Intervento chirurgico e decesso del paziente: come accertare la responsabilità del singolo componente dell’equipe medica?

La responsabilità penale di ciascun componente di una equipe medica non può essere affermata sulla base dell’accertamento di un errore diagnostico genericamente attribuito alla equipe nel suo complesso, ma va legata alla valutazione delle concrete mansioni di ciascun componente, nella prospettiva di verifica, in concreto, dei limiti oltre che del suo operato, anche di quello degli altri.

Lo ha stabilito la Suprema Corte con sentenza n. 27314/17 depositata il 31 maggio. Il caso. La Corte d’appello di Catania, confermando integralmente la statuizione di prime cure, affermava la penale responsabilità dell’imputato per il reato di cui all’art. 589 c.p. poiché, nella qualità di medico-chirurgo, avrebbe colposamente causato la morte del paziente. In particolare, secondo la ricostruzione di merito, la vittima veniva sottoposta ad un intervento di colecistectomia per via laparoscopica durante il quale, tuttavia, si verificava una lesione dell’aorta che non veniva suturata idoneamente, e ciò causava poi uno shock emorragico irreversibile con conseguente decesso del paziente. L’imputato, nell’alveo di tale intervento, faceva parte dell’equipe medica, ed aveva compiti materiali specificamente individuati nel tenere il divaricatore e l’aspiratore per consentire all’operatore di ispezionare l’addome ora, l’evento mortale veniva allo stesso addebitato in quanto non avrebbe osservato l’onere cautelare di segnalare all’operatore la necessità di provvedere all’esplorazione di tutta la circonferenza del vaso, nonché di provvedere personalmente, chiedendo al collega di passargli gli speciali occhiali, ad eseguire detta osservazione. Avverso la sentenza de qua l’imputato ricorre per Cassazione, osservando che nessun rimprovero colposo potesse essere allo stesso mosso in quanto, in considerazione dei compiti che doveva specificamente svolgere, non avrebbe dovuto – ma neppure potuto, stante la carenza di specifica competenza in materia vascolare nonché per l’assenza degli speciali occhiali che erano in uso all’operatore – effettuare l’esplorazione della lesione. Il primo operatore – primario di chirurgia – aveva invece patteggiato la pena. L’accertamento delle responsabilità del singolo componente dell’equipe. Nel caso di intervento chirurgico di equipe è necessario accertare se, ed eventualmente a quali condizioni, ciascuno dei componenti, oltre ad essere tenuto al rispetto delle regole di cautela e delle leges artis previste con riferimento alle sue specifiche mansioni, debba altresì farsi carico delle manchevolezze dell’altro componente dell’equipe o possa viceversa fare affidamento sulla corretta esecuzione dei compiti altrui. Secondo la Suprema Corte, un simile accertamento deve essere necessariamente compiuto tenendo in considerazione il generale principio di diritto sulla cui scorta ogni sanitario non può esimersi dal conoscere e valutare l’attività precedente o contestuale svolta da altro collega – anche se specialista in altra materia – e dal controllarne la correttezza e, se del caso, intervenire al fine di porre rimedio ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio. Il principio di affidamento. Se è vero che in tutte le fasi in cui l’intervento chirurgico è corale ognuno esercita e deve esercitare il controllo sul buon andamento dello stesso, è pur vero tuttavia – chiariscono ulteriormente i Supremi Giudici – che tale accertamento debba essere coniugato con il principio di affidamento, secondo cui ogni soggetto non dovrà ritenersi obbligato a delineare il proprio comportamento in funzione del rischio di condotte colpose altrui, ma potrà sempre fare affidamento, appunto, sul fatto che gli altri soggetti agiscano nell’osservanza delle regole di diligenza proprie. L’assenza di responsabilità d’equipe. Nel caso di specie, la Corte di legittimità ha ritenuto il medico esente da penale responsabilità, e per l’effetto ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata per non avere l’imputato commesso il fatto. In particolare, per come emerso in entrambe le sentenze di merito, detto ricorrente, nella qualità di secondo operatore chirurgico, si era reso conto dell’intervenuta lacerazione dell’aorta e della conseguenziale emorragia, ed aveva provveduto alla necessaria segnalazione al fine della relativa suturazione, cui aveva proceduto il primo operatore, con apparente successo, vista l’assenza di sanguinamento ed il recupero del ritmo pressorio. Pertanto, gli errori nella saturazione non possono certamente essere attribuiti al ricorrente ma, semmai, al primo operatore che vi aveva provveduto, non potendosi trasformare l’onere di vigilanza in un obbligo generalizzato di costante raccomandazione al rispetto delle regole cautelari e di invasione negli spazi di competenza altrui.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 20 aprile – 31 maggio 2017, numero 27314 Presidente Blaiotta – Relatore Piccialli Ritenuto in fatto P.V. ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che ha confermato quello di primo grado, che lo aveva riconosciuto colpevole del reato di cui all’articolo 589 cod.penumero , per il decesso di G.G. , paziente sottoposto ad intervento di colecistectomia per via laparoscopica mediante utilizzo di trocar e di ago di Veress , a seguito del quale, avvenuta durante l’intervento una lesione dell’aorta, non si era provveduto ad idonea sutura non era stata esplorata idoneamente l’aorta, cosicché, mentre era stata suturata una lesione nella parete anteriore, non ci si era avveduti di altra lesione, presente nella zona posteriore, la cui presenza aveva provocato uno shock emorragico irreversibile e la successiva morte del paziente . Per quanto interessa, risultava che il chirurgo che aveva proceduto all’intervento prima per via laparoscopica, poi per via laparotomia e alla sutura dell’aorta aveva patteggiato la pena. Al P. , che faceva parte dell’equipe, con compiti materiali in sostanza doveva tenere il divaricatore e l’aspiratore per consentire all’operatore di ispezionare l’addome , l’evento mortale era stato addebitato valorizzando il principio della responsabilità di equipe, sub specie della mancata osservanza dell’onere cautelare di segnalare all’operatore la necessità di provvedere all’esplorazione di tutta la circonferenza del vaso, e di provvedere personalmente, chiedendo al collega di passargli gli speciali occhiali, ad eseguire detta osservazione. Con il ricorso si censura l’addebito contestandosi che non poteva addebitarsi al P. , in ragione dei compiti che era chiamato a svolgere il dovere di provvedere all’esplorazione della lesione, e che comunque non correttamente erano stati applicati i principi sulla responsabilità di equipe, a fronte di un intervento attribuito nella sua esecuzione anche per l’utilizzo degli speciali occhiali al primo operatore che era tra l’altro il primario non potendosi imporre al P. compiti di verifica che gli era impossibile ottemperare, vuoi per la carenza di specifica competenza in materia vascolare, vuoi per l’assenza degli occhiali che poteva consentire di verificare il sito. Considerato in diritto Il reato contestato all’imputato commesso in data omissis è estinto per intervenuta prescrizione essendo decorsi i termini di cui agli artt. 157 e 160 cod.penumero . Risulta tuttavia evidente la prova dell’innocenza dell’imputato e tale valutazione impone la formula di proscioglimento nel merito ex art. 129, comma 2, cod. proc. penumero . La responsabilità penale di ciascun componente di una equipe medica non può essere affermata sulla base dell’accertamento di un errore diagnostico genericamente attribuito alla equipe nel suo complesso, ma va legata alla valutazione delle concrete mansioni di ciascun componente, nella prospettiva di verifica, in concreto, dei limiti oltre che del suo operato, anche di quello degli altri. Occorre cioè accertare se e a quali condizioni ciascuno dei componenti dell’equipe, oltre ad essere tenuto per la propria parte al rispetto delle regole di cautela e delle leges artis previste con riferimento alle sue specifiche mansioni, debba essere tenuto anche a farsi carico delle manchevolezze dell’altro componente dell’equipe o possa viceversa fare affidamento sulla corretta esecuzione dei compiti altrui accertamento che deve essere compiuto tenendo conto del principio secondo cui ogni sanitario non può esimersi dal conoscere e valutare l’attività precedente o contestuale svolta da altro collega, sia pure specialista in altra disciplina, e dal controllarne la correttezza, se del caso ponendo rimedio ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenza scientifiche del professionista medio Sez.4, numero 18780 del 30/03/2016, Tassis ed altro . Il principio suddetto va apprezzato e coniugato, peraltro, onde non configurare ipotesi di responsabilità oggettiva o di posizione, con l’altro fondamentale principio che è quello di affidamento , in base al quale ogni soggetto non dovrà ritenersi obbligato a delineare il proprio comportamento in funzione del rischio di condotte colpose altrui, ma potrà sempre fare affidamento, appunto, sul fatto che gli altri soggetti agiscano nell’osservanza delle regole di diligenza proprie. Per l’effetto, per tutte le fasi dell’intervento chirurgico in cui l’attività di equipe è corale, riguardando quelle fasi dell’intervento chirurgico in cui ognuno esercita e deve esercitare il controllo sul buon andamento dello stesso. Mentre, semmai, diverso discorso dovrebbe farsi solo per quelle fasi in cui, distinti nettamente, nell’ambito di un’operazione chirurgica, i ruoli ed i compiti di ciascun elemento dell’equipe, dell’errore o dell’omissione ne può rispondere solo il singolo operatore che abbia in quel momento la direzione dell’intervento o che abbia commesso un errore riferibile alla sua specifica competenza medica. Venendo al caso concreto un tema di responsabilità di equipe poteva e doveva porsi per la fase di apprezzamento dell’intervenuta lacerazione dell’aorta evenienza non censurata in sede penale e per la fase della suturazione dell’aorta incombente cui aveva proceduto il primo operatore, apparentemente con successo, vista la assenza di immediato sanguinamento e il visto il recupero del normale ritmo pressorio . Il secondo operatore qui il P. in sostanza poteva e doveva apprezzare l’avvenuta emorragia e la necessità di contrastarla con la suturazione dell’aorta, con il recupero delle normali funzioni. Ciò che risulta essere avvenuto. Le modalità di effettuazione della suturazione non possono addebitarsi al P. , perché rientranti nel proprium dell’operatore che vi aveva provveduto, non potendosi trasformare l’onere di vigilanza, specie in settore specialistico, in una sorta di obbligo generalizzato e di impraticabile realizzazione di costante raccomandazione al rispetto delle regole cautelari e di addirittura invasione negli spazi della competenza altrui così va letto il passaggio della decisione che ha addebitato al P. di non essersi fatto consegnare gli occhiali per controllare anch’egli la manovra effettuata dall’altro operatore, pur non rientrante nella sua diretta competenza . Si impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per non avere l’imputato commesso il fatto. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per non avere l’imputato commesso il fatto.