell’art. 2 c.p. troverà applicazione solo ai fatti commessi in epoca successiva alla riforma.

Il caso. Un medico psichiatra, sia nella sua qualità di responsabile dell’ufficio salute di una ASL, sia quale psichiatra di riferimento del piano riabilitativo redatto per un paziente in cura presso una struttura residenziale a bassa soglia assistenziale, viene accusato di aver posto in essere condotte attive ed omissive ritenute causalmente collegate all’omicidio perpetrato dal suo paziente nei confronti di altro ospite del medesimo istituto. Il GIP, in sede di udienza preliminare, pur considerando a posteriori le scelte effettuate dal medico oggettivamente inadeguate, emette sentenza di non luogo a procedere ritenendo che l’azione dello psichiatra non può essere considerata causa scatenante dell’imprevedibile gesto omicida. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione la parte civile costituita. La prova scientifica nel giudizio penale. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 425 c.p.p. per non avere, il GUP, accolto l’istanza di espletamento di una perizia al fine di chiarire la conferenza delle scelte terapeutiche effettuate dal sanitario rispetto all’azione omicida. La Corte censura la valutazione del GUP, in quanto non tiene conto dell’insegnamento espresso dal diritto vivente rispetto all’apprezzamento della prova scientifica nel giudizio penale, rilevando, inoltre l’assenza di un’adeguata motivazione sul punto. Per le predette ragioni la sentenza del GUP viene annullata con rinvio. Concorso colposo nel reato doloso e l’importanza delle linee guida. In vista delle rinnovate valutazioni demandate al Tribunale, la corte si sofferma sulla problematica del concorso colposo dello psichiatra nel reato doloso posto in essere da un suo paziente, affermandone la configurabilità alla luce di numerosi arresti giurisprudenziali che anno fatto seguito ad una risalente posizione critica assunta dalla giurisprudenza di legittimità. Si evidenzia, inoltre, come la condotta dello psichiatra, nell’ambito della relazione terapeutica, debba essere necessariamente valutata alla luce del rispetto di eventuali codificate procedure formali ovvero di protocolli o linee guida che risultino adeguate al caso concreto. Le linee guida offrono al giudice un parametro di riferimento che garantisce maggior tassatività nella valutazione di eventuali profili di colpa del resto, osservano gli Ermellini, alle linee guida è affidato un ruolo speciale sin dall’art. 3 del d.l. 13 settembre 2012 n. 158 c.d. decreto Balduzzi che pur essendo stato abrogato dalla l. 8 marzo 2017 n. 24 c.d. legge Gelli-Bianco , trova ancora applicazione ai sensi dell’art. 2 c.p., essendo più favorevole rispetto alla normativa sopravvenuta. La legge Gelli-Bianco e le sue contraddizioni. Sempre in vista delle rinnovate valutazioni che verranno richieste al giudice del rinvio, la corte tenta di dirimere i problemi di diritto intertemporale conseguenti alla successione delle leggi penali nel tempo. I Supremi Giudici osservano come l’abrogato art. 3 del decreto Balduzzi, che aveva escluso la rilevanza penale della colpa lieve per l’esercente la professione sanitaria che si fosse attenuto alle linee guida e alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, serviva da scudo protettivo contro istanze punitive non giustificate. Di converso, la citata novella di cui all’art. 6 l. n. 24/2017, che esclude la punibilità del medico che rispetta le raccomandazioni previste dalle linee guida quando l’evento si è verificato a causa di imperizia, suscita problemi interpretativi a prima vista irrisolubili, in quanto appare illogico prevedere l’accertamento di una condotta imperita in capo a colui che ha correttamente rispettato le linee guida. Nè può ipotizzarsi che il legislatore abbia inteso escludere la punibilità del sanitario che pur avendo cagionato un evento lesivo a causa di un comportamento imperito abbia comunque fatto applicazione di direttive qualificate. Una tale soluzione, implicando un radicale esonero da responsabilità, rischierebbe di vulnerare l’art. 32 Cost., così vulnerando la finalità stessa della novella, volta a tutelare maggiormente la salute della collettività. Inoltre, anche sotto un profilo prettamente civilistico, in considerazione del fatto che l’art. 7 della novella correla il risarcimento del danno alla condotta dell’esercente ai sensi dell’art. 5 della stessa e all’art. 590-sexies c.p., il sol fatto dell’osservanza delle linee guida, anche quando non rilevante ai fini del giudizio di responsabilità, non solo escluderebbe la responsabilità penale, ma limiterebbe altresì la quantificazione del danno. Quale la corretta interpretazione della novella. La Corte ritiene che le coordinate e le finalità delle legge emergano chiaramente dal testo della norma queste sono volte a tutelare il bene della sicurezza delle cure attraverso l’uniforme applicazione di direttive accreditate e virtuose, stornando il pericolo di degenerazioni dovute a linee guida interessate o non scientificamente fondate. La norma prevede l’esclusione di responsabilità del medico che fa buon uso di linee guida appropriate rispetto al caso concreto, cosicchè quando le linee guida non sono appropriate e vanno disattese, non si applica l’art. 590- sexies c.p. ma trova applicazione la disciplina generale di cui agli artt. 43, 589 e 590 c.p In questo modo, il professionista si troverà ad agire in una situazione di ben maggior determinatezza rispetto al passato e sarà valutato in conseguenza della pertinenza o meno delle raccomandazioni generali di cui ha fatto uso nello sviluppo della relazione terapeutica. Tale ricostruzione, affermano gli ermellini, consente di dare conto anche della infelice espressione a causa di imperizia inserita nell’art. 590- sexies c.p Il legislatore, infatti, ha voluto mettere in chiaro che il predetto nuovo articolo si applica solo quando sia stata elevata o possa essere elevata imputazione di colpa per imperizia. La configurazione della colpa in ambito sanitario. I Supremi Giudici evidenziano come la novella, così come interpretata, incida considerevolmente sulla configurazione della colpa in ambito sanitario. Dopo aver sottolineato l’importante progetto della riforma volto alla codificazione ed istituzionalizzazione e del continuo adeguamento delle direttive a tutela della sicurezza delle cure, la corte evidenzia come il catalogo delle linee guida principale criterio valutativo della responsabilità del medico - non esaurisca del tutto i parametri di valutazione della condotta del sanitario. In qualche caso, infatti, il terapeuta può invocare raccomandazioni o approdi scientifici che sebbene non formalizzati risultano di elevata qualificazione nell’ambito della comunità scientifica. Nel futuro, pertanto, le valutazioni demandate agli esperti per verificare la colpa dell’esercente la professione sanitaria dovranno tenere in conto i nuovi parametri di cui si è detto, con l’auspicio, che il catalogo delle linee guida accreditate sia attuato nel più breve tempo possibile. Successione delle leggi nel tempo. La proposta interpretazione della novella pone problemi di successione di leggi nel tempo rispetto a fatti verificatisi in epoca anteriore all’emanazione della norma. In primo luogo la Corte rileva come la legge Gelli-Bianco non trovi applicazione negli ambiti non governati da linee guida e neppure nei casi in cui queste debbano essere disattese. Precisato quanto sopra, tenuto conto che l’art. 3 del decreto Balduzzi è stato abrogato e che l’interpretazione della norma aveva portato a ritenere che in contesti regolati da linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica si fosse verificata la decriminalizzazione delle condotte connotate da colpa lieve, la più severa normativa n. 24/2017 che nulla prevede in tal senso ai sensi dell’art. 2 c.p. troverà applicazione solo ai fatti commessi in epoca successiva alla riforma. In conclusione. La soluzione interpretativa indicata appare l’unica possibile. Essa coglie nella riforma il virtuoso impulso innovatore focalizzato sulla selezione e codificazione di raccomandazioni volte a regolare in modo aggiornato, uniforme, affidabile, l’esercizio dell’ars medica, e, al contempo, ad ancorare il giudizio di responsabilità penale e civile a costituti regolativi precostituiti, con indubbi vantaggi in termini di determinatezza delle regole e prevedibilità dei giudizi. Fonte ridare.it

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 20 aprile 7 giugno 2017, n. 28187 Presidente Blaiotta Relatore Montagni Ritenuto in fatto 1. Il G.i.p. del Tribunale di Pistoia con la sentenza ex art. 425 cod. proc. pen., indicata in epigrafe dichiarava non luogo a procedere nei confronti di D.L.L. , perché il fatto non sussiste. Al prevenuto si contesta, quale medico psichiatra responsabile dell’ufficio Salute Mentale omissis , che aveva in cura il paziente L.G. , nonché quale psichiatra di riferimento del piano riabilitativo redatto per il richiamato paziente, di avere colposamente posto in essere, ai sensi dell’art. 589 cod. pen., una serie di condotte attive ed omissive, da qualificarsi come condizioni necessarie perché il L. ponesse in essere il gesto omicidiario nei confronti di T.M. , che unitamente all’imputato, era stato inserito nella struttura residenziale , dell’Associazione omissis , a bassa soglia assistenziale. L. infatti, in data omissis , ebbe a sferrare numerosi colpi al capo e al collo del T. , con un’ascia lasciata incustodita presso la richiamata struttura, solo perché infastidito dal comportamento della persona offesa. Il giudicante effettua primieramente considerazioni di ordine critico sulla stessa ammissibilità del concorso del reato colposo in quello doloso, pure considerando che tale configurazione trova cittadinanza nel diritto vivente. Ciò posto, il G.i.p. ripercorre dettagliatamente il vissuto clinico del L. dal mese di omissis sino alla notte del omissis in cui venne compiuto il gesto omicidiario, osservando che le scelte effettuate dallo psichiatra D.L. , in ordine al passaggio dal regime di internamento del L. a quello della libertà vigilata ed alla riduzione del trattamento farmacologico, appaiono immuni da errori di diagnosi. Il giudice considera che a posteriori le scelte effettuate dall’odierno imputato sono risultate oggettivamente inadeguate a contenere la perdurante pericolosità del L. , soggetto che sedici anni prima aveva commesso un altro omicidio. Non di meno, in sentenza si rileva che nella condotta dell’imputato non emergono profili di rimproverabilità colposa e che l’azione dello psichiatra non può considerarsi come causa scatenante dell’imprevedibile gesto omicidiario. 2. Avverso la citata sentenza ha proposto ricorso per cassazione T.M. , parte civile costituita, a mezzo del difensore. Il ricorrente si sofferma sulla storia clinica del L. , caratterizzata da abuso di sostanze stupefacenti, esplosioni di rabbia e da un fallito gesto suicidiario, in esito al quale ebbe a riportare gravi lesioni. L’esponente richiama poi le motivazioni e le efferate modalità dell’uccisione della fidanzata G.S. perpetrata dal L. nel 1998, sulla base delle lucide dichiarazioni rese dallo stesso al consulente del pubblico ministero. Ciò posto, l’esponente propone considerazioni sull’ambito funzionale della sentenza liberatoria di cui all’art. 425 cod. proc. pen. Quindi, con il primo motivo, la parte denuncia la violazione di legge. Al riguardo, il ricorrente rileva che il G.i.p. di Pistoia ha effettuato valutazioni che esulano dalla natura processuale della decisione di cui si tratta. Con il secondo motivo la parte civile deduce l’inosservanza della legge penale, con riferimento al punto della sentenza in cui viene esclusa la configurabilità del concorso colposo nel reato doloso. Osserva che la giurisprudenza ha chiarito che risulta configurabile la responsabilità a titolo colposo dello psichiatra nel reato doloso del paziente, in riferimento alla posizione di garanzia assunta dal medico. Con il terzo motivo l’esponente individua un ulteriore errore nella applicazione della legge penale, in relazione ai profili di colpa commissiva ed omissiva. Con il quarto motivo viene denunciato il vizio motivazionale in ordine alla rilevanza della riduzione della terapia farmacologica. L’esponente osserva che il percorso argomentativo posto a fondamento della sentenza impugnata risulta manifestamente illogico, laddove il giudicante effettua affermazioni sulla incidenza da assegnare alla riduzione del farmaco antipsicotico. Con ulteriore motivo il deducente censura la valutazione effettuata dal G.i.p. rispetto ai profili di colpa ascrivibili al D.L. . Sotto altro aspetto, la parte civile osserva che il giudicante ha sviluppato considerazioni di natura politica, piuttosto che giuridica, sulle possibilità riabilitative del malato di mente. Infine, viene denunciato vizio motivazionale in ordine alla ritenuta imprevedibilità del gesto omicidiario. La parte sottolinea che dal vissuto del L. emergono plurimi indici premonitori al riguardo. E rileva che D.L. effettuò specifiche scelte terapeutiche, dopo aver estromesso altri professionisti che andavano di contrario avviso, riducendo la terapia farmacologica a fronte di un enorme aumento degli stimoli esterni ai quali il paziente veniva sottoposto. Si considera, infine, che l’espletamento di perizia, in sede dibattimentale, ben potrebbe contribuire a chiarire l’incidenza da assegnare alla riduzione del farmaco antipsicotico, rispetto all’azione omicidiaria. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato, nei sensi di seguito espressi. 2. Procedendo all’esame del primo motivo di ricorso, deve considerarsi che il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Pistoia ha posto a fondamento della decisione oggi impugnata valutazioni sulla conducenza del compendio probatorio a sostenere l’accusa nel giudizio di merito, che risultano eccentriche rispetto alla regola di valutazione espressa dall’art. 425 cod. proc. pen., propria dell’udienza preliminare, come delineata dal diritto vivente. A tale riguardo è sufficiente rammentare brevemente che l’originaria formulazione della norma prevedeva che potesse essere adottata sentenza di non luogo a procedere solo nelle situazioni di evidenza probatoria per le formule di proscioglimento in fatto. Si trattava di regola di giudizio eccessivamente restrittiva, che inibiva al giudice un reale controllo sulla plausibilità dell’accusa e che non era coerente con quella ben più ampia prevista per l’archiviazione. La legge n. 479 del 1999 ha quindi ampliato significativamente la regola di giudizio tra l’altro, può essere emessa sentenza di non luogo procedere anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio. Il lessico del nuovo terzo comma dell’art. 425 cod. proc. pen. evidenzia che il legislatore ha voluto rendere omogenee le regole di giudizio sottese all’archiviazione ed alla sentenza di non luogo a procedere. Dunque, la sentenza di non luogo a procedere può essere adottata quando si è in presenza di una situazione probatoria pacifica esistenza della prova dell’innocenza mancanza della prova della colpevolezza quando il quadro probatorio è insufficiente o contraddittorio infine quando non vi sono elementi sufficienti a sostenere l’accusa in giudizio. Tale ultima situazione individua un tertium genus rispetto alle due precedenti ed implica una penetrante sintesi prognostica e valutativa che attiene alla potenzialità espansiva degli elementi di prova disponibili. Si tratta quindi di una norma di chiusura, che impone una ampia lettura critica circa la plausibilità dell’ipotesi accusatoria. Tale valutazione prognostica circa l’esito del giudizio dovrà rapportarsi anche alle più ampie risorse della formazione della prova nel dibattimento e particolarmente alle potenzialità dell’accertamento giudiziale condotto con le regole del contraddittorio. Su tale nuova regola di giudizio è intervenuta ripetutamente questa Corte rimarcando che la insufficienza o contraddittorietà delle acquisizioni probatorie va parametrata sull’inutilità del dibattimento Sez. 6, sentenza n. 45275 del 16/11/2001, Acampora, Rv. 221303 . Anche le Sezioni unite hanno affermato che l’obiettivo arricchimento qualitativo e quantitativo dell’orizzonte prospettico del giudice non gli attribuisce il potere di giudicare in termini di anticipata verifica dell’innocenza/colpevolezza, poiché la sua valutazione critica è sempre diretta a determinare, all’esito di una delibazione di tipo prognostico, la sostenibilità dell’accusa in giudizio e l’utilità della fase dibattimentale Sez. U, sentenza n. 39915 del 30/10/2002, Vottari, Rv. 222602 . La giurisprudenza successiva ha ribadito il delineato ambito funzionale dell’udienza preliminare, affermando che la regola di valutazione che deve osservare il giudice consiste nella prognosi di non evoluzione del materiale probatorio lo scrutinio del merito demandato al giudice della udienza preliminare, cioè, volgendo a soddisfare un ruolo processuale - tale essendo, infatti, la natura dell’epilogo decisorio sentenza che, per l’appunto, si definisce di non luogo a procedere , ovvero decreto che dispone il giudizio che contrassegna l’esito al quale tende l’udienza preliminare - deve raccordarsi con l’implausibilità di connotazioni evolutive del materiale di prova raccolto Sez. 2, sentenza n. 14034 del 18/03/2008, D’Abramo, Rv. n. 239514 conforme Sez. 2, sentenza n. 45046 del 11/11/2008, Corona, Rv. 242222 . Si è pure chiarito che, in sede di legittimità, il controllo sulla motivazione della sentenza di non luogo a procedere, ex art. 606, comma primo, lett. d o lett. e , cod. proc. pen., non può avere per oggetto gli elementi acquisiti dal pubblico ministero ma solo la giustificazione adottata dal giudice nel valutarli e, quindi, la riconoscibilità del criterio prognostico adottato per escludere che l’accusa sia sostenibile in giudizio Sez. 6, Sentenza n. 35668 del 28/03/2013, Abbamonte, Rv. 256605 . E bene, nel caso di specie, il giudicante ha dato atto del fatto che le parti avevano chiesto l’espletamento di perizia nelle forme garantite, proprio al fine di chiarire la conferenza, rispetto agli approdi offerti dalla letteratura clinica di settore, delle scelte terapeutiche effettuate dal sanitario, con riguardo al quadro patologico presentato dal L. . In sentenza, sul punto, si afferma che l’espletamento della perizia deve ritenersi inutile - sia rispetto al tema della individuazione di profili di ascrivibilità colposa nella condotta dell’imputato, sia rispetto all’accertamento della riferibilità causale dell’evento all’azione del garante. Tale valutazione deve essere censurata, giacché non tiene conto dell’insegnamento espresso dal diritto vivente rispetto all’apprezzamento della prova scientifica nel giudizio penale e contraddice l’ambito cognitivo assegnato al giudice dell’udienza preliminare, qualificato dalla valutazione prognostica circa la possibile evoluzione del materiale di prova raccolto, come sopra chiarito. La sentenza, infatti, sebbene mossa dal commendevole proposito di valorizzare l’accresciuto ruolo decisorio dell’udienza preliminare, non si confronta in modo risolutivo con le molte questioni problematiche presenti nel giudizio ed esposte diffusamente dal ricorrente a proposito della lunghissima storia clinica dell’imputato e dei suoi drammatici vissuti della prevedibilità della condotta omicidiaria alla luce di tale storia personale della appropriatezza delle scelte in ordine alla collocazione residenziale del L. ed alla modulazione del trattamento farmacologico. La pronunzia, inoltre, trascura di considerare l’importanza di una approfondita valutazione scientifica di casi problematici come quello in esame e soprattutto non esprime una motivata e concludente valutazione in ordine all’utilità della sede dibattimentale, cui l’ordinamento processuale attribuisce una particolare valenza euristica, sia in considerazione dell’importanza del contraddittorio, sia in virtù dei poteri officiosi del giudice, particolarmente nella gestione della peculiare indagine costituita dalla perizia. Le considerazioni ora svolte, di ordine dirimente, conducono all’annullamento della sentenza impugnata, vulnerata dalle evidenziate aporie argomentative, rispetto all’ambito funzionale dell’udienza preliminare, con rinvio al Tribunale di Pistoia, per l’ulteriore corso. 3. In vista delle rinnovate valutazioni demandate al Tribunale, non si può fare a meno di prendere in esame alcune ulteriori questioni problematiche agitate nel ricorso, alle quali il giudice dovrà prestare nuovamente attenzione. In particolare, quanto ai temi affidati al secondo motivo di ricorso, occorre considerare che le perplessità espresse dal giudicante, in ordine alla stessa ammissibilità del concorso del reato colposo in quello doloso, non appaiono giustificate, alla luce della elaborazione giurisprudenziale. Invero, ad una ormai risalente posizione critica assunta dalla giurisprudenza di legittimità rispetto alla configurabilità del concorso colposo nel delitto doloso Sez. 4, Sentenza n. 9542 del 11/10/1996, De Santis, Rv. 206798 , hanno fatto seguito ripetuti, condivisi arresti, ove si è ritenuto che il concorso colposo risulta configurabile anche rispetto al delitto doloso, purché il reato del partecipe sia previsto dalla legge anche nella forma colposa e nella condotta siano effettivamente presenti tutti gli elementi che caratterizzano la colpa. In tale ambito ricostruttivo, si è chiarito che la regola cautelare violata deve essere necessariamente diretta a prevenire anche il rischio dell’atto doloso del terzo e che quest’ultimo deve risultare prevedibile per l’agente che risponde a titolo di colpa Sez. 4, Sentenza n. 10795 del 14/11/2007, dep. 2008, Pozzi, Rv. 238957 Sez. 4, Sentenza n. 4107 del 12/11/2008, dep. 2009, Calabrò, Rv. 242830 Sez. 4, sentenza n. 34385 del 14.07.2011, Costantino, Rv. 251511 Sez. 4, n. 9855 del 27/01/2015, Chiappa, Rv. 262440 . Come si vede, secondo diritto vivente, risulta astrattamente configurabile il concorso colposo nel delitto doloso e pertanto, la valutazione prognostica circa la possibile evoluzione del materiale di prova raccolto, tale da giustificare il rinvio a giudizio dell’imputato, dovrà essere effettuata tenendo concretamente presente tale approdo interpretativo. 4. Il giudizio si muove problematicamente pure attorno al ruolo ed alla responsabilità del professionista psichiatra. Anche a tale riguardo questa Corte è tenuta ad indicare gli approdi della nomofilachia, per evitare ulteriori fraintendimenti nella delicata materia, anche alla luce delle peculiarità del caso. Occorre ricordare che la giurisprudenza si è sovente occupata della posizione di garanzia che grava sul medico psichiatra e sul contenuto dei conseguenti obblighi di protezione e controllo, rispetto alle condotte autolesive o lesive del paziente verso terzi ad es. Sez. 4, Sentenza n. 48292 del 27/11/2008, Desana, Rv. 242390 . Si tratta di un caso in cui la Corte regolatrice ha confermato l’affermazione di responsabilità del primario e dei medici del reparto di psichiatria di un ospedale pubblico per omicidio colposo in danno di un paziente che, ricoveratosi volontariamente con divieto di uscita senza autorizzazione, si era allontanato dal reparto dichiarando di volersi recare al piano superiore ed ivi giunto si era suicidato gettandosi da una finestra. Il tema si intreccia con quello del concorso colposo nel delitto doloso sopra ricordato. La Corte regolatrice, infatti, ha affermato che è configurabile il concorso colposo nel delitto doloso proprio in riferimento al caso di un medico psichiatra, il quale, sospendendo in maniera imprudente il trattamento farmacologico cui era sottoposto il paziente ricoverato in una comunità, ne aveva determinato lo scompenso psichico, ritenuto la causa della crisi nel corso della quale lo stesso paziente, poi ritenuto non imputabile, aveva aggredito ed ucciso uno degli operatori che lo accudivano Sez. 4, n. 10795 del 14/11/2007 - dep. 2008, Pozzi, Rv. 238957, cit. . Ai fini di interesse, giova ricordare che la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che l’obbligo giuridico che grava sullo psichiatra risulta potenzialmente qualificabile al contempo come obbligo di controllo, equiparando il paziente ad una fonte di pericolo, rispetto alla quale il garante avrebbe il dovere di neutralizzarne gli effetti lesivi verso terzi, e di protezione del paziente medesimo, soggetto debole, da comportamenti pregiudizievoli per se stesso Sez. 4, n. 14766 del 04/02/2016, De Simone, Rv. 266831 . In argomento, non si è mancato di rilevare che il contenuto della posizione di garanzia assunta dallo psichiatra deve essere circoscritto, tenendosi nel dovuto conto la contemporanea presenza di vincoli protettivi e pretese di controllo, unitamente alla particolare complessità della situazione rischiosa da governare tra il perimetro della posizione di garanzia e il rischio consentito esiste infatti uno stretto collegamento, nel senso che è proprio l’esigenza di contrastare e frenare un determinato rischio per il paziente o realizzato dal paziente verso terzi che individua e circoscrive, sul versante della responsabilità colposa, le regole cautelari del medico. In questo quadro, peculiare rilevanza assume la selezione delle regole tecniche, delle raccomandazioni, che orientano l’attività medica nella scelta del percorso terapeutico selezione che si pone in termini ancor più problematici con specifico riferimento alla scienza psichiatrica, giacché le manifestazioni morbose a carico della psiche sono ritenute tendenzialmente meno evidenti e afferrabili delle malattie fisiche, per cui l’individuazione del trattamento appropriato può in certi casi diventare ancora più incerta che non nell’ambito della attività medica genericamente intesa Sez. 4, n. 14766 del 04/02/2016, De Simone, cit. . Come sottolineato dalla giurisprudenza di legittimità, in tali casi la regola cautelare delinea l’area dell’obbligo di garanzia, che a sua volta definisce la condotta omissiva tipica, alla quale assegnare idoneità salvifica, rispetto all’impedimento dell’evento, come in concreto verificatosi. Deve in questa sede ribadirsi l’insegnamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, laddove si è evidenziato che la moderna psichiatria mostra patologie che non di rado sono difficilmente controllabili completamente, anche in ragione dell’abbandono di deprecate pratiche di isolamento e segregazione del paziente psicotico, a favore di terapie rispettose della dignità umana che, tuttavia, non eliminano del tutto il rischio di condotte inconsulte che, in tali casi, il giudice deve verificare, con valutazione ex ante, l’adeguatezza delle pratiche terapeutiche poste in essere dal sanitario a governare il rischio specifico, pure a fronte di un esito infausto sortito dalle stesse che, in tale percorso valutativo, che involge la delimitazione del perimetro del rischio consentito insito nella pratica medica, vengono in rilievo le raccomandazioni contenute nelle linee guida, in grado di offrire indicazioni e punti di riferimento, tanto per il medico nel momento in cui è chiamato ad effettuare la scelta terapeutica adeguata al caso di specie, quanto per il giudice che deve procedere alla valutazione giudiziale di quella condotta Sez. 4, sentenza n. 4391 del 22/11/2011, dep. 2012, Di Lella, Rv. 251941 . 5. I cenni che precedono, circoscritti all’esame strutturale della posizione di garanzia assunta dallo psichiatra nell’ambito della relazione terapeutica, rendono evidente la peculiare rilevanza che, nel caso di specie, assume la verifica del rispetto, da parte dell’imputato, di eventuali codificate procedure formali ovvero di protocolli o linee guida si tratta di parametri che possono svolgere un ruolo importante, quale atto di indirizzo per il medico e quindi nel momento della verifica giudiziale della correttezza del suo operato Sez. 4, Sentenza n. 35922 del 11/07/2012, Ingrassia, Rv. 254618 . Come si vede, l’analisi delle linee guida che risultino adeguate al caso concreto, assume certa rilevanza, nell’orizzonte del giudice chiamato a celebrare nuovamente l’udienza preliminare, in sede di giudizio di rinvio. Le linee guida, invero, offrono al giudice un estrinseco parametro di riferimento, che garantisce maggiore tassatività nella valutazione degli eventuali profili di colpa del sanitario. E d’altra parte alle linee guida affida uno speciale, riconosciuto ruolo l’art. 3, d.l. 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, che, come sarà meglio esposto nel prosieguo, pur essendo stato abrogato, trova ancora applicazione ai sensi dell’art. 2 cod. pen., essendo più favorevole rispetto alla normativa sopravvenuta. 6. Infine, sempre nell’ottica delle rinnovate valutazioni richieste al giudice, posto che il quadro normativo di riferimento, rispetto al tema della responsabilità per colpa del sanitario è stato interessato da plurimi interventi da parte del legislatore, nell’arco dell’ultimo lustro, occorre soffermarsi sulla portata della recente novellazione, anche al fine di dirimere le questioni di diritto intertemporale derivanti dalla intervenuta successione di leggi penali nel tempo. La questione è altamente problematica, come sarà meglio esposto nel prosieguo sicché occorre ripercorrere, sia pure in estrema sintesi, gli snodi concettuali che hanno attraversato l’elaborazione giurisprudenziale degli ultimi anni, rispetto al tema di interesse. Sino agli anni ottanta del secolo scorso la giurisprudenza limitava la responsabilità penale del medico, rispetto ai delitti di omicidio colposo e di lesioni colpose, alle ipotesi di colpa grave, in conformità a quanto previsto, in tema di responsabilità civile, dall’articolo 2236 del codice civile, in riferimento alle prestazioni professionali comportanti la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà Sez. IV, sentenza n. 6650 del 27/01/1984, Ricolizzi, Rv 165329 Sez. 4, sentenza n. 9410 del 25/05/1987, Tomei, Rv. 176606 Sez. 2, sentenza n. 11695 del 23/08/1994, Leone, Rv. 199757 . Il limite della colpa grave veniva solitamente riferito alla sola imperizia quella cioè derivante dalla violazione delle leges artis , mentre rispetto alla negligenza e all’imprudenza si riteneva che la valutazione dell’attività del medico dovesse essere improntata a criteri di normale severità. Sul punto, occorre rilevare che la Corte Costituzionale, chiamata a stabilire se tale orientamento fosse compatibile con il principio di uguaglianza, ha affermato in una risalente pronuncia che la richiamata deroga alla disciplina generale della responsabilità penale per colpa, nei casi previsti dalla disposizione di cui all’art. 2236 cod. civ., aveva una adeguata ragione d’essere, dovendo essere applicata solo ai casi in cui la prestazione professionale comportava la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà ed essendo contenuta entro il circoscritto tema della perizia Corte Costituzionale, sentenza n. 166 del 1973 . Tale indirizzo è stato però messo in discussione, successivamente, dalla stessa giurisprudenza di legittimità, la quale ha negato l’applicabilità del principio di cui all’articolo 2236 cod. civ. al diritto penale, affermando che nella materia devono trovare esclusivo accoglimento gli ordinari criteri di valutazione della colpa di cui all’articolo 43 cod. pen., secondo il parametro consueto dell’ homo eiusdem professionis et condicionis , arricchito dalle eventuali maggiori conoscenze dell’agente concreto Sez. 4, sentenza n. 11733, del 2/06/1987, Fora Boschi, Rv. 177085 Sez. 4, sentenza n. 11007, del 28/04/1994, Archilei, Rv. 200387 . La giurisprudenza successiva ha quindi costantemente rilevato che nella valutazione in ambito penale della colpa medica non trova applicazione la richiamata disciplina di favore di cui all’art. 2236 cod. civ La graduazione della colpa assume eventuale rilievo solo ai fini della determinazione della pena Sez. 4, sentenza n. 46412, 28/10/2008, Rv. 242251 . La distinzione tra culpa levis e culpa lata ha acquisito una nuova considerazione alla luce della disposizione, in tema di responsabilità sanitaria, contenuta nell’art. 3, comma 1, d.l. 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, ove era tra l’altro stabilito L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve . Si tratta di disposizione oggi abrogata, come subito si vedrà. Secondo la Corte regolatrice, la citata novella del 2012 aveva escluso la rilevanza penale della colpa lieve, rispetto alle condotte lesive coerenti con le linee guida o le pratiche terapeutiche mediche virtuose, accreditate dalla comunità scientifica. In particolare, si era evidenziato che la norma aveva dato luogo ad una abolitio criminis parziale degli artt. 589 e 590 cod. pen., avendo ristretto l’area penalmente rilevante individuata dalle predette norme incriminatrici, alla sola colpa grave Sez. 4, Sentenza n. 11493 del 24/01/2013, Pagano, Rv. 254756 Sez. 4, Sentenza n. 16237 del 29/01/2013, Cantore, Rv. 255105 Sez. 4, Sentenza n. 47289 del 09/10/2014, Stefanetti, Rv. 260739 . La modifica normativa aveva riportato, quindi, all’attualità i concetti di colpa lieve e di colpa grave, destinati ad intrecciarsi con l’ulteriore questione posta dalla novella del 2012, afferente all’impiego, in sede giudiziaria, delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica. Nell’ermeneusi della riferita disposizione, la giurisprudenza di legittimità era giunta all’approdo in base al quale il terapeuta complessivamente avveduto ed informato, attento alle raccomandazioni contenute nelle linee guida, potesse ritenersi rimproverabile solo nel caso in cui fosse incorso in colpa grave nell’adeguarsi a tali direttive. In tale ambito ricostruttivo, le linee guida accreditate assumevano valenza di direttiva scientifica per l’esercente le professioni sanitarie e la loro osservanza costituiva uno scudo protettivo contro istanze punitive non giustificate. 7. Il tema della responsabilità dell’esercente la professione sanitaria, per i reati di omicidio colposo e di lesioni colpose è stato oggetto di un ulteriore intervento normativo, con il quale il legislatore ha posto mano nuovamente alla materia della responsabilità sanitaria, anche in ambito penale. Il riferimento è alla legge 8 marzo 2017, n. 24, recante Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie , pubblicata in G.U. Serie Generale n. 64 del 17.3.2017, entrata in vigore in data 01.04.2017. Ai fini di interesse, viene in particolare rilievo l’art. 6 della citata legge n. 24 del 2017, che ha introdotto l’art. 590-sexies cod. pen., rubricato Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario . L’art. 590-sexies, cod. pen., stabilisce Se i fatti di cui agli articoli 589 e 590 sono commessi nell’esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma. Qualora l’evento si è verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto . Il secondo comma dell’art. 6, citato, dispone l’abrogazione dell’art. 3 del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189. La novella manifesta la volontà di una rifondazione della disciplina penale della responsabilità in ordine ai reati di omicidio e lesioni colpose in ambito sanitario, come plasticamente si desume dalla creazione di una nuova incriminazione. Tuttavia la lettura della nuova norma suscita alti dubbi interpretativi, a prima vista irresolubili, subito messi in luce dai numerosi studiosi che si sono cimentati con la riforma. Si mostrano, in effetti, incongruenze interne tanto radicali da mettere in forse la stessa razionale praticabilità della riforma in ambito applicativo. Ancor prima, si ha difficoltà a cogliere la ratio della novella. Si legge che non è punibile l’agente che rispetta le linee guida accreditate nei modi che si vedranno in appreso, nel caso in cui esse risultino adeguate alle specificità del caso concreto. L’enunciato, come è stato da più parti sottolineato, attinge la sfera dell’ovvietà non si comprende come potrebbe essere chiamato a rispondere di un evento lesivo l’autore che, avendo rispettato le raccomandazioni espresse da linee guida qualificate e pertinenti ed avendole in concreto attualizzate in un modo che risulti adeguato in rapporto alle contingenze del caso concreto, è evidentemente immune da colpa. Da questo punto di vista, dunque, nulla di nuovo. La disciplina, tuttavia, risulta di disarticolante contraddittorietà quando l’ovvio enunciato di cui si è detto si ponga in connessione con la prima parte del testo normativo. Vi si legge, infatti, che il novum trova applicazione quando l’evento si è verificato a causa di imperizia . La drammatica incompatibilità logica è lampante si è in colpa per imperizia ed al contempo non lo si è, visto che le codificate leges artis sono state rispettate ed applicate in modo pertinente ed appropriato risultino adeguate alle specificità del caso concreto all’esito di un giudizio maturato alla stregua di tutte le contingenze fattuali rilevanti in ciascuna fattispecie. La contraddizione potrebbe essere risolta sul piano dell’interpretazione letterale, ipotizzando che il legislatore abbia voluto escludere la punibilità anche nei confronti del sanitario che, pur avendo cagionato un evento lesivo a causa di comportamento rimproverabile per imperizia, in qualche momento della relazione terapeutica abbia comunque fatto applicazione di direttive qualificate pure quando esse siano estranee al momento topico in cui l’imperizia lesiva si sia realizzata. Un esempio tratto dalla prassi può risultare chiarificatore. Un chirurgo imposta ed esegue l’atto di asportazione di una neoplasia addominale nel rispetto delle linee guida e, tuttavia, nel momento esecutivo, per un errore tanto enorme quanto drammatico, invece di recidere il peduncolo della neoformazione, taglia un’arteria con effetto letale. In casi del genere, intuitivamente ed al lume del buon senso, non può ritenersi che la condotta del sanitario sia non punibile per il solo fatto che le linee guida di fondo siano state rispettate. Una soluzione di tale genere sarebbe irragionevole, vulnererebbe il diritto alla salute del paziente e quindi l’art. 32 Cost., si porrebbe in contrasto con i fondanti principi della responsabilità penale. Tali ragioni che rendono impraticabile la letterale soluzione interpretativa di cui si discute devono essere debitamente, analiticamente chiarite. 7.1 Il diritto penale è nel presente profondamente permeato e modellato dal principio costituzionale di colpevolezza. L’adeguamento ad esso costituisce impresa cui la giurisprudenza attende, consapevole dell’alta posta in gioco. Si tratta di connettere la sfera punitiva ad un ben ponderato rimprovero, in primo luogo attraverso il rimodellamento delle figure del dolo, della colpa e della preterintenzione. Non è qui il caso di proporre una compiuta analisi della vasta materia. È sufficiente richiamare l’approdo ultimo Sez. U, sentenza n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261105 che, in accordo con precedenti arresti giurisprudenziali e con i contributi di autorevole dottrina, ha inteso ridefinire i distinti connotati della colpevolezza dolosa e di quella colposa. In particolare, per ciò che riguarda la colpa, si è chiarito che si tratta di una forma di colpevolezza che non si estende a tutti gli eventi che comunque siano derivati dalla violazione di una prescrizione, ma è limitata ai risultati che la regola mira a prevenire. Prevedibilità e prevenibilità hanno un importante ruolo nell’individuazione delle norme cautelari alla cui stregua va compiuto il giudizio. Si tratta di identificare una norma specifica posta a presidio della verificazione di un altrettanto specifico evento, sulla base delle conoscenze che all’epoca della creazione della regola, consentivano di porre la relazione causale tra condotte e risultati temuti e di identificare misure atte a scongiurare o attenuare il rischio. L’individuazione di tale nesso consente di sfuggire al pericolo di una connessione meramente oggettiva tra regola violata ed evento di una configurazione dell’evento stesso come condizione obiettiva di punibilità. Si richiede, altresì, la evitabilità dell’evento cioè che il comportamento diligente abbia apprezzabili, significative possibilità di scongiurare il danno. Tali ineludibili coordinate della colpa si atteggiano con sfumature diverse in relazione ai diversi contesti ed alle differenti caratteristiche delle regole imposte ma, nel loro nucleo, costituiscono espressione del principio costituzionale di colpevolezza, giacché racchiudono i tratti tipici del rimprovero che fonda l’affermazione di responsabilità. Tutto ciò si rinviene sotto le insegne del principio della causalità della colpa fatto proprio da questa Corte nella citata sentenza delle Sezioni unite ed in numerose altre pronunzie. Tali considerazioni rendono chiaro che non è consentita l’utilizzazione di direttive non pertinenti rispetto alla causazione dell’evento, non solo per affermare la responsabilità colpevole, ma neppure per escluderla. Per esemplificare nel modo più triviale, il conducente di un’auto che impegni un incrocio con semaforo rosso determinando un incidente mortale non potrebbe invocare l’esonero da responsabilità per il solo fatto di aver rispettato il limite di velocità vigente in quel tratto di strada. Ed un atto normativo che prevedesse una disciplina del genere si esporrebbe a censure ben evidenti, sul piano della razionalità, della coerenza con le fondamentali esigenze di difesa della vita e della salute, del rispetto del principio di colpevolezza. 7.2 I principi indicati, naturalmente, trovano applicazione, con tutti gli adattamenti del caso, anche nel contesto in esame, in cui le regole si presentano come raccomandazioni da modellare su ciascun caso concreto. Il tema richiede qualche chiarificazione a proposito delle linee guida e della loro utilizzazione. Questa Corte ha ripetutamente avuto modo di chiarire che le linee guida - alla stregua delle acquisizioni ad oggi consolidate - costituiscono sapere scientifico e tecnologico codificato, metabolizzato, reso disponibile in forma condensata, in modo che possa costituire un’utile guida per orientare agevolmente, in modo efficiente ed appropriato, le decisioni terapeutiche. Si tenta di oggettivare, uniformare le valutazioni e le determinazioni e di sottrarle all’incontrollato soggettivismo del terapeuta. I vantaggi di tale sistematizzata opera di orientamento sono tanto noti quanto evidenti. Tali regole, di solito, non danno luogo a norme propriamente cautelari e non configurano, quindi, ipotesi di colpa specifica. Esse, tuttavia hanno a che fare con le forti istanze di determinatezza che permeano la sfera del diritto penale. Infatti, la fattispecie colposa ha necessità di essere eterointegrata non solo dalla legge, ma anche da atti di rango inferiore, per ciò che riguarda la concreta disciplina delle cautele, delle prescrizioni, degli aspetti tecnici che in vario modo fondano il rimprovero soggettivo. La discesa della disciplina dalla sfera propriamente legale a fonti gerarchicamente inferiori che caratterizza la colpa specifica costituisce peculiare, ineliminabile espressione dei principi di legalità, determinatezza, tassatività. La fattispecie colposa, col suo carico di normatività diffusa, è per la sua natura fortemente vaga, attinge il suo nucleo significativo proprio attraverso le precostituite regole alle quali vanno parametrati gli obblighi di diligenza, prudenza, perizia. Dunque, le linee guida hanno contenuto orientativo, esprimono raccomandazioni e vanno distinte da strumenti di normazione maggiormente rigidi e prescrittivi, solitamente denominati protocolli o check list . Esse non indicano una analitica, automatica successione di adempimenti, ma propongono solo direttive generali, istruzioni di massima, orientamenti e, dunque, vanno in concreto applicate senza automatismi, ma rapportandole alle peculiari specificità di ciascun caso clinico. Potrà ben accadere che il professionista debba modellare le direttive, adattandole alle contingenze che momento per momento gli si prospettano nel corso dello sviluppo della patologia e che, in alcuni casi, si trovi a dovervi addirittura derogare radicalmente. Chiarito il ruolo delle linee guida, va aggiunto che esse non esauriscono la disciplina dell’ars medica. Da un lato, infatti, vi sono aspetti delle medicina che non sono per nulla regolati da tale genere di direttiva. Dall’altro, pure nell’ambito di contesti che ad esse attingono, può ben accadere che si tratti di compiere gesti o di agire condotte, assumere decisioni che le direttive in questione non prendono in considerazione, come evidenziato dall’esempio del chirurgo che si è sopra proposto par. 7 . In tali situazioni la considerazione della generica osservanza delle linee guida costituisce - si confida sia ormai chiaro - un aspetto irrilevante ai fini della spiegazione dell’evento e della razionale analisi della condotta ai fini del giudizio di rimproverabilità colposa. Insomma, razionalità e colpevolezza ergono un alto argine contro l’ipotesi che voglia, in qualunque guisa, concedere, sempre e comunque, l’impunità a chi si trovi in una situazione di verificata colpa per imperizia. 7.3 Peraltro, anche ulteriori ragioni militano contro l’ipotesi interpretativa prospettata. Occorre rammentare che le incriminazioni di cui si discute costituiscono un primario, riconosciuto strumento di protezione dei beni della vita e della salute. È ben vero che l’ambito terapeutico è un contesto che giustifica, nell’ambito della normazione e dell’interpretazione, un peculiare governo del giudizio di responsabilità, anche in chiave limitativa. Ne sono testimonianza l’art. 2236 cod. civ., la richiamata sentenza costituzionale n. 166 del 1973, la giurisprudenza di questa Corte, da ultimo l’art. 3, comma 1, d.l. 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni dalla legge 8 novembre 2012, n. 189. E pure in ambito internazionale si mostrano soluzioni differenziate, prevalentemente caratterizzate dalla limitazione della responsabilità alla colpa grave o dal favore per strumenti propri del diritto civile. A tali esperienze non è estranea l’esigenza di scoraggiare la cosiddetta medicina difensiva. Un’istanza sottolineata dalla già evocata sentenza costituzionale, secondo cui dagli artt. 589, 42 e 43 c.p. e dall’art. 2236 cod. civ. è ricavabile una particolare disciplina in tema di responsabilità degli esercenti professioni intellettuali, finalizzata a fronteggiare due opposte esigenze non mortificare l’iniziativa del professionista col timore d’ingiuste rappresaglie in caso d’insuccesso e quella inversa di non indulgere verso non ponderate decisioni o riprovevoli inerzie del professionista stesso. Tale particolare regime, che implica esenzione o limitazione di responsabilità, però, è stato ritenuto applicabile ai soli casi in cui la prestazione comporti la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà e riguarda l’ambito della perizia e non quello della diligenza e della prudenza. Considerato che la deroga alla disciplina generale della responsabilità per colpa ha un’adeguata ragion d’essere ed è contenuta entro il circoscritto tema della perizia, la Corte ha ritenuto che non vi sia lesione del principio d’eguaglianza. Per contro la soluzione interpretativa sin qui esaminata, implicando un radicale esonero da responsabilità, è priva di riscontri in altre esperienze nazionali. Essa rischierebbe di vulnerare l’art. 32 Cost., implicando un radicale depotenziamento della tutela della salute, in contrasto con le stesse dichiarate finalità della legge, di protezione del diritto alla salute di cui si dirà anche in appresso. Tale soluzione, inoltre, stabilirebbe uno statuto normativo irrazionalmente diverso rispetto a quello di altre professioni altrettanto rischiose e difficili. 7.4 Il tema del diritto punitivo impone di allargare l’orizzonte agli aspetti civilistici della nuova disciplina. Qui si rinviene una norma che alimenta ulteriormente e radicalizza i dubbi in ordine alla praticabilità dell’interpretazione di cui si discute. L’art. 7, comma 3, legge n. 24 del 2017 recita che il giudice, nella determinazione del risarcimento del danno, tiene conto della condotta dell’esercente la professione sanitaria ai sensi dell’art. 5 della presente legge e dell’art. 590-sexies del codice penale . Dunque, per effetto di tale richiamo della disciplina civile a quella penale, il solo fatto dell’osservanza di una linea guida, anche quando non rilevante ai fini del giudizio di responsabilità, non solo escluderebbe la responsabilità penale, ma limiterebbe pure la quantificazione del danno. Insomma, neppure l’ambito civilistico consentirebbe alla vittima di ottenere protezione e ristoro commisurati all’entità del pregiudizio subito e l’esonero da responsabilità si amplierebbe ulteriormente. È ben vero che già la citata legge n. 189 del 2012 recava una norma analoga, ma nell’ambito di quella disciplina il rinvio alla materia penale aveva implicazioni ben più ristrette e ragionevoli l’applicabilità, in ambito risarcitorio, dei criteri per la graduazione della colpa, alla stregua della fondamentale distinzione tra colpa lieve e grave. Insomma, la soluzione che qui si critica colliderebbe frontalmente con l’istanza di tutela della salute che costituisce il manifesto della nuova normativa. 7.5 L’impraticabilità dell’interpretazione sin qui esaminata induce questa Corte a percorrere un itinerario alternativo. Sovviene la considerazione delle finalità della nuova legge sicurezza delle cure parte costitutiva del diritto alla salute , corretta gestione del rischio clinico, utilizzo appropriato delle risorse. Funzionale a tali finalità è l’art. 5, che reca un vero e proprio statuto delle modalità di esercizio delle professioni sanitarie Gli esercenti le professioni sanitarie si attengono, salve le specificità del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida accreditate, espresse cioè da istituzioni individuate dal Ministero della salute. Tali linee guida sono sottoposte a verifica dell’Istituto superiore di sanità in ordine alla conformità a standard predefiniti ed alla rilevanza delle evidenze scientifiche poste a supporto delle raccomandazioni. In mancanza di tali raccomandazioni, i professionisti si attengono alle buone pratiche clinico-assistenziali. Le coordinate e le finalità di tale disciplina emergono nitidamente. Da un lato, è chiara la consapevolezza che si tratta di direttive di massima, che devono confrontarsi con le peculiarità di ciascuna situazione concreta, adattandovisi. Dall’altro, emerge la recisa volontà di costruire un sistema istituzionale, pubblicistico, di regolazione dell’attività sanitaria, che ne assicuri lo svolgimento in modo uniforme, appropriato, conforme ad evidenze scientifiche controllate. Tale istituzionalizzazione vuole senza dubbio superare le incertezze manifestatesi dopo l’introduzione della legge n. 189/2012 a proposito dei criteri per l’individuazione delle direttive scientificamente qualificate. La disciplina intende stornare il pericolo di degenerazioni dovute a linee guida interessate o non scientificamente fondate e favorire, inoltre, l’uniforme applicazione di direttive accreditate e virtuose. La normativa assicura all’Istituzione sanitaria il governo dell’attività medica ma ha un altrettanto rilevante impatto sul professionista, che è tenuto ad attenersi alle raccomandazioni, sia pure con gli adattamenti propri di ciascuna fattispecie concreta. Lo stesso professionista, per converso, ha la legittima, coerente pretesa a vedere giudicato il proprio comportamento alla stregua delle medesime direttive impostegli. Questo quadro d’insieme chiarisce il significato dell’art. 6, della legge n. 24 del 2017 e della nuova fattispecie incriminatrice. Tale disciplina penale fornisce un inedito inquadramento precettivo, focalizzato sulle modalità di svolgimento dell’attività sanitaria e di accertamento della colpa e dunque reca pure precise indicazioni al giudice in ordine all’esercizio del giudizio di responsabilità. 8. Entrando nei dettagli. 8.1 La normativa si riferisce ad eventi che costituiscono espressione di condotte governate da linee guida accreditate nei modi che si sono sopra riferiti. Perché sia esclusa la responsabilità si richiede, altresì, che le linee guida siano appropriate rispetto al caso concreto e cioè che non vi siano ragioni, dovute solitamente alle comorbilità, che suggeriscono di discostarsene radicalmente. Chiara, in tal senso la formulazione dell’art. 5 Gli esercenti le professioni sanitarie si attengono, salve le specificità del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida . Insomma, quando le linee guida non sono appropriate e vanno quindi disattese, l’art. 590-sexies cit. non viene in rilievo e trova applicazione la disciplina generale prevista dagli artt. 43, 589 e 590 cod. pen 8.2 Ancora, la novella trova applicazione quando le raccomandazioni generali siano pertinenti alla fattispecie concreta. Qui si tratterà di valutare se esse risultino adeguate e siano cioè state attualizzate in forme corrette, nello sviluppo della relazione terapeutica, avuto naturalmente riguardo alle contingenze del caso concreto. Entro queste coordinate, l’agente ha diritto a vedere giudicata la propria condotta alla stregua delle medesime linee guida che hanno doverosamente governato la sua azione. Si tratta di un novità di non poco conto, se si considerano le divergenze di opinioni e di valutazioni solitamente espresse dagli esperti nei giudizi di merito, alimentate solitamente proprio da differenti approcci tecnico-scientifici ad una medesima questione. Insomma, il professionista si troverà ad agire in una situazione di ben maggiore determinatezza rispetto al passato e sarà giudicato alla stregua dei medesimi, definiti parametri che hanno regolato la sua attività. 8.3 I nuovo paradigma non dispiega i suoi effetti in relazione alle condotte che, sebbene poste in essere nell’ambito di relazione terapeutica governata da linee guida pertinenti ed appropriate, non risultino per nulla disciplinate in quel contesto regolativo. Sovviene nuovamente, a tale riguardo, l’esempio dell’errore del chirurgo sopra esposto par. 7 . 9. Tale ricostruzione dà conto anche dell’espressione a causa di imperizia di cui è stata sopra mostrata la potenziale incoerenza con la restante parte dell’art. 590-sexies cod. pen. Il legislatore, con scelta sovrana, ma con espressione lessicalmente infelice, ha ritenuto di limitare l’innovazione alle sole situazioni astrattamente riconducibili alla sfera dell’imperizia, cioè al profilo di colpa che involge, in via ipotetica, la violazione delle leges artis . Si sono volute troncare le discussioni e le incertezze verificatesi nelle prassi, anche quella di legittimità, in ordine all’applicabilità della legge n. 189/2012 alle linee guida la cui inosservanza conduce ad un giudizio non di insipienza tecnico-scientifica ma di trascuratezza, e quindi di negligenza. A tale riguardo è sufficiente rammentare che questa Corte, dapprima contraria, aveva da ultimo ritenuto che la legge n. 189 del 2012 potesse riferirsi pure ad aree diverse da quelle dell’imperizia Sez. 4, n. 23283 del 11/05/2016, Denegri, Rv. 266904 . In breve, la nuova norma tronca in radice i dubbi si è voluto mettere in chiaro che l’art. 590-sexies si applica solo quando sia stata elevata o possa essere elevata imputazione di colpa per imperizia. 10. Il nuovo assetto, naturalmente, si riverbera considerevolmente sulla configurazione della colpa in ambito sanitario. Questa Corte ha avuto occasione di porre in luce le peculiarità di tale forma dell’imputazione soggettiva figura vuota ed umbratile, dalla forte impronta normativa, bisognosa di eterointegrazione. E, come si è accennato, si è pure rimarcata la grande importanza del sapere tecnico-scientifico per colmare i vuoti e per conferire maggiore determinatezza al precetto. Al contempo, sono stati enunciati i pericoli connessi all’utilizzazione di raccomandazioni provenienti da soggetti non indipendenti o non sufficientemente qualificati. In tale quadro risalta, nella riforma, l’importante progetto di codificazione ed istituzionalizzazione , nonché di continuo adeguamento delle direttive a tutela della sicurezza delle cure e dei giudizi a ciò pertinenti. Va aggiunto, per ulteriore chiarificazione, che il catalogo delle linee guida non può esaurire del tutto i parametri di valutazione. È ben naturale, infatti, che il terapeuta possa invocare in qualche caso particolare quale metro di giudizio anche raccomandazioni, approdi scientifici che, sebbene non formalizzati nei modi previsti dalla legge, risultino di elevata qualificazione nella comunità scientifica, magari per effetto di studi non ancora recepiti dal sistema normativo di evidenza pubblica delle linee guida di cui al richiamato art. 5. Si tratta di principio consolidato nella scienza penalistica le prescrizioni cautelari ufficiali possono essere affiancate da regole non codificate ma di maggiore efficienza nella prospettiva della ottimale gestione del rischio. D’altra parte, il legislatore ha stornato il pericolo di stallo nell’applicazione delle novella, ponendo in campo, in via residuale, le buone pratiche clinico-assistenziali. Anche in questo campo è stato perseguito un progetto di emersione, codificazione e monitoraggio delle buone pratiche attraverso l’istituzione di un Osservatorio nazionale art. 3 . Tuttavia, è ragionevole prevedere ed auspicare che il catalogo delle linee guida accreditate sarà rapidamente attuato, in conformità all’alto interesse ed alla centralità del tema nel quadro della riforma voluta dalla legge. Dunque, in questa prima analisi della riforma è sufficiente soffermarsi sul nucleo della novella, costituito, appunto, dal regime delle raccomandazioni ufficiali . Tutto quanto esposto, naturalmente, ha rilevanti ricadute nella gestione del giudizio penale. Come si è rilevato, già la legge n. 189 del 2012 aveva posto in luce l’importanza delle direttive consacrate dalla comunità scientifica, ma la doverosa attenzione alla volontà del legislatore impone di sottolineare, valorizzare e tradurre in chiave operativa l’istanza di determinatezza, chiarezza, prevedibilità che promana dalla riforma. Ciò implica che nel futuro le valutazioni demandate agli esperti dovranno muoversi precipuamente attorno ai nuovi parametri di cui si è detto. Si tratterà di un passaggio ineludibile che dovrà rifluire nella finale ponderazione demandata al giudice. 10.1 La soluzione interpretativa indicata appare l’unica possibile, dopo ben ponderata riflessione, alimentata anche dai preziosi contributi dottrinali che, come si è accennato, non hanno mancato di porre in luce le difficoltà proposte dal testo normativo. Essa, in breve, coglie nella riforma il virtuoso impulso innovatore focalizzato sulla selezione e codificazione di raccomandazioni volte a regolare in modo aggiornato, uniforme, affidabile, l’esercizio dell’ars medica e, al contempo, ad ancorare il giudizio di responsabilità penale e civile a costituti regolativi precostituiti, con indubbi vantaggi in termini di determinatezza delle regole e prevedibilità dei giudizi. Tale lettura che, in fin dei conti, scorge nella riforma una nuova regola di parametrazione della colpa non è vulnerata dal fatto che il testo allude all’osservanza delle linee guida come causa di esclusione della punibilità. Occorre al riguardo considerare che tale espressione si rinviene in molti testi normativi ed anche nel codice con significati diversi e non di rado atecnici cioè non riconducibili propriamente alla sfera dell’esclusione della pena pur in presenza di un reato, per ragioni istituzionali, personali, di opportunità. Basti considerare la disciplina dell’imputabilità di cui agli artt. 85 e seguenti cod. pen. La non imputabilità esclude la punizione e per converso, nella visione del codificatore, l’imputabilità è capacità di pena, in aderenza al noto modello del doppio binario di sanzione e misura di sicurezza. Orbene, la teoria del reato ha da allora subito un così profondo rimodellamento che l’imputabilità viene ora riconosciuta senza incertezze, sia in dottrina che in giurisprudenza, come parte o presupposto del principio di colpevolezza normativa e dunque è collocata all’interno del reato. Discorso non dissimile può esser fatto, sempre in via esemplificativa, quanto ai casi di non punibilità previsti dall’art. 388 cod. pen. nell’ambito dei delitti contro l’amministrazione della giustizia. Tali ipotesi sono ricondotte, sia in dottrina che in giurisprudenza, ad un peculiare stato di necessità o ad una causa di esclusione della colpevolezza per inesigibilità e dunque sicuramente fuori dalla sfera della mera punibilità. Del resto, lo stesso art. 3, della legge n. 189/2012 parlava di esclusione della responsabilità espressione atecnica che questa Corte, come si è visto, ha collocato nella dogmatica della colpa. Parimenti, nel caso in esame l’evocazione della punibilità va intesa come un atecnico riferimento al giudizio di responsabilità con riguardo alla parametrazione della colpa di cui si è detto sopra. 11. La proposta ricostruzione della novella implica problemi di diritto intertemporale con riferimento ai fatti commessi in epoca anteriore. Anche a tale fine, occorre sintetizzare i passaggi di maggior rilievo dell’analisi sin qui prospettata. Dunque, la nuova disciplina non trova applicazione negli ambiti che, per qualunque ragione, non siano governati da linee guida e neppure nelle situazioni concrete nelle quali tali raccomandazioni debbano essere radicalmente disattese per via delle peculiarità della condizione del paziente o per qualunque altra ragione imposta da esigenze scientificamente qualificate. Inoltre, il novum non opera in relazione alle condotte che, sebbene poste in essere nell’ambito di approccio terapeutico regolato da linee guida pertinenti ed appropriate, non risultino per nulla disciplinate in quel contesto regolativo. Nuovamente, per semplificazione, si richiama il caso dell’errore di esecuzione dell’atto chirurgico par. 7 . Il metro di valutazione costituito dalle raccomandazioni ufficiali è invece cogente, con il suo già indicato portato di determinatezza e prevedibilità, nell’ambito di condotte che delle linee guida siano pertinente estrinsecazione. Occorre pure tener conto dell’abrogazione dell’art. 3 comma 1, d.l. 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, che aveva operato la nota distinzione tra colpa lieve e colpa grave. Questa Corte, come si è accennato par. 6 , aveva interpretato tale riforma nel senso più ampiamente aderente al principio di colpevolezza ritenendo che, nei contesti regolati da linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, si fosse verificata la decriminalizzazione delle condotte connotate da colpa lieve. In conseguenza, si è ravvisato che, sempre nell’ambito indicato, residuasse la responsabilità colpevole solo per colpa grave interpretazione aderente alle movenze della riflessione dottrinale e consonante con l’orientamento di altre normative nazionali. L’abrogazione della legge del 2012 implica la reviviscenza, sotto tale riguardo, della previgente, più severa normativa che, per l’appunto, non consentiva distinzioni connesse al grado della colpa. Infatti la novella del 2017 non contiene alcun riferimento alla gravità della colpa. Naturalmente, ai sensi dell’art. 2 cod. pen., il nuovo regime si applica solo ai fatti commessi in epoca successiva alla riforma. Per i fatti anteriori, come quello in esame, sempre in applicazione dell’art. 2 cod. pen., può trovare applicazione, invece, quando pertinente, la ridetta normativa del 2012, che appare più favorevole con riguardo alla limitazione della responsabilità ai soli casi di colpa grave. Il giudice, in conseguenza, pur nell’ambito della già indicata regola di giudizio dell’udienza preliminare, potrà ben prendere in considerazione le problematiche afferenti alle linee guida come disciplinate dalla ridetta legge del 2012 che, come si è sopra esposto, hanno un pregnante rilievo nell’ambito del delicato tema della responsabilità dello psichiatra per i fatti commessi da soggetti in cura. 11.1 Per completezza, nel tentativo di ricomporre i frammenti della disciplina, conviene infine rammentare ancora che nel recente passato questa Corte si è nuovamente confrontata con il risalente tema dell’applicabilità, in ambito penale, della disciplina dell’art. 2236 cod. civ. pervenendo alla conclusione che tale norma, sebbene non direttamente esportabile nel diritto penale, sia comunque espressione di un principio di razionalità situazioni tecnico scientifiche nuove, complesse o influenzate e rese più difficoltose dall’urgenza implicano un diverso e più favorevole metro di valutazione. In tale ambito ricostruttivo, si è infatti considerato che il principio civilistico di cui all’art. 2236 cod. civ., che assegna rilevanza soltanto alla colpa grave, può trovare applicazione in ambito penalistico come regola di esperienza cui attenersi nel valutare l’addebito di imperizia, qualora il caso concreto imponga la soluzione di problemi di speciale difficoltà da ultimo cfr. Sez. 4, Sentenza n. 12478 del 29/11/2015, dep. 2016, Barberi, Rv. 267814 Sez. 4, Sentenza n. 4391 del 22/11/2011, dep. 2012, Di Lella, Rv. 251941 . Tale giurisprudenza ha ancora attualità e, si confida, potrà orientare il giudizio in una guisa che tenga conto delle riconosciute peculiarità delle professioni sanitarie. 12. Per tutte le considerazioni svolte, si impone l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio, per nuovo esame, al Tribunale di Pistoia. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio, per nuovo esame, al Tribunale di Pistoia.